Lavoro autonomo: il nuovo quadro legale

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La legge n. 81/2017, frutto di un lungo e controverso dibattito parlamentare sul c.d. “Statuto del lavoro autonomo” e che molto deve alla originaria proposta Damiano-Fassina del 2014 ([1]), introduce, accanto a una disciplina del lavoro agile o c.d. smart working di dubbia tenuta sul piano pratico e operativo ([2]), una serie di rilevanti novità in materia di lavoro autonomo non imprenditoriale. Si tratta, indubbiamente, di un primo significativo passo in avanti per il riconoscimento di una rete di tutele basilari per le variegate forme di lavoro non dipendente. Resta tuttavia da valutare la tenuta dell’impianto della riforma, nel medio e soprattutto nel lungo periodo, in quanto conferma, in coerenza al Jobs Act (e in particolare al decreto legislativo n. 81/2015), una persistente centralità del lavoro subordinato (seppure ora alleggerito da alcune rigidità normative ed organizzative nel suo utilizzo) e una rigida dicotomia tra lavoro autonomo e lavoro dipendente che non trova tuttavia riscontro nella più recente evoluzione dei modi di lavorare e produrre ([3]).

 

Le nuove tutele

La legge n. 81/2017 introduce, per prima cosa, alcune garanzie di natura contrattuale. In particolare, vengono individuate alcune condotte e pratiche contrattuali abusive, come le limitazioni al potere di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali e di recesso del committente, che vengono ora vietate. È sancita poi la nullità di clausole che fissano termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data di ricezione della fattura o della richiesta di pagamento e viene, infine, qualificata come condotta abusiva anche il rifiuto del committente a stipulare un contratto in forma scritta. Le condotte abusive sono fonte di responsabilità civile per il committente e il lavoratore ha diritto al risarcimento danni.

Ai lavoratori autonomi vanno inoltre riconosciuti i diritti di utilizzazione economica di apporti originali e invenzioni che abbiano realizzato nell’espletamento della loro attività, ad eccezione dei casi in cui l’attività inventiva costituisca oggetto del contratto.

 

Viene poi introdotta, a sostegno della maternità delle lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata INPS, la possibilità di fruizione della indennità di maternità per i due mesi precedenti la data del parto e per i tre mesi successivi, anche in caso di mancata astensione dal lavoro. La lavoratrice autonoma in maternità potrà inoltre farsi sostituire da persona di fiducia, previo accordo del committente. Si determina inoltre la reviviscenza della garanzia di sospensione del rapporto, per un massimo di 150 giorni per anno solare e fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente, in caso di gravidanza, malattia e infortunio del lavoratore autonomo che presta la sua attività in modo continuativo. In questo caso non è previsto il diritto al corrispettivo.

 

Inoltre, in caso di malattia o infortunio tale da impedire lo svolgimento dell’attività per più di 60 giorni, è prevista la sospensione del versamento dei contributi previdenziali e assicurativi a favore del professionista iscritto alla gestione separata INPS.

 

Di particolare rilievo, nella prospettiva di una tutela del lavoratore autonomo in termini di professionalità e manutenzione delle competenze, sono poi le modifiche relative ai regimi per la deducibilità di spese di iscrizione a master, corsi di formazione o aggiornamento e convegni, comprese quelle di viaggio e soggiorno, ora deducibili integralmente, entro il limite annuo di 10.000 euro.

 

A sostegno della legge n. 4/2013, che ha introdotto un moderno, anche se non ancora decollato, sistema di certificazione delle competenze professionali per i lavoratori autonomi non iscritti ad albi e ordini, si prevede la deducibilità integrale, entro il limite annuo di 5.000 euro, delle spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, nonché delle spese per l’orientamento, la ricerca e il sostegno alla auto-imprenditorialità, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle condizioni del mercato del lavoro, erogati dagli organismi accreditati ai sensi della disciplina vigente.

 

Sono altresì integralmente deducibili gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà.

 

Degna di nota è infine la stabilizzazione della DIS-COLL e la sua estensione agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca con borsa di studio.

 

Tutela o promozione?

Senza dilungarsi ulteriormente sulla disciplina di dettaglio, operazione che qui non condurrebbe a una esaustiva trattazione, è interessante riflettere sugli intenti della riforma, prima di tutto in relazione alla disciplina del lavoro autonomo e poi con riferimento all’assetto contrattuale in generale.

 

Per dirimere la prima questione, bisogna capire se le norme in vigore dal 14 giugno 2017 siano finalizzate a tutelare il lavoro autonomo, alla stregua di un contraente debole, oppure ad incentivarlo per sostenerne la piena autonomia non solo contrattuale ma anche operativa ed organizzativa. Non si tratta di una questione meramente teorica, considerando l’entità del contributo apportato dai lavoratori autonomi al sistema produttivo del Paese e agli scenari oggi aperti dalla grande trasformazione del lavoro. Allo stato attuale si propende per la prima ipotesi, a conferma di un processo normativo che tende ancora ad innestare nell’alveo del lavoro autonomo alcune tecniche e logiche di tutela proprie del lavoro dipendente. Circostanza questa già chiara nella previsione dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 81/2015 in materia di collaborazioni etero-organizzate ([4]) e ora confermata dalla stessa legge n. 81/2017 in materia di lavoro agile che, nel rimpiazzare lo spazio lasciato vuoto dal lavoro c.d. a progetto ([5]), ammette forme di smart working unicamente nella modalità del lavoro dipendente, quantunque si parli di forme di lavoro da remoto per obiettivi e risultato più che in funzione del mero decorso del tempo messo a disposizione del datore di lavoro.

 

Particolarmente utile, in questo senso, è il raffronto tra il testo in vigore e quello della proposta presentata nel 2014 da Damiano e Fassina. Mentre il titolo della legge in esame è Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato, quello della proposta parlamentare del 2014 era Statuto delle attività professionali. Disposizioni per la promozione delle attività professionali autonome e del lavoro autonomo femminile, la regolazione dei rapporti di lavoro autonomo, la tutela della maternità, la previdenza e gli ammortizzatori sociali nonché delega al Governo in materia di pagamento e di garanzia dei crediti in favore dei lavoratori autonomi.

 

La differenza è sostanziale e di natura programmatica. Il progetto del 2014 mirava evidentemente verso un tentativo di organizzazione sistematica e strutturale del lavoro autonomo, in linea con quanto realizzato in altri ordinamenti. Questo carattere sembra mancare alla legge in vigore, che invece interviene in modo mirato su alcuni aspetti particolarmente critici della materia. Pur trattandosi di interventi utili, sembrano selettivi non solo nei confronti delle esigenze dei lavoratori autonomi, ma anche rispetto alle categorie di lavoratori interessati, con il rischio di riproporre in seno alla categoria dei lavoratori autonomi i dualismi che si sono sviluppati negli anni tra questi ultimi e i lavoratori subordinati; con il possibile esito di un indebolimento e ulteriore polverizzazione di questa tipologia di lavoro.

 

Non si sono tradotte in norma neppure, ad esempio, le proposte relative alla introduzione di un obbligo di assicurazione INAIL a carico del committente per quei lavoratori autonomi esposti a particolari rischi; all’istituzione di obblighi formativi in tema di salute e sicurezza; al sostegno alla ricerca e all’innovazione; all’introduzione di forme di sostegno e in caso di crisi di mercato; alla promozione di forme mutualistiche integrative fra lavoratori autonomi, anche con la partecipazione delle imprese committenti e con l’adesione a fondi o a casse già esistenti. Aspetti che invece facevano del progetto del 2014 una proposta innovativa ([6]).

 

Controverso resta poi il nodo della rappresentanza del lavoro autonomo, non a caso oggi conteso tra la rappresentanza datoriale e la rappresentanza sindacale. Si tratta a tutta evidenza di un nodo centrale nella stessa rappresentazione del lavoro autonomo come forma del lavoro del futuro, che affida alla rappresentanza la tutela della professionalità e delle condizioni di contesto (con particolare riferimento alla normativa fiscale e previdenziale), ovvero come nuova frontiera dello sfruttamento e della precarizzazione del lavoro (e come tale idoneo a essere tutelato per il tramite della contrattazione collettiva e di strumenti anche innovativi di conflitto).

 

Il cuore della riforma

Venendo ora alla analisi degli obiettivi perseguiti dal legislatore a livello generale di impianto e sistema normativo, il cuore della riforma pare risiedere nelle poche ma significative disposizioni che si trovano all’articolo 15 del testo di legge. La disposizione completa il percorso di riforma iniziato con il decreto legislativo n. 81/2015. In quell’occasione venivano abrogate le collaborazioni a progetto e si delineavano i caratteri della collaborazione organizzata dal committente. Questa tipologia di prestazione consiste in una collaborazione di lavoro esclusivamente personale, continuativa e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. In virtù di tali caratteristiche il legislatore ha previsto l’applicazione a questa fattispecie delle regole proprie del lavoro subordinato. Con la riforma dell’articolo 409 c.p.c. si completa quello che alcuni commentatori hanno definito una operazione di “spacchettamento” della cosiddetta area grigia compresa tra lavoro autonomo e subordinato, in cui si collocavano una serie di tipologie di rapporti di lavoro che, per via delle loro caratteristiche, non aderivano perfettamente né all’una né all’altra categoria ([7]).

 

In particolare, si introduce la definizione di collaborazione coordinata: tale è la collaborazione in cui, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite dalle parti, il collaboratore organizzi autonomamente l’attività lavorativa.

 

Ecco che in questo caso invece si percepisce, seppure in negativo, una precisa visione di sistema che, come detto, pare tuttavia antistorica e velleitaria perché in netta controtendenza rispetto ai grandi cambiamenti che attraversano il mondo del lavoro ([8]): le tipologie di prestazione che si collocano in una zona intermedia tra lavoro autonomo e lavoro subordinato vanno eliminate e ricondotte ad una delle due categorie sulla base del grado di autonomia organizzativa del lavoratore o, vedendo la questione dalla prospettiva datoriale, sulla base dell’intensità del potere organizzativo del committente. Il tutto nel segno del principio guida della valorizzazione del lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Non ci si può esimere dal sollevare dei dubbi in relazione a questo approccio che è in contraddizione con le attuali istanze dell’Industria 4.0 in termini di ammodernamento dei processi produttivi, che tenga conto dei profondi cambiamenti sociali e tecnologici intervenuti negli ultimi anni. La contraddizione emerge già nell’ambito della stessa legge quando, all’articolo 18 del Capo II, si definisce lo smart working una modalità di esecuzione del lavoro subordinato, senza vincoli di orario o di luogo di lavoro. L’autonomia organizzativa in tema di tempo e luogo della prestazione può, dunque, essere ancora considerata un indice della natura del rapporto, anche alla luce delle nuove istanze organizzative conseguenza dell’evoluzione tecnologica?

 

Un altro dubbio: cosa succede se il potere organizzativo unilaterale del committente dovesse riemergere? In quale misura questo fenomeno sarebbe tollerato? Su questo fronte – come forse su quello di una ridefinizione dei paradigmi tradizionali di lavoro autonomo e subordinato ([9]), che tenga conto della necessità di attribuire minore importanza all’auto-determinazione spazio-temporale della prestazione – potrebbe essere determinante l’interpretazione giurisprudenziale.

 

Quello che emerge è, in conclusione, che il lavoro autonomo indubbiamente esce dalla riforma più tutelato, ma è il lavoro subordinato – oltretutto in senso tradizionale, senza tenere conto delle trasformazioni e delle peculiarità del lavoro contemporaneo – ad essere realmente incentivato e ancora messo al centro degli interventi normativi di regolazione dei processi economici e sociali.

 

Antonella Mauro

ADAPT Junior Fellow

@a_mauro89

 

Michele Tiraboschi 
Coordinatore scientifico ADAPT
@Michele_ADAPT

 

([1]) Camera dei Deputati, atto n. 2017, Statuto delle attività professionali. Disposizioni per la promozione delle attività professionali autonome e del lavoro autonomo femminile, la regolazione dei rapporti di lavoro autonomo, la tutela della maternità, la previdenza e gli ammortizzatori sociali nonché delega al Governo in materia di pagamento e di garanzia dei crediti in favore dei lavoratori autonomi, progetto di legge di iniziativa dei deputati Damiano, Fassina e altri, presentato alla Presidenza il 30 gennaio 2014 (che riproduceva, in parte, la proposta n. 4050/2011 della XVI legislatura d’iniziativa dei deputati Damiano, Fassina, Letta e altri).

 

([2]) Per una analisi di dettaglio cfr. E. Dagnino, M. Menegotto, L.M. Pelusi, M. Tiraboschi, Guida pratica al lavoro dopo la legge n. 81/2017, ADAPT University Press, 2017.

 

([3]) Si veda F. Seghezzi, Siamo sicuri che il mondo si divide tra autonomi e dipendenti? in E. Dagnino, M. Tiraboschi (a cura di), Verso il futuro del lavoro. Analisi e spunti su lavoro agile e lavoro autonomo, ADAPT University Press, 2016, p. 11 e ss.

 

([4]) Si veda M. Tiraboschi, Teoria e pratica dei contratti di lavoro, ADAPT University Press, 2017, III ed., § 17.

 

([5]) In tema, si veda L.M. Pelusi, Lavoro autonomo: analisi comparata tra la proposta Damiano-Fassina e il disegno di legge Poletti, in E. Dagnino, M. Tiraboschi (a cura di), Verso il futuro del lavoro. Analisi e spunti su lavoro agile e lavoro autonomo, cit., p. 33 e ss.

 

([6]) Si veda M. Tiraboschi, Una regolazione agile per il lavoro che cambia, in E. Dagnino, M. Tiraboschi (a cura di), Verso il futuro del lavoro. Analisi e spunti su lavoro agile e lavoro autonomo, cit., p. 3 e ss.

 

([7]) O. Razzolini, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente. Prime considerazioni, in G. Zilio Grandi, M. Biasi (a cura di), Commentario breve alla riforma «Jobs Act», Cedam, 2016, p. 557.

 

([8]) Esemplare Marco Biagi nel saggio presentato al comitato scientifico di Confindustria che portò poi al Libro Bianco sul mercato del lavoro del 2001: «Il mercato e l’organizzazione del lavoro si stanno evolvendo con crescente velocità, non altrettanto avviene per la regolazione dei rapporti di lavoro. Il sistema regolativo dei rapporti di lavoro ancor oggi utilizzato in Italia e, seppur con diversi adattamenti, in Europa, non è più in grado di cogliere – e governare – la trasformazione in atto. La stessa terminologia adottata nella legislazione lavoristica (es. “posto di lavoro”) appare del tutto obsoleta. Assai più che semplice titolare di un “rapporto di lavoro”, il prestatore di oggi e, soprattutto, di domani, diventa un collaboratore che opera all’interno di un “ciclo”. Si tratti di un progetto, di una missione, di un incarico, di una fase dell’attività produttiva o della sua vita, sempre più il percorso lavorativo è segnato da cicli in cui si alternano fasi di lavoro dipendente ed autonomo, in ipotesi intervallati da forme intermedie e/o da periodi di formazione e riqualificazione professionale”.

 

([9]) Per alcuni spunti di riflessione sul tema, A. Mauro, La riforma del lavoro autonomo: una lente per leggere il lavoro che cambia, in Bollettino ADAPT, 15 maggio 2017.

 

*Pubblicato anche su Guida al LavoroIl Sole 24 Ore, 23 giugno 2017

 

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