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Bollettino ADAPT 24 gennaio 2022, n. 3
Con sentenza n. 74 del 4 gennaio 2022, la Corte di Cassazione va a corroborare un principio già consolidato in giurisprudenza, in merito “all’adesione implicita ad un contratto collettivo”.
In particolare, la Suprema Corte, sulla scorta di un orientamento interpretativo consolidato, ha ribadito che è possibile desumere attraverso l’individuazione di comportamenti concludenti che le parti abbiano, nei fatti, applicato un determinato CCNL (o contratto aziendale).
Prima di analizzare il motivo che ha spinto la Suprema Corte a pronunciarsi in tal senso, appare doveroso fare un cenno alla posizione assunta dalle parti rispetto alla questione di diritto, per meglio comprendere il principio di diritto. Nel caso di specie, la società datrice di lavoro presentava, mediante formale missiva, disdetta all’associazione nazionale di rappresentanza delle imprese manifatturiere e di servizi (Confindustria) determinando l’effettiva interruzione del contratto integrativo interaziendale (peraltro mai sottoscritto dalla società medesima). Per contro, il lavoratore nel rivendicare il mancato pagamento della parte variabile del premio di partecipazione riferito ai mesi di luglio ed ottobre 2013, nonché gennaio 2014, proponeva un ricorso per ingiunzione di pagamento innanzi al Tribunale di Viterbo. Ottenuto il decreto ingiuntivo, il dipendente richiedeva al datore di lavoro il pagamento delle somme indicato. Il datore di lavoro, tuttavia, contestava tale richiesta e ricorreva alle sedi competenti per far accertare l’illegittimità della richiesta, poiché il contratto integrativo era stato disdettato.
La Corte d’Appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale di Viterbo, ha statuito l’illegittima disapplicazione del contratto integrativo interaziendale da parte del datore di lavoro rilevando che quest’ultimo aveva continuato ad erogare ai propri dipendenti alcune voci retributive, indennitarie ed incentivanti previste dal contratto integrativo, anche dopo averlo disdettato (circostanza emersa anche dalle prove documentali esibite dal ricorrente). Assunto non condiviso dal datore di lavoro che ha ben pensato di ricorrere alla Suprema Corte ritenendo che: a) l’erogazione di taluni elementi retributivi (peraltro fissi), anche successiva alla disdetta del contratto integrativo, non giustificava la pretesa del lavoratore circa il diritto ad ottenere l’applicazione di tutte le voci contrattuali previste dal contratto medesimo; b) la retribuzione variabile è un elemento aggiuntivo della retribuzione, che non rientra nei minimi retributivi di cui all’articolo 36 Cost. e pertanto in applicazione del principio espresso dall’art. 2070 cod. civ., è una parte della retribuzione che non deve essere tenuta in considerazione.
Gli Ermellini, a conferma di quanto già deciso dal giudice di secondo grado, hanno affermato innanzitutto che i contratti collettivi post-corporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della legge 14 luglio 1959, n. 741 (c.d. Legge Vigorelli), costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto.
Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, non efficace erga omnes, in base al fatto che a tale contratto entrambe le parti si erano sempre ispirate per la disciplina del loro rapporto, “il giudice del merito dovrà valutare nel caso concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolativita’ della contrattazione collettiva invocata” (cfr. Cass. n. 10213/2000; Cass. n. 10375/2001; da ultimo, Cass. n. 24336/2013; Cass. n. 14944/2014; Cass. n. 18408/2015).
La Corte di Cassazione, in definitiva, ha ritenuto conforme ai richiamati principi giurisprudenziali la decisione della Corte d’Appello e, pertanto, ha respinto il ricorso promosso dalla società. Per quanto possa essere lecita e per certi versi condivisibile la scelta di una società di disapplicare un contratto integrativo, allo stesso qual modo, l’azienda deve essere coerente con la propria scelta e, dunque, non deve porre in essere comportamenti concludenti tali da comportare un’implicita adesione al contratto disapplicato.
ADAPT Junior Fellow