Bollettino ADAPT 17 marzo 2025, n. 11
Lo scorso 10 marzo il Ministro Valditara ha dichiarato che i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO) cambieranno denominazione: la ragione è da rintracciare nel fatto che «la terminologia attuale risulta poco comprensibile alle famiglie», e di conseguenza serve «una definizione più attrattiva e immediata». I PCTO, giova ricordarlo, sono gli “eredi” dei percorsi di alternanza scuola-lavoro: è con la legge di bilancio per il 2019 (l. 145/2018) che questa denominazione è stata introdotta, unitamente ad un drastico taglio delle ore assegnate a tali attività, in sostituzione a quella adottata dalla riforma Moratti (e in particolare dal d.lgs. 77/2005) e poi rilanciata dalla Buona Scuola (l. 107/2015).
L’alternanza scuola-lavoro è stata oggetto di numerose critiche, soprattutto a partire dal 2015: con la Buona Scuola, infatti, la realizzazione di questi percorsi è diventata obbligatoria per tutti i percorsi di istruzione secondaria superiore. Oggetto della denuncia da parte di associazioni studentesche e commentatori era proprio la componente “lavoristica” dell’esperienza: lo svolgimento cioè di parte del percorso formativo curriculare in contesti lavorativi, peraltro senza che ciò generasse l’instaurazione di un rapporto di lavoro. L’accusa che veniva mossa – e che anche oggi ritorna, ciclicamente – riguardava l’assenza di una qualsivoglia componente formativa e orientativa nell’ambito di questi percorsi, utili solo a “sfruttare” giovani studenti per lo svolgimento di mansioni poco qualificate, a volte anche in condizioni di scarso rispetto delle norme riguardanti la salute e sicurezza di questi studenti.
La mini-riforma del 2019 è parsa allora come un tentativo di isolare, o comunque mettere in secondo piano, proprio l’esperienza del lavoro: come è già stato fatto notare (vedi P. Bertuletti, E. Massagli, Linee Guida per i PCTO. Dall’alternanza all’alternativa tra scuola e lavoro, in Nuova Professionalità, 3/2019, pp. 69-73) lo stage curriculare, lo strumento che più di altri realizza il metodo dell’alternanza (escluso l’apprendistato formativo), nelle linee guida dedicate ai nuovi PCTO viene solo marginalmente considerato. Ma è stato soprattutto il cambio di denominazione ad attirare l’attenzione dei commentatori: non più alternanza tra scuola e lavoro, espressione che suggeriva appunto la presenza di due luoghi ben distinti (la scuola, l’azienda), ma un più generico rimando alle finalità di questi percorsi: permettere l’acquisizione di competenze trasversali e favorire l’orientamento degli studenti nelle loro scelte di vita, formazione e lavoro.
Il governo attuale è tornato sul tema per favorire, in particolare, la sicurezza degli studenti in alternanza, anche in seguito alle tragedie occorso tre anni fa, tra cui la morte dello studente Lorenzo Parelli proprio durante uno di questi percorsi. Incidenti drammatici, che hanno portato – seppur per breve tempo – alla riemersione delle critiche nei confronti di questi percorsi (vedi ad esempio il contributo di Gianna Fracassi, dall’eloquente titolo Non è alternanza, è sfruttamento del 4 febbraio 2022 su Left), solo marginalmente smorzate dal cambio di denominazione del 2019 e dal dimezzamento delle ore inizialmente previste dalla Buona Scuola per questi percorsi.
A distanza di sei anni dall’introduzione dei PCTO in sostituzione dell’espressione alternanza scuola-lavoro, un nuovo cambiamento è quindi all’orizzonte. Non è dato sapere come vorrà procedere il Ministro, se con un ritorno al passato – rispolverando quindi l’espressione “alternanza”, o magari osando parlare esplicitamente di “lavoro” – o se invece verrà introdotto qualcosa di completamente nuovo. Un intervento simile, e con le stesse finalità – favorire l’attrattività e riconoscibilità dei percorsi – è già stato realizzato con riferimento agli Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy), che hanno acquisito questa denominazione nel 2022 (in seguito all’approvazione della l. 99/2022). L’intervento in quel caso non fu particolarmente rivoluzionario: da ITS a ITS, da istituti tecnici a istituti tecnologici, con l’aggiunta del sostantivo “Academy”.
Pare condivisibile l’intenzione di favorire la comprensione, da parte delle famiglie, del senso e dello scopo di questi percorsi, che come già ricordato sono stati oggetto negli anni di numerose critiche. L’alternanza, come metodo – e non strumento – formativo si caratterizza non per l’introdurre all’interno dei percorsi curriculari di più o meno episodici momenti di esperienza “pratica”, utili magari a curvare la preparazione degli studenti sulla base dei fabbisogni del mercato del lavoro locale. Tutt’altro: in gioco è piuttosto la formazione integrale degli studenti, che nell’incontro con contesti reali e distinti dalle mure scolastiche hanno l’occasione per allenare e far emergere quelle competenze trasversali che la “riforma” del 2019 giustamente richiamava.
Superando gli scogli ideologici che vedono da una parte la scuola come mera ancella del mercato, luogo di addestramento di nuovi lavoratori e dall’altra la scuola tutta ripiegata su sé stessa e sull’assenza di qualsivoglia rimando a ciò che scuola non è, la proposta del Ministro sembra essere una buona occasione, a dieci anni dall’approvazione della Buona Scuola, non solo per comunicare meglio il proprium di questi percorsi, ma anche per riscoprirne il senso pedagogico e formativo profondo. Non tanto alternare, infatti ma integrare (vedi i contributi raccolti in E. Massagli (a cura di), Dall’alternanza scuola-lavoro all’integrazione formativa, ADAPT E-book Labour Studies, 2017) luoghi e spazi di apprendimento, andando a valorizzare un’idea di scuola aperta e capace di innovare e rinnovarsi grazie (anche) all’alleanza con il mondo del lavoro, riscoprendo l’insopprimibile valore educativo di quest’ultimo, tenendo al centro la propria – questa sì, non modificabile – funzione di luogo di educazione e formazione della persona nella sua interezza.
Matteo Colombo
Direttore Fondazione ADAPT
ADAPT Senior Fellow