Indicato dal Legislatore come la “modalità prevalente per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”, l’apprendistato ancora non decolla e non convince pienamente imprese e operatori. Anche il sistema permanente di monitoraggio delle politiche del lavoro attivato dalla legge Fornero sembra confermarlo. Il recente rapporto del Ministero del lavoro sul primo anno di attuazione della legge n. 92/2012 vede infatti posizionarsi l’apprendistato come fanalino di coda tra le tipologie di accesso al lavoro. È certamente vero che, sul versante della domanda di lavoro, i flussi occupazionali mostrano una flessione generalizzata delle assunzioni (-9,6% tendenziale nel secondo trimestre 2013). La quota più consistente delle nuove assunzioni è tuttavia rappresentata dai rapporti di lavoro a tempo determinato (69,3% del totale dei contratti) seguiti, a larga distanza, dai rapporti a tempo indeterminato (15,4%), dalle collaborazioni a progetto (5,9%) e, buoni ultimi, dai contratti di apprendistato (2,7%).
Esperti e addetti ai lavori si dividono sulle ragioni del mancato decollo dell’apprendistato. Incide, indubbiamente, il ciclo economico negativo che vede i giovani tra i più penalizzati nell’accesso al lavoro. In Italia più che altrove, con tassi di disoccupazione giovanile tre volte superiori a quelli degli adulti. Non secondari sono poi gli effetti della riforma Fornero delle pensioni che, nell’allungare l’età di permanenza al lavoro, ha ridotto ulteriormente le opportunità di accesso al lavoro per i più giovani. Ancora tutta da valutare – ma certamente dannosa anche solo a livello intuitivo – è poi la concorrenza dei tirocini che, sorprendentemente, non vengono presi in considerazione dal rapporto di monitoraggio del Ministero del lavoro. Vero è che i tirocini, a differenza dell’apprendistato, non sono un contratto di lavoro. Eppure, dopo le linee-guida Fornero, l’alternativa di un agile canale di inserimento al lavoro come lo stage, con durate lunghe fino a 12 mesi e mini compensi che oscillano tra i 300 e i 600 euro, rende meno conveniente, agli occhi di operatori e imprese, l’apprendistato ritenuto, a torno o a ragione, maggiormente oneroso e di più complessa gestione.
Come giustamente rileva il Ministero del lavoro, il drastico calo dell’apprendistato, particolarmente evidente nella fascia di età al di sotto dei 19 anni, non può non offrire lo spunto anche per una riflessione sulla bontà dei modelli di formazione in alternanza adottati dalle nostre Regioni. Viene infatti da chiedersi se la domanda di lavoro in apprendistato sia correlata, in negativo, alla diversificazione su base regionale della formazione di base e trasversale. Una recente ricerca ADAPT pare tuttavia indicare come quello della frammentazione regionale sia, il più delle volte, un alibi e che il vero problema sia ancora di tipo culturale e progettuale nella messa a regime settore per settore del sistema dell’apprendistato in tutte le sue modalità specie quelle che prevedono il raccordo tra scuola e lavoro secondo il noto modello duale tedesco. Non è forse un caso che il drastico calo di questa tipologia contrattuale sia evidente in tutte le Regioni, ma non nella Provincia Autonoma di Bolzano, dove l’apprendistato è riservato prevalentemente ai minorenni per l’accesso alla qualifica e al diploma (c.d. apprendistato di primo livello) e dove, non del tutto sorprendentemente almeno rispetto ai trend internazionali dell’apprendistato, si registra una crescita del 6% rispetto all’anno precedente.
La ricerca ADAPT mostra, in ogni caso, che anche per l’apprendistato professionalizzante gli ostacoli delle normative regionali siano più apparenti che reali. Dopo il Testo Unico del 2011 la formazione di mestiere è interamente affidata alla contrattazione collettiva, residuando un monte di 120 ore nell’arco del triennio per la formazione di base e trasversale. Tenuto conto dell’età, del titolo di studio e delle competenze dell’apprendista molte Regioni hanno tuttavia previsto una significativa riduzione della durata che può arrivare a sole 40 (pari 5 giorni nell’arco del triennio) per gli apprendisti in possesso di laurea. Non solo. Nella stragrande maggioranza delle Regioni è persino possibile, a determinate condizioni, svolgere interamente la formazione – non solo di mestiere, ma anche trasversale – in azienda superando così in radice ogni temuta ingerenza della burocrazia regionale. Vero è, semmai, che non sempre le imprese e i loro consulenti sono attrezzati a gestire internamente la formazione che, per funzionare, impone non solo la presenza di maestri di mestiere, progettisti e drafters di piani formativi che ancora mancano, ma anche un moderno sistema di relazioni industriali in grado di dialogare con la scuola e l’università attraverso la metodologia dell’alternanza prevedendo altresì costi retributivi contenuti in ragione della rilevanza dell’onere formativo.
Michele Tiraboschi
Coordinatore scientifico ADAPT
@Michele_ADAPT
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* Il presente articolo è pubblicato anche in Il Sole 24 Ore, 26 gennaio 2014 con il titolo Maggior dialogo tra imprese e scuola.
L’apprendistato nel rapporto di monitoraggio del Ministero del lavoro tra falsi miti e realtà