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Bollettino ADAPT 29 luglio 2019, n. 29
Il XVIII Rapporto Annuale INPS, pubblicato dall’Istituto in data 10 luglio 2019, ha presentato in anteprima alcuni dati sul progetto avviato, in collaborazione con il CNEL, per mappare i contratti collettivi di primo livello presenti in Italia. È stato necessario condurre l’operazione in modalità congiunta visto che il CNEL detiene l’archivio dei contratti nazionali mentre l’INPS, attraverso le denunce contributive mensili, detiene il numero di aziende – quindi anche il numero di lavoratori – che applicano ogni determinato CCNL.
Il principale risultato dell’analisi congiunta è stato quello di individuare, per ogni settore, i contratti che vengono applicati maggiormente ai lavoratori (quindi anche quelli che vengono applicati meno). Sebbene tale dato non sia utile a formalizzare la rappresentatività di ogni organizzazione sindacale all’interno dei diversi perimetri contrattuali indubbiamente contribuisce a restituire la dimensione della tenuta e della effettività dei diversi contratti collettivi sul piano applicativo.
Il dubbioso numero di contratti collettivi nazionali presenti in Italia
Un primo profilo di interesse che si può rilevare dal Rapporto è il consistente disallineamento tra numero di CCNL presenti nei due archivi: mentre il CNEL dichiara che i contratti collettivi nazionali vigenti al 2018 erano 799, escludendo quelli cessati e confluiti, in totale l’INPS ne conta 375, secondo i Codici presenti nell’applicativo di denunce Uniemens, di cui solo 324 risultano conciliabili con i CCNL depositati presso il CNEL. L’Istituto dichiara tuttavia che i CCNL presenti nell’archivio INPS per i dipendenti del settore privato, hanno un livello di copertura estremamente elevato: coprono un totale di 1,5 milioni di datori di lavoro (il 99% delle aziende presenti in Italia) e di 14,7 milioni di lavoratori (pari al 97,6% della forza lavoro impiegata nel settore privato).
Il fattore che accomuna entrambi gli archivi è l’elevato numero di contratti collettivi nazionali registrati, soprattutto nell’arco dell’ultimo quinquennio.
Il Codice Inps “CD”: i contratti diversi
Una volta attestato che i contratti registrati al CNEL sono più del doppio di quelli nell’archivio INPS, il dubbio che sorge è se quei contratti “extra” presenti al CNEL vengano applicati o meno dalle aziende. La risposta a tale interrogativo è ora possibile perché nella denuncia Uniemens che il datore di lavoro fa mensilmente, dove dichiara il CCNL che applica ad ogni lavoratore, egli ha la facoltà di dichiarare se applica un CCNL associato ad un Codice INPS oppure un CCNL ancora non censito, indicato con la dicitura “CD”, ossia “Contratto Diverso”. Incrociando i dati presenti negli archivi dei due Istituti, emerge che tra i “CD” non risultano soltanto contratti inapplicati o quasi, bensì nella categoria sono presenti taluni contratti collettivi di lavoro di primo livello, di sicura applicazione, in cui la parte datoriale è direttamente l’azienda, e non l’associazione di categoria, tra i quali quelli applicati ai lavoratori del gruppo FCA-CNH Industrial, ai lavoratori e dirigenti della CONI Servizi SpA. Entrambi i contratti sono stati sottoscritti dalle organizzazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil. Tuttavia, la maggior parte dei contratti presenti nell’archivio CNEL, tra quelli figuranti all’INPS sotto la categoria “CD”, sono sottoscritti da altre organizzazioni sindacali: su un totale di 458 CCNL con Codice “CD”, soltanto l’8% (38) sono stipulati dalla Triplice, mentre il restante 92% è firmato da parte di altre OO.SS. meno note.
A quanti lavoratori si applicano i CCNL delle diverse Confederazioni? Il dato settoriale
Dal XVIII Rapporto Annuale, l’INPS ha rilevato il numero dei lavoratori ai quali si applicano i diversi contratti operanti nei settori “metalmeccanico” e “terziario, distribuzione e servizi”. Prendendo di riferimento i metalmeccanici, l’INPS ha considerato utile dividere il settore in quattro aree diverse: industria, piccola-media Industria, artigianato e cooperazione. In ogni area, ha individuato quali sono i CCNL più applicati del settore.
Tavola [4.1]. XVIII Rapporto Annuale INPS
Mentre osservando le organizzazioni sindacali stipulanti, quelle maggioritarie risultano essere sempre le stesse in ogni area, riguardo alle associazioni datoriali, la firmataria del contratto più applicato varia a seconda della natura dell’impresa, della classe dimensionale. A tal proposito, in occasione della presentazione dell’analisi tenutasi al CNEL lo scorso 17 luglio, Pierangelo Albini (Confindustria) ha mostrato delle perplessità sul fatto che esista realmente una differenza tra piccola e grande industria, in termini di contratto collettivo, considerando che il 92% delle imprese associate a Confindustria hanno meno di cinquanta addetti. Inoltre, egli si domanda se nel settore metalmeccanico esistano differenze tra imprese industriali, artigiane e quelle organizzate in forma cooperativa. Secondo Albini, sono le organizzazioni sindacali che hanno il compito di stabilire i confini settoriali nell’applicazione dei contratti: per primo, occorre fissare un perimetro intorno al quale è valido un determinato strumento; la seconda mossa è definire se all’interno di quel perimetro ci sia una frattura per classi dimensionali (es. grande e piccola industria); la terza cosa da fare, infine, è valutare se dentro tale perimetro e tale frattura si debba distinguere anche la natura dell’impresa (artigianato, industria, cooperazione).
Date tali criticità nel comprendere il perimetro settoriale, soprattutto delle associazioni datoriali, attualmente è necessario limitare l’analisi esclusivamente ai valori relativi alle confederazioni sindacali che hanno stipulato contratti collettivi nazionali nel settore, senza divisione per classe dimensionale e natura dell’impresa. L’obiettivo dell’analisi non è, come premesso, individuare il contratto collettivo maggioritario sotto il profilo della rappresentatività delle organizzazioni stipulanti, bensì rendere chiaro quali sono i contratti maggiormente applicati e per ciò dotati di un maggior grado di effettività.
I grafici seguenti sono frutto di una rielaborazione dei dati presenti nel documento “Analisi congiunta CNEL-INPS” di cui si fa riferimento sopra. La scelta di non utilizzare la stessa metodologia dell’INPS di rilevare il numero di lavoratori in base al CCNL a loro applicato, classificato per natura dell’impresa e classe dimensionale, bensì di rilevare la capacità di ogni confederazione sindacale di influire sul numero dei lavoratori sulla base dei CCNL da loro stipulati nel settore, deriva dal fatto che si vuole esaminare il grado di effettività dei contratti collettivi stipulati aggregando sotto un unico valore il totale dei lavoratori a cui si applicano CCNL sottoscritti da uno stesso soggetto sindacale.
Numero di lavoratori nel settore “Agricoltura”
*in alcuni accordi cofirmatarie Agri-quadri, Confederdia
Numero di lavoratori nel settore “Chimici”
Numero di lavoratori nel settore “Meccanici”
Numero di lavoratori nel settore “Tessili”
Numero di lavoratori nel settore “Alimentaristi”
Numero di lavoratori nel settore “Edilizia”
Numero di lavoratori nel settore “Poligrafici e Spettacolo”
* in alcuni accordi cofirmatarie UGL, Confsal, Cisal
Numero di lavoratori nel settore “Commercio”
*in alcuni accordi cofirmatarie Confamar, Federcolf, UGL
Numero di lavoratori nel settore “Trasporti”
* in alcuni accordi cofirmatarie Cisal, Usclac, Uncdim, Confsal, Orsa, Savt
Numero di lavoratori nel settore “Credito e assicurazioni”
*in alcuni accordi cofirmatarie Fabi, UGL, Unisin, Dircredito FD, Sinfub, Fna, Snfia, Falcri, Silcea, Snalec
Numero di lavoratori nel settore “Aziende di servizi”
* in alcuni accordi cofirmataria Fiadel
Numero di lavoratori nel settore “Enti e istituzioni private”
*in alcuni accordi cofirmatarie Confsal, Sinasca, UGL
Conclusioni
I dati che emergono dall’Inps rendono chiaro e indiscutibile il quadro di riferimento sui contratti applicati in Italia. Le cifre mostrano quanto oggi (più che mai) sia necessario selezionare i sistemi contrattuali legittimati a determinare la base imponibile minimale per i contributi di previdenza e assistenza, che possano esercitare le deleghe di legge in favore della contrattazione collettiva, nonché stabilire quali aziende possano usufruire di benefici economici e normativi, partecipare a gare di appalti pubblici, sottoscrivere accordi di prossimità, ecc. Dall’altro lato, i dati inducono a una riflessione sulla persistente (in)attualità del criterio della rappresentatività comparativa: anziché affannarsi nella ricerca della “pietra filosofale”, cioè la rappresentatività delle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo, non sarebbe forse più pratico e in linea con le caratteristiche del sistema italiano di relazioni industriali valorizzare il dato di effettività dell’azione collettiva, promuovendo i sistemi contrattuali maggiormente applicati perché maggiormente capaci di regolare in modo equilibrato un determinato assetto di interessi nel mercato del lavoro? È chiaro che una prospettiva di questo tipo implicherebbe ripensare la tecnica normativa attraverso cui si selezionano i contratti collettivi abilitati all’esercizio delle deleghe di legge o quelli utili ad identificare la c.d. retribuzione parametro. Ma forse ne varrebbe la pena anche considerate le oggettive (e forse insormontabili) difficoltà di addivenire a un sistema di certificazione della rappresentatività delle parti sociali sia sul versante sindacale che su quello datoriale.
Adapt Junior Fellow