La classe lavoratrice, o almeno la sua parte bianca, è emersa come il grande mistero della nazione. Tradizionalmente democratica, ha aiutato ad eleggere un miliardario visibilmente esibizionista alla presidenza. “Cosa hanno di sbagliato?” si chiedono i sapientoni liberal. Perchè credono alle promesse di Trump? Sono stupidi o solo deplorevolmente razzisti? Perchè la classe lavoratrice si schiera contro i suoi stessi interessi?
Sono nata in questa classe, e resto fermamente collegata ad essa attraverso le amicizie e la famiglia. Negli anni ’80, per esempio, personalmente, ospitavo un hub culturale della working class a casa mia a Long Island. L’attrazione non ero io ma il mio marito (di allora) e vecchio amico di Gary Stevenson, un ex magazziniere che era diventato un organizzatore del sindacato dei camionisti. Si può pensare ai sobborghi di Long Island come a una bed-room community per i pendolari di Manhattan o come a un portale per gli Hamptons, ma allora erano un centro industriale con più di 20.000 lavoratori occupati solo a Grumman.
Quando mia sorella si trasferì dal Colorado nel nostro basement, trovò immediatamente un posto di lavoro in una fabbrica a circa un miglio da casa, come migliaia di altre persone, alcune delle quali arrivavano in bus dal Bronx. Ospitavamo soprattutto residenti locali che passavano da casa nostra per incontri serali e riunioni nel week-end: camionisti, lavoratori delle fabbriche, bidelli , infermiere. Il mio compito era di preparare il chili e lasciare spazio in frigo per gli ziti al forno che altri, invariabilmente, portavano.
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