L'affondo di Bersani: "Governo marziano se si va allo scontro io sto coi lavoratori"

Renzi e il governo? «Marziani». Pierluigi Bersani cammina nervosamente nel ‘Transatlantico di Montecitorio: sul lavoro non intende tacere. Le scelte del governo gli bruciano. Chiede che il ministro Poletti «precisi in Par lamento» cosa ha in mente di fare sull’articolo 18, sulla legge delega o Jobs Act, sulle ipotesi di modifica dello Statuto dei lavoratori che circolano in queste ore sui media.
 
 
«Intenzioni surreali», le definisce l’ex segretario dem che voleva fare del “suo” Pd il partito laburista, il partito del lavoro. Né ci sta a passare per un “conservatore” mentre Renzi sarebbe l’innovatore: «Io sono una persona di sinistra liberale e sono d’accordo sul fatto che le regole sul lavoro debbano essere svecchiate dal lato dei contratti e dei servizi. Ma come può un governo in un periodo di recessione e deflazione pensare di abbattere l’articolo 18 senza dire quanti soldi mette per gli ammortizzatori sociali. Allora vuol dire che non sa a che punto è l’Italia, la sta guardando da Marte».
 
 
Ai tempi della legge Fornero, fu Bersani a convincere la maggioranza che su lavoro e articolo 18 si poteva intervenire solo con il bisturi. Così fu. E c’era il governo del professor Monti, non di Renzi, segretario del Pd. Ora s’indigna quando sente parlare di cancellazione della “reintegra” dei lavoratori licenziati senza giusta causa: «Vorrei ricordare che in tutta Europa, dalla Germania all’Inghilterra alla Francia la “reintegra” esiste, non è obbligatoria ma c’è. Quindi non è concepibile che in Italia venga cancellata». E via ad elencare le domande chiave da porre al governo e sulle quali il partito deve discutere per non perdere il suo dna, e cioè «cosa intendiamo quando si dice che bisogna superare il dualismo e l’apartheid nel mercato del lavoro, come bisogna estendere le tutele universalistiche, come bisogna tenere, nella crisi, in equilibrio i rapporti di forza tra capitale e lavoro. Sono cose fondamentali, basiche».
 
 
Non lo convince la promessa della flexicurity. «La flexicurity significa la Danimarca. Costa molto, tra i 10 e i 13 miliardi e l’Italia dove li trova? Rischia perciò di essere un semplice auspicio. In Danimarca sono previsti 4 anni di copertura, la piena efficienza dei servizi di reimpiego. Leggo invece cose bizzarre, stravaganti». Smantellare l’ articolo 18 senza la giusta rete di ammortizzatori sociali «non può essere accettato». Se di tutele crescenti si sta parlando, è evidente che questo vale «anche per l’articolo 18», precisa l’ex segretario. A Montecitorio ci sono riunioni volanti tra Bersani, Fassina, Gotor, D’Attorre, Zoggia.
 
 
L’ex segretario è dell’opinione che la sinistra democratica debba mantenere una posizione ferma ma di confronto proprio per evitare polarizzazione e che cioè il governo pensi a una forzatura per decreto. «Ci vuole un chiarimento, questa è la cosa fondamentale», ripete Bersani. E se diventa una battaglia di simboli, uno scontro tra capitale e lavoratori è uno dei mantra bersaniani allora «io sto con i lavoratori».
 
 
Sarà comunque mercoledì prossimo il giorno decisivo, perché tutto il Pd “de-Renzizzato”, da Civati a Bindi, a Cuperlo e appunto all’ex segretario, si riunisce per parlare dei temi scottanti, dal lavoro alla legge di stabilità e anche di riforme. In particolare sulla legge elettorale Bersani insiste sulla necessità di modifiche se si vuole salvaguardare democrazia e rappresentanza. È questo l’altro nodo che molti di sinistra dem non ritengono necessario affrontare subito, mentre il Parlamento “balla” sui temi economici. Ma Renzi ha annunciato che riprenderà immediatamente la discussione sull’Italicum. «Se c’è un accordo politico va bene la calendarizzazione di Renzi ragiona Bersani purché però si facciano i cambiamenti necessari per non avere liste bloccate, modificare le soglie e l’asticella per accedere al premio di maggioranza».
 
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