L’attivazione lavorativa del Reddito di cittadinanza passa per l’Assegno di ricollocazione

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Bollettino ADAPT 22 luglio 2019, n. 28

 

Si dibatte molto sulla virtualità delle politiche di attivazione lavorativa dei beneficiari del Reddito di cittadinanza (RdC) (vedi da ultimo Cazzola). Poco discusso è invece il ruolo che potrebbero avere gli operatori privati accreditati nel sovvertire questa virtualità. Inaspettatamente, infatti, alla attivazione dei beneficiari del RdC potranno dare un contributo anche questi ultimi e non solo i Centri per l’impiego (Cpi). Desta stupore questa decisione, posto che alcune prese di posizione lasciavano presagire una fiera opposizione a soluzioni di questo tipo. Peraltro, alcuni fondamentali cambiamenti intervengono proprio sul nodo che, secondo alcuni, aveva determinato nel passato il sostanziale insuccesso dello strumento volto a coinvolgere gli operatori accreditati nella gestione delle politiche attive. Ma procediamo con ordine.

 

Il 16 giugno 2019 il Consiglio di Amministrazione dell’Anpal ha approvato una importante delibera (la n. 5/2019). In attuazione della Legge che ha istituito il RdC (art. 9, d.l. n. 4/2019, convertito dalla l. n. 26/2019), con questa delibera, è stato infatti reso operativo anche per questa platea l’Assegno di Ricollocazione (AdR), misura fortemente voluta dal precedente Esecutivo (per una rassegna ragionata si veda Ichino). L’istituto, disciplinato da uno dei decreti attuativi del Jobs Act (d.lgs. n. 150/2015), introduce un quasi mercato nei servizi di assistenza alla ricerca di una nuova occupazione: viene distribuito un voucher spendibile presso un Cpi, oppure un operatore pubblico o privato accreditato, al fine di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro. Sulla scorta di una consolidata esperienza regionale (la Dote lavoro della Regione Lombardia), anche nel settore dell’erogazione dei servizi al lavoro è così attribuita all’utente la “libertà di scelta” sull’operatore cui rivolgersi per ottenere il servizio pubblico. L’introduzione del voucher estende il principio della concorrenza, già garantito dall’accreditamento dal lato dell’offerta del servizio (l’operatore che ottiene l’accreditamento, opera in nome e per conto della amministrazione ed eroga un servizio pubblico), anche dal lato della domanda del servizio.

 

Dal punto di vista operativo, l’AdR, dopo una prima fase di sperimentazione, che ha coinvolto circa 2.700 individui e che si è svolta tra marzo e dicembre 2017, è entrato a regime nel febbraio 2018. La delibera del 2019 chiude questa stagione e rispetto al passato interviene, sostanzialmente, su due aspetti, entrambi, in potenza, in grado di ampliare l’area di operatività dell’istituto.

 

Innanzitutto cambia la platea dei potenziali beneficiari. Prima il voucher poteva essere richiesto da: beneficiari della Naspi disoccupati da almeno 4 mesi; beneficiari del ReI, ove previsto nel progetto personalizzato e, infine, titolari di Cigs per riorganizzazione o crisi aziendale, nel caso di sottoscrizione di un piano di ricollocazione dei lavoratori. Ora, temporaneamente scippando le risorse al primo gruppo – i titolari di Naspi fino al 31 dicembre 2021 non potranno richiedere il voucher – l’AdRdC (è questo il nuovo acronimo della misura) viene assegnato ai beneficiari del RdC tenuti a sottoscrivere il Patto per il lavoro.

 

Non tutti infatti sono tenuti a stipulare questo patto. Alcuni sono del tutto esonerati dagli obblighi di attivazione (non sono tenuti a sottoscrivere alcun “accordo”). Minorenni, occupati, studenti, pensionati e coloro che hanno età pari o superiore a 65 anni e disabili sono del tutto esonerati (solo questi ultimi possono comunque manifestare la loro disponibilità al lavoro, nei limiti del collocamento mirato). Invece, per care-giver (i soggetti con carichi di cura in presenza nel nucleo di minori di tre anni, o soggetti con disabilità grave o non autosufficienza), working poor (lavoratori il cui reddito complessivo annuo lordo non superi gli 8.000 € se dipendenti, 4.800 se autonomi) e soggetti in formazione decide l’ufficio che effettua la cd. presa in carico.

Oltre a questo gruppo, non rientrano nella platea, coloro che sono tenuti a sottoscrivere, presso il Comune, il patto per l’inclusione sociale e non quello per il lavoro, in quanto il loro bisogno è “multidimensionale”. Sinteticamente, l’individuazione dei due gruppi avviene in due fasi successive: la prima (profilazione algoritmica) è effettuata dalla piattaforma digitale che, sulla base di un pronostico di occupabilità – e cioè alcune condizioni soggettive che certificano la vicinanza/distanza dal mercato del lavoro – determina l’ufficio competente alla prima convocazione del soggetto. In caso di esito positivo del pronostico (vicinanza) la prima convocazione è effettuata dal Cpi, in caso contrario (distanza) dal Comune. La seconda fase (profilazione qualitativa) è di competenza degli stessi uffici, che verificano il pronostico algoritmico ed eventualmente lo sovvertono: se il Cpi ravvisa “particolari criticità” nel nucleo familiare, le quali rendano difficoltoso l’avvio di un percorso di inserimento al lavoro, può inviare, tramite la piattaforma, il beneficiario al servizio comunale. Allo stesso modo, se questo ufficio verifica che i bisogni del nucleo familiare e dei suoi componenti siano prevalentemente occupazionali, attraverso la piattaforma, gira i nominativi ai Cpi.

 

L’assegnazione dell’AdRdC può, tuttavia, interrompere la procedura appena descritta, bloccandola alla prima fase. L’effetto è determinato proprio dall’altra novità fondamentale rispetto alla precedente disciplina. Quest’ultima, aveva un difetto insanabile e cioè l’assenza di una “regola seria di condizionalità”: l’AdR era attribuito a richiesta del disoccupato, era cioè volontario. Proprio per superare questo vizio, il voucher è invece divenuto obbligatorio e condizione per la conservazione del RdC: la Legge stabilisce che sia attribuito dall’Anpal a tutti i soggetti tenuti alla stipula del patto per il lavoro e che questa assegnazione faccia sorgere l’obbligo, pena decadenza dal beneficio economico, di scegliere un operatore entro 30 giorni dalla stessa assegnazione. Nel dettagliare questa disciplina, la delibera Anpal in commento dispone che il Cpi, perentoriamente entro e non oltre i 60 giorni dal riconoscimento del beneficio economico, deve verificare se il beneficiario rientra tra i soggetti tenuti alla stipula del Patto per il lavoro e quindi autorizzare l’assegnazione dell’AdRdC. Decorso tale termine, comunque, l’Anpal procede alla assegnazione automatica del voucher.

La tempistica stringente, con la spada di damocle dell’attribuzione automatica, potrebbe avere l’effetto, in alcuni territori del Mezzogiorno – quelli dove sono più alti i numeri dei benefici economici concessi e dove i Cpi sono meno efficienti – di un consistente sviluppo del quasi mercato. Aldilà di questo esito, peraltro, l’effetto macroscopico potrebbe essere l’assenza della fase di verifica qualitativa del pronostico di occupabilità algoritmico; in sostanza, potrebbero ricevere l’AdRdC soggetti che, piuttosto di essere avviati ad un percorso di sola attivazione lavorativa, avrebbero dovuto essere avviati ad un più complesso percorso di inclusione sociale.

 

Un altro rischio desumibile dalla lettura della Legge, è stato scongiurato dalla delibera. Nella prima è stabilito che, decorsi infruttuosamente 30 giorni dalla individuazione dell’operatore, senza che questo si sia attivato, il beneficiario sia tenuto a rivolgersi ad un altro soggetto. La norma, così scritta, è un cristallino lasciapassare all’azzardo morale degli operatori accreditati, posta l’assenza di un obbligo di presa in carico: difronte ad un “incollocabile”, l’operatore può semplicemente lasciare trascorrere il termine senza attivarsi, con un’inversione dell’onere di attivazione a carico del beneficiario. Fortunatamente, in sede applicativa, il rischio è stato neutralizzato. Infatti, nella delibera, è previsto che, dopo due infruttuosi tentativi di scelta dell’operatore, si sospende l’obbligo di scegliere un operatore, pena la perdita del beneficio economico; comunque – è scritto a chiare lettere – “La sede operativa scelta dal lavoratore non può rifiutare l’attivazione del servizio di assistenza intensiva alla ricerca di lavoro”.

 

Un’ultima questione. In disparte dalle due fondamentali novità sopra segnalate, la struttura dello strumento è rimasta sostanzialmente immutata rispetto al passato. Particolarmente delicata è la determinazione del quantum della remunerazione in favore dell’operatore incaricato. Si tratta di contrastare in particolare il creaming (selezione dei disoccupati più facili da collocare/ricollocare) e il parking (scarsa assistenza nei confronti dei soggetti con maggiori barriere al reingresso o che non garantiscono il raggiungimento degli obiettivi occupazionali) e la remunerazione può essere utilizzata a questo fine, imponendo stringenti sistemi di misurazione delle performance. Secondo la disciplina legale del 2015, il corrispettivo si deve comporre di due parti, una riconosciuta a risultato occupazionale ottenuto e l’altra “a processo”, in ragione delle attività propedeutica alla ricollocazione. Rispetto al passato, i valori della prima sono rimasti invariati (da un valore minimo di 1.000 ad un massimo di 5.000 €, a seconda della durata del contratto di lavoro, della regione di residenza e dell’indice di profilazione del soggetto). Anche il tetto massimo dell’altra parte (Fee4Services), è rimasto invariato (€ 106,50), ma risulta innalzato il numero massimo di ore riconoscibili a questo titolo (da 6 a 9 volte il numero dei successi occupazionali ottenuti). Sebbene nel caso della nuova platea potrebbe essere oggettivamente più difficile il percorso di ricollocazione lavorativa, resta che l’innalzamento della parte fissa del compenso potrebbe generare il rischio di affievolire il legame tra quest’ultimo e la verifica delle performance dell’operatore.

 

Manuel Marocco

Ricercatore INAPP (*)

@manuelmarocco

 

(*) Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.

 

L’attivazione lavorativa del Reddito di cittadinanza passa per l’Assegno di ricollocazione