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Bollettino ADAPT 29 gennaio 2024, n. 4
Lo scorso 29 dicembre il Ministero della Funzione Pubblica è tornato ad occuparsi di lavoro agile per i dipendenti cd. “fragili” con una nuova direttiva. Il documento, venuta meno la contingenza pandemica, che aveva giustificato l’obbligatorietà dello strumento per i lavoratori più a rischio di contagio, evidenzia la necessità di continuare a garantire a tali soggetti il ricorso alla modalità agile, attraverso apposite previsioni negli accordi individuali, anche in deroga al criterio della prevalenza del lavoro in presenza. Alle amministrazioni e, in particolare, ai loro dirigenti, è rimessa l’individuazione delle misure organizzative a tal fine necessarie e l’adeguamento delle proprie discipline interne ai contenuti della direttiva.
Per comprendere la portata dell’intervento, occorre ricostruire sinteticamente lo scenario preesistente. Prescindendo dalla lunghissima sequela di provvedimenti – per lo più decreti legge – succedutisi da marzo 2020 ad oggi, occorre ricordare che, dopo la precedente proroga ad opera dell’art. 23-bis del D.L. n. 115/2022 (conv. in Legge n. 142/2022), la legge di bilancio per il 2023 (art. 1, co. 306, Legge n. 197/2022) ha confermato, fino al 31 dicembre dello stesso anno, l’accesso alla modalità agile per tutti i lavoratori affetti dalle patologie e dalle condizioni individuate con decreto del Ministro della salute (Decreto 4 febbraio 2022, emanato di concerto con i Ministri del Lavoro e della Pubblica Amministrazione), sia del settore pubblico che di quello privato. Il ricorso a tale modalità, in particolare, doveva essere garantito «anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento» e ferme le eventuali disposizioni contrattuali più favorevoli. Per il personale docente in modalità agile, in particolare, era stata prevista l’adibizione ad attività di supporto all’attuazione del Piano triennale dell’offerta formativa.
In vista dell’approssimarsi della fine dell’anno, l’art. 18-bis del D.L. n. 145/2023 (conv. in Legge n. 191/2023), richiamando a sua volta la normativa emergenziale (in particolare l’art. 90 del D.L. n. 34/2020, conv. in Legge n. 77/2020), ha disposto, da ultimo, la proroga, solo per il settore privato e fino al 31 marzo 2024, del diritto ad accedere a tale modalità per i lavoratori con figli di età inferiore ai 14 anni e per coloro che, sulla base delle valutazioni dei medici competenti, risultino maggiormente esposti al contagio, in ragione della loro età o di altri fattori di rischio (quali immunodepressione, esiti di patologie oncologiche o di terapie salvavita, situazioni di comorbilità). Il settore pubblico, ferma restando la scadenza della precedente disposizione al 31 dicembre 2023 e in assenza di ulteriori indicazioni, restava invece privo di apposita disciplina.
In questo scenario, si inserisce la direttiva del Ministero della Funzione Pubblica, con l’obiettivo di «sensibilizzare la dirigenza» ad un uso degli strumenti di flessibilità già esistenti (sebbene oggetto del documento sia solo il lavoro agile), orientato alla salvaguardia dei soggetti più deboli. Il documento, infatti, richiama l’evoluzione della modalità agile negli ultimi anni, ricordando, in particolare, come da mezzo emergenziale – volto a minimizzare il rischio di contagio e a garantire la contestuale funzionalità della pubblica amministrazione – abbia recuperato la propria natura di strumento organizzativo, regolato dalla legge, dalla contrattazione collettiva e dall’accordo individuale. Proprio la presenza oggi di una disciplina (specie contrattuale) consolidata e la «padronanza, da parte delle amministrazioni, dello strumento del lavoro agile», inducono il Governo a non prorogare ulteriormente il previgente obbligo di adibizione a tale modalità di lavoro, rimettendo a ciascun ente le modalità di accesso allo strumento, per i lavoratori che documentino «gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute, personali e familiari».
Chiariti i contenuti della direttiva e lo scenario su cui questa si innesta, è possibile a questo punto sviluppare alcune considerazioni quanto al metodo e al merito della stessa.
Preliminarmente, non può trascurarsi la scelta del Ministro di optare per una fonte di rango secondario in luogo del precedente strumento legislativo. Specie a fronte dell’attuale assetto tripartito di regolazione del lavoro agile (legge, contratto collettivo e accordo individuale) e nella prospettiva del definitivo superamento di quattro anni di normazione emergenziale, forse sarebbe stato più opportuno regolare con legge un aspetto così delicato e centrale della materia.
Quanto al merito dell’intervento, in primo luogo, la formulazione della direttiva appare generica, atteso che, nell’evidenziare la necessità di continuare a garantire ai suddetti lavoratori il ricorso alla modalità agile, la stessa richiama il (possibile) superamento del criterio di prevalenza del lavoro in presenza rispetto a quello da remoto (già fissato con DM 8 ottobre 2021 e ribadito poi nelle linee guida, rese dal Ministero nelle more della stipula dei rinnovi contrattuali), senza precisare i termini di tale deroga e aprendo, così, la strada a soluzioni anche profondamente eterogenee tra le singole amministrazioni. Tale rischio è inoltre accentuato dalla circostanza che l’attuazione della direttiva sia, di fatto, rimessa alla sola scelta unilaterale dei dirigenti.
A questo proposito, viene infatti da chiedersi se anche tale valutazione sia opportuna. Se si guarda allo scenario esistente, nella prospettiva di un sistema integrato – e non solo plurale – di fonti che regolino lo strumento, si osserva come la disciplina legislativa già presti attenzione alle peculiari condizioni di salute – personali e familiari – dei lavoratori: l’art. 18 co. 3 bis della Legge n. 81/2017, ad esempio, riconosce il diritto di priorità nell’accesso alla modalità agile per i lavoratori con figli fino a 12 anni e senza limite per i figli in condizioni di disabilità, nonché per i lavoratori con grave disabilità ai sensi dell’art. 4, co. 1 della Legge n. 104/1992). Al contempo, nei rinnovi contrattuali per il triennio 2019-2021, valorizzati dalla stessa direttiva, si prevede che le amministrazioni, previo confronto con le OO.SS., abbiano cura di facilitare l’accesso al lavoro agile «ai lavoratori che si trovano in condizioni di particolare necessità, non coperte da altre misure» (art. 12 CCNL Istruzione e Ricerca, art. 64 CCNL Funzioni Locali, art. 37 CCNL Funzioni Centrali e art. 77 CCNL Sanità). Inoltre, tanto per i criteri generali delle modalità attuative del lavoro agile, quanto per quelli di priorità per l’accesso allo strumento, è richiesto il preventivo confronto con le organizzazioni sindacali, inducendo pertanto a domandarsi se, anche lasciando ai dirigenti la definitiva regolazione del ricorso allo strumento per i lavoratori più fragili, non sarebbe stato opportuno prevedere anche per tale misura la medesima forma di partecipazione sindacale.
Sempre rispetto al ruolo della dirigenza, il recente intervento del Ministero presenta, infine, un’ulteriore criticità. Mentre, infatti, nel settore privato, stando all’ultima proroga (31 marzo 2024), l’accertamento delle condizioni di salute che legittimano l’accesso al lavoro agile è rimesso al medico competente, tale elemento scompare nella direttiva per il pubblico impiego contrattualizzato, in cui tale verifica – in assenza di ulteriori indicazioni – sembrerebbe rimessa allo stesso Dirigente, in molti casi privo delle competenze a tal fine necessarie. A ciò si aggiunga che, venuto meno il Decreto Ministeriale che individuava le patologie e le condizioni sanitarie abilitanti il ricorso allo strumento, la legge specifica solo per il settore privato i fattori di rischio che possono giustificare la valutazione del medico competente, mentre la direttiva rimette a non meglio precisate «gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute, del lavoratore o della sua famiglia».
Se dal piano teorico si passa a quello applicativo, a meno di un mese dalla sua emanazione, è possibile ricostruire qualche dato sul recepimento della Direttiva. Le soluzioni finora appaiono eterogenee. Nell’ambito delle Amministrazioni centrali, ad esempio, il Ministero del Lavoro ha previsto, fino al 31 marzo 2024, lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile per 5 giorni a settimana al personale che rientri nelle condizioni di cui al D.M. 4 febbraio 2022 o che abbia ottenuto parere positivo del medico competente circa il riconoscimento della propria condizione di fragilità. Analogamente, il Ministero dell’Interno e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, nelle more dell’adeguamento del proprio regolamento interno di lavoro agile, dispongono, fino al 31 marzo 2024, la proroga delle precedenti modalità per i lavoratori fragili, definiti, in particolare, dal Ministero, come coloro che risultino affetti da patologie croniche con scarso compenso clinico e di particolare gravità, rinviando altresì al suddetto decreto interministeriale del 2022.
L’attività di recepimento appena iniziata darà senza dubbio riscontri interessanti, offrendo alle amministrazioni pubbliche la possibilità, almeno fino al prossimo intervento legislativo in materia, di abbandonare le precedenti misure emergenziali e assicurare davvero un utilizzo strutturale dello strumento, anche per la salvaguardia dei lavoratori più esposti a situazioni di rischio per la salute.
Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento ed Innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena