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Bollettino ADAPT 25 settembre 2023, n. 32
Lo scorso giugno 2023 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha proposto una Raccomandazione dedicata agli apprendistati di qualità nella quale si identifica l’apprendistato come quello strumento utile a dotare i lavoratori delle competenze necessarie, nonché a rispondere alle esigenze formative manifestate dalle aziende per far fronte alle imponenti trasformazioni che abitano il mercato del lavoro (si veda il commento di M. Colombo, Per un apprendistato di qualità: prima lettura della raccomandazione ILO e impatto sul caso italiano, in Boll. ADAPT, 19 giugno 2023). Si tratta, però, di un sistema, quello dell’apprendistato, che in molti paesi ancora evidenzia criticità e debolezze che sempre più il legislatore e le parti sociali tentano di affrontare. Un esempio di come ripensare e sviluppare l’apprendistato viene dal contesto inglese. È stato pubblicato infatti un recente report dal titolo “Join the dots, the role of apprenticeship intermediaries in England” che analizza i dati a seguito della riforma dell’apprendistato in Inghilterra la quale, approvata nel 2017 (per approfondire, si veda C. De Meneghi, Come cambia l’apprendistato in Inghilterra: meno giovani e mobilità sociale, più formazione, in Boll. ADAPT, 16 gennaio 2023), ha introdotto alcune importanti modifiche che interessano la governance, la struttura del sistema nonché le modalità di finanziamento dei percorsi, con l’obiettivo di migliorare la qualità degli apprendistati e, soprattutto, di aumentare gli investimenti delle imprese in formazione e competitività.
Il report dell’Institute for Public Policy Research permette però, a distanza di alcuni anni dall’entrata in vigore della riforma, di tornare sul tema potendo contare su dati aggiornati e soprattutto di introdurre quelli che sono stati i principali adattamenti del sistema a fronte di una così profonda revisione. Tra i più rilevanti, vi è stata la nascita e lo sviluppo di una folta rete di intermediari che, come verrà approfondito di seguito, sono stati la risposta ad alcune disfunzionalità che tuttora persistono.
Come già in parte era emerso in altri studi e articoli, questa riforma ha manifestato sin da subito alcune lacune che hanno compromesso la sua efficacia, influendo negativamente sia sulle imprese che sui giovani lavoratori a cui tali programmi dovrebbero rivolgersi. Sebbene, infatti, alcuni indicatori siano migliorati, si è registrato dal 2015 ad oggi un importante calo riguardo il numero di apprendistati attivati, passati da mezzo milione circa a 349mila. A farne le spese sono stati soprattutto i giovani in cerca di posizioni entry level, quelli cioè a maggior rischio di entrare a far parte dei cosiddetti NEET (Not in Education, Employment or Training). Inoltre, si è registrato un aumento significativo anche tra coloro che abbandona il percorso prima del termine prestabilito, oggi quasi la metà del totale (47%).
Similmente, si segnalano alcune criticità anche lato aziende, soprattutto per quanto riguarda le imprese di medio-piccole dimensioni che faticano a muoversi ed orientarsi in un sistema per loro disfunzionale. Le difficoltà segnalate da questa categoria sono diverse e possono essere brevemente riassunte nei seguenti fattori. Innanzitutto, gli imprenditori lamentano poca chiarezza su come accedere ai fondi, indipendentemente che questi siano messi a disposizione dal governo oppure facciano parte del fondo comune autofinanziato. Si tratta di un problema rilevante che riguarda non solo le modalità di accesso, ma anche i criteri di spesa. Un secondo punto riguarda la scarsità di offerta di apprendisti in particolari settori ed in particolari aree geografiche, mismatch che il sistema fatica a colmare. Altre criticità sono legate, invece, alla mancanza di tempo e risorse richieste alle imprese per seguire tutto il processo. Si tratta, infatti, di un iter lungo e complesso che necessità di una quantità considerevole di risorse, soprattutto in contesti di medio piccole dimensioni. Infine, alcuni segnalano che i costi di cui si devono far carico sarebbero troppo alti, oppure, e questo soprattutto nel caso delle imprese più piccole, di non avere le capacità e le competenze per offrire un percorso di crescita soddisfacente, nonostante vi sia l’intenzione di investire e la consapevolezza che un percorso di apprendistato ben congeniato e adeguatamente supportato possa apportare nel medio lungo periodo un aumento di produttività oggi quanto mai necessario, specialmente in alcuni settori.
In risposta alle criticità evidenziate, dunque, si è sviluppata una rete organica di intermediari, con l’obiettivo primario di aumentare la quantità di apprendistati disponibili, fornendo una gamma di servizi di assistenza alle aziende. Tra le funzioni principali sono incluse: la promozione dei percorsi di apprendistato, servizi di informazione e consulenza ai datori di lavoro, l’aggregazione della domanda dei datori di lavoro per creare economie di scala, la semplificazione della burocrazia e degli oneri amministrativi in capo alle aziende, l’accesso a finanziamenti e incentivi, lo sviluppo di programmi di formazione di qualità e la collaborazione con il governo e altri enti.
È, tuttavia, evidente che le varie strutture di intermediazione differiscano nella loro natura, finanziamento e attività svolta, nonché a livello nazionale, territoriale e settoriale. Gli intermediari possono, infatti, essere istituiti e finanziati da una moltitudine di soggetti, tra cui governo centrale e amministrazioni locali, associazioni industriali, organizzazioni di datori di lavoro, istituti di formazione, organizzazioni più ampie di supporto all’occupazione, o possono operare in modo completamente indipendente. Spesso fanno parte di un’organizzazione più ampia, come un istituto di formazione o un’associazione di categoria. È, inoltre, chiaro come le fonti di finanziamento abbiano un impatto significativo sulla governance e gestione degli intermediari stessi: si evidenzia, ad esempio, come quelli finanziati prevalentemente dallo stato e dunque particolarmente dipendenti dallo stesso, siano più sensibili ai cambiamenti regolativi del sistema di apprendistato e nelle politiche finanziarie. Al contrario, gli intermediari finanziati principalmente dai datori di lavoro devono necessariamente concentrarsi su logiche di mercato, e dunque sulla fornitura di servizi di alta qualità a quest’ultimi. In tal senso, la maggior parte degli intermediari guidati dai datori di lavoro o dall’industria si concentra sulla fornitura di servizi di informazione e consulenza nell’avvio di percorsi di apprendistato, senza però fornire un sostegno attivo nell’organizzazione e nella gestione di tali programmi o nell’orientare il sistema di contributi all’apprendistato.
Servizi più ampi vengono, invece, testimoniati in esempi internazionali.
In Germania, ad esempio, le Camere di Commercio, i principali soggetti che operano nel ruolo di intermediari, non solamente incentivano e assistono le aziende nella creazione di programmi di apprendistato, ma svolgono vere e proprie attività di registrazione, amministrazione, valutazione e monitoraggio dei contratti di apprendistato (per approfondire, si veda M. Dalle Chiaie, La rappresentanza tra tradizione e innovazione/6 – Il ruolo delle “camere di rappresentanza” nella costruzione del sistema duale tedesco, in Boll. ADAPT, 7 novembre 2022). O ancora, le organizzazioni della Rete di Supporto all’Apprendistato Australiano (AASN) offrono servizi all’ingresso e nell’arco di tutta la durata dei percorsi di apprendistato. I primi sono orientati alla facilitazione e alla promozione dei percorsi di apprendistato, proponendo attività di selezione dei candidati e verifica delle competenze, consulenza e servizi di incontro fra domanda e offerta. I secondi comprendono invece tutti i servizi amministrativi, promozionali, contrattuali e finanziari tali da rendere effettivo e funzionante il sistema dell’apprendistato. In tal senso, tali organizzazioni offrono anche supporto durante la formazione.
Anche nel contesto inglese vi sono alcune eccezioni, come l’Association of Accounting Technicians, che offre assistenza ai datori di lavoro nell’individuare il percorso di apprendistato appropriato e nella ricerca di un ente di formazione adeguato. Ancora, altre organizzazioni agiscono come datori di lavoro per gli apprendisti, gestendo la loro formazione e mettendoli a disposizione di altri datori di lavoro, principalmente piccoli-medi imprenditori altamente specializzati del settore edile, dunque apparentemente agendo in modo non dissimile dalle agenzie per il lavoro in Italia. Accanto a questi, sta inoltre emergendo un nuovo modello definito “per lavori flessibili”, specificamente progettato per i lavoratori con contratti a breve termine o impieghi non convenzionali. Gli apprendisti per lavori flessibili possono conseguentemente gestire autonomamente i propri contratti con più datori di lavoro o farlo attraverso un’agenzia specializzata in apprendistato per lavori flessibili.
Accanto alla varietà di sistemi di finanziamento o di servizi offerti, gli intermediari differiscono anche per natura: la categoria include associazioni di settore, sindacati, camere di commercio, organizzazioni comunitarie e istituti di istruzione.
Nello specifico contesto inglese, gli intermediari sono principalmente istituiti da entità a livello locale o regionale del settore pubblico, ovvero da organizzazioni industriali settoriali. Difatti, l’evoluzione degli intermediari nell’esperienza nazionale presentata dal report non è stata oggetto di una pianificazione centralizzata; piuttosto, essa è stata una risposta del sistema alle esigenze dei datori di lavoro e ai cambiamenti nelle politiche, spesso guidata da enti locali, governi regionali o organizzazioni industriali. Tuttavia, questa natura spontanea degli enti di intermediazione ha comportato disuguaglianze a livello territoriale e settoriale nella disponibilità dei servizi, con alcune regioni e settori privi di tale supporto.
Nonostante ciò, è possibile individuare alcune caratteristiche di primaria importanza che risultano indispensabili per l’effettivo successo delle attività degli intermediari, tra cui la conoscenza del tessuto locale in cui operano, ovvero dei settori in cui è più necessario il loro intervento, volta a una più precisa personalizzazione dei servizi erogati; l’orientamento a lungo termine; le relazioni collaborative all’interno del più ampio sistema dell’apprendistato; la flessibilità e una solida organizzazione operativa, nonché l’indipendenza e l’imparzialità, proprio al fine di non essere troppo volubili alle modifiche delle discipline o dei finanziamenti.
D’altro canto, è altresì evidente come numerose siano le sfide a cui gli intermediari devono rispondere, e che riguardano la sostenibilità finanziaria, la complessità delle politiche e dei sistemi, nonché la necessità di fornire servizi di alta qualità in un contesto complesso caratterizzato dalla presenza di altri attori.
Nello specifico contesto oggetto di questa ricerca emerge quindi che, a seguito della riforma del 2017, vi è stata una diminuzione del numero di apprendistati, soprattutto quelli svolti presso le piccole e medie imprese (PMI). In tale quadro, si è però sviluppata in modo sempre più organico una rete di supporto intermedio che mira a rispondere alle sfide poste dalle nuove disposizioni, prendendo spunto anche da esperienze internazionali. Diviene, quindi, evidente come gli intermediari possano svolgere un ruolo centrale nell’assicurare che tutti i settori e tutte le imprese abbiano accesso ai sistemi di apprendistato di alta qualità. Ciò contribuirebbe a potenziare la capacità degli apprendistati nel promuovere il miglioramento delle competenze, affrontare le disuguaglianze regionali e aumentare la produttività delle imprese in tutti i settori.
È, dunque, chiaro come il sistema dell’apprendistato abbia il potenziale di trasformare significativamente sia l’offerta che la domanda del mercato del lavoro, in termini di competenze, professioni e produttività delle imprese e dei vari settori. È altrettanto indubbio, però, come sia auspicabile un intervento dei corpi intermedi, come gli intermediari inglesi o le altre buone pratiche mappate dal report, che in Italia potrebbero ad esempio trovare un primo centro locale e territoriale di sviluppo di progettualità dedicato all’apprendistato negli enti bilaterali, proprio affinché tale potenziale sia adeguatamente sostenuto e sviluppato per massimizzare i benefici a livello economico e sociale.
Michele Corti
ADAPT Junior Fellow
@michele_corti
Sara Prosdocimi
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena