Si parla tanto dell’assegno di ricollocazione come strumento innovativo di punta del Jobs Act (d.lgs 150/2015) per rilanciare l’occupazione. Però, fin dall’esordio della sperimentazione, si capisce che lo strumento non funziona. Intanto, la sperimentazione ha riguardato, sui circa 700-800 mila percettori della Naspi (nuova assicurazione sociale per l’impiego) solo 20.000 lavoratori, estratti a sorte. Di questi, all’avvio, hanno risposto solo in 600, come ha rilevato il professor Pietro Ichino. È possibile che col procedere della sperimentazione la percentuale per ora molto bassa di lavoratori interessati aumenti. Il punto non è questo quanto, piuttosto, la stessa concezione dello strumento dell’assegno di ricollocazione come metodo per riformare i servizi per il lavoro e renderli più efficaci.
Partiamo, allora, da una considerazione proposta proprio dal prof. Ichino, che evidenzia gli attuali problemi della sperimentazione, non in linea con la riforma del Jobs Act che “mira invece a coniugare un forte sostegno economico e servizi di assistenza efficaci con una regola seria di condizionalità, volta proprio a evitare che il sostegno del reddito incentivi l’inerzia dei beneficiari, diventando un fattore di allungamento dei periodi di disoccupazione”.
Dietro questa frase vi sono gli errori di impostazione della logica del Jobs Act e, dunque, anche dell’assegno di ricollocazione…
Continua a leggere su phastidio.net