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Bollettino ADAPT 29 novembre 2021, n. 42
Il 5 novembre scorso, il Parlamento portoghese ha approvato una nuova legge sul lavoro da remoto, la quale modifica ed aggiunge alcuni articoli al c.d. “Codice del Lavoro” (Legge n. 7 del 12 febbraio 2009), fonte principale per la regolazione dei rapporti di lavoro nel paese.
Il provvedimento legislativo oggetto del presente articolo rappresenta l’unione di diversi progetti di legge volti a riformare la disciplina del lavoro da remoto, ed è una diretta conseguenza del massiccio ricorso a tale modalità di lavoro durante la pandemia da COVID-19: in tale senso sono da interpretarsi le affermazioni del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali portoghese Ana Mendes Godinho, la quale, durante un intervento pubblico, ha affermato come “La pandemia ha accelerato il bisogno di regolare quello che deve essere regolato”.
I principali articoli giornalistici che hanno commentato l’approvazione di tale legge hanno sottolineato come la stessa abbia introdotto uno specifico dovere del datore di lavoro di non contattare il lavoratore da remoto durante il periodo di riposo (art. 199-A). Tale notizia è risultata immediatamente di grande interesse, dati gli attuali dibattiti in corso relativamente al fenomeno della sovrapposizione tra le ore di lavoro e quelle di riposo da parte dei lavoratori da remoto, resa molto più semplice dall’immediata possibilità di accesso agli strumenti di lavoro in ogni momento della giornata.
Il cosiddetto work-life blending è infatti identificato da molti come fonte di alcuni dei “nuovi rischi” psicosociali che possono colpire tali lavoratori, rischiando di aumentarne significativamente i livelli di stress fino all’arrivo di un vero e proprio burnout (vedi, in questo senso, F. Malzani, Il lavoro agile tra opportunità e nuovi rischi per il lavoratore, in DLM, 2018, n.1) Le preoccupazioni degli esperti appaiono supportate dai più recenti dati relativamente al lavoro da remoto durante la pandemia da COVID-19. Questi, infatti, mostrano come, per moltissimi lavoratori in Europa, ad un costante uso del lavoro da remoto sia conseguito un effettivo aumento del numero di ore di lavoro: un sondaggio condotto da Eurofound nel marzo del 2021 sembra dimostrare addirittura dimostrare una diretta relazione tra il quantitativo di lavoro svolto al di fuori dei locali aziendali e il rischio di prolungamento dell’orario di lavoro.
Tale trend sembra peraltro essere confermato anche all’interno del contesto nazionale. Un’indagine condotta da FIM-CISL e ADAPT nel corso del 2021 ha infatti rivelato come ben il 59% dei lavoratori del settore metalmeccanico che ha fatto esperienza di lavoro agile durante la pandemia abbia lavorato per un maggior numero di ore rispetto a quelle previste all’interno del proprio contratto. Allo stesso tempo, più del 60% del campione oggetto della ricerca ha rilevato di non essere stato destinatario di alcuna misura volta ad attuare il c.d. “diritto alla disconnessione” previsto dall’attuale legge che regola il lavoro agile all’intero del nostro ordinamento (art. 19, comma 1, legge n. 81 del 2017).
Proprio il diritto alla disconnessione, misura introdotta per la prima volta all’interno dell’ordinamento francese, appare uno strumento fondamentale al fine di impedire il cosiddetto work-life blending. Esso, infatti, comporta l’identificazione di uno specifico periodo di tempo in cui il lavoratore deve essere tutelato da qualsiasi interferenza dell’attività lavorativa sulla propria vita privata. Tale strumento è altresì stato recentemente oggetto di dibattito da parte delle istituzioni europee: risale infatti al gennaio 2021 una risoluzione del Parlamento Europeo nella quale si chiede alla Commissione europea di proporre una direttiva che garantisca ai lavoratori di disconnettersi al di fuori dell’orario lavorativo senza conseguenze disciplinari o relative alla propria carriera.
Una volta identificata la natura del concetto di “diritto alla disconnessione”, tuttavia, ci si rende conto che le disposizioni all’interno della legge portoghese non appaiono idonee a configurare una simile fattispecie, nonostante si riconosca il principio per cui il lavoratore che non risponda alle sollecitazioni fuori orario da parte del datore di lavoro non possa subire ripercussioni legate alle proprie condizioni di lavoro o alle sue opportunità di carriera. L’articolo 199-A, infatti, fa riferimento unicamente a una disconnessione di tipo “verticale”, che tende a proteggere il lavoratore dai tentativi di contatto da parte del datore di lavoro o dai propri superiori gerarchici: non fa al contrario menzione della c.d. disconnessione “orizzontale”, la quale impedisce che il lavoratore venga contattato da parte dei propri colleghi di lavoro. Peraltro, all’interno del testo di legge non si fa mai esplicitamente riferimento all’esercizio di un vero e proprio “diritto” alla disconnessione, contrariamente a quanto previsto da altre discipline nazionali in materia: sembra che una tale previsione fosse prevista all’interno della proposta di legge originaria, ma che sia poi stata espunta nel corso del dibattito parlamentare.
Benché sia stato prevalentemente il diritto alla disconnessione ad attirare l’attenzione dei primi commentatori, altre previsioni della nuova disciplina risultano di particolare interesse. L’articolo 166-A, infatti, prevede come alcune categorie di lavoratori, come le vittime di violenza domestica, coloro che svolgano attività di caregiving, e i lavoratori con figli di età inferiore ai 3 anni (ma anche inferiore a 8, se sussistono determinate condizioni), abbiano diritto a lavorare da remoto qualora svolgano mansioni compatibili con tale strumento.
Simili previsioni appaiono particolarmente originali, trovando pochi equivalenti all’interno delle legislazioni degli altri Stati membri: in Italia, per esempio, solo la legislazione emergenziale ha consentito in via temporanea la creazione di un vero e proprio diritto di accesso al lavoro da remoto, e soltanto per quelle categorie per cui il contagio da COVID-19 poteva risultare particolarmente pericoloso. È da notare, peraltro, che se i “diritti al lavoro da remoto” previsti dalla legislazione italiana appaiono principalmente legati a funzioni di tutela della salute dei lavoratori a cui sono diretti, quelli previsti dalla legislazione portoghese sembrano essere invece diretti alla soddisfazione di quella che è una delle tradizionali finalità dell’istituto, ossia la conciliazione tra vita privata e vita lavorativa.
Il tema della salute e della sicurezza è invece trattato all’interno dell’articolo 170-A della nuova legge portoghese sul lavoro da remoto: particolarmente interessante risulta la previsione che sancisce la necessità di svolgimento di visite mediche sia prima che durante l’esercizio delle prestazioni da remoto, al fine di monitorare l’attitudine fisica e psichica del lavoratore per quanto riguarda tale modalità di lavoro. Attenzione alla tutela psicofisica dei lavoratori a distanza è altresì dimostrata dalla previsione secondo la quale il datore di lavoro, al fine di evitare l’isolamento dei suoi dipendenti, è tenuto a organizzare momenti di contatto in presenza con frequenza almeno bimestrale (art. 169-B, comma 1, lett. d).
In conclusione, dunque, i punti più interessanti relativamente alla nuova regolazione del lavoro da remoto in Portogallo non sembrano coincidere con le previsioni relative alla disconnessione. Esse, infatti, appaiono meramente rivolte a difendere i periodi di riposo del lavoratore dalle potenziali ingerenze da parte del datore di lavoro, non tenendo conto del fatto che, spesso, è il modello organizzativo presente all’interno dei diversi contesti produttivi a mettere a repentaglio la disconnessione del lavoratore a distanza dai suoi strumenti di lavoro. Innegabile è per esempio il collegamento tra diritto alla disconnessione e il concetto di “carico di lavoro”, soprattutto all’interno di modalità di lavoro da remoto modellate sulla filosofia dello smart working, e quindi organizzate per progetti o obiettivi: come sottolineato dalla dottrina che si è lungamente occupata del tema, “una reale disconnessione dall’attività di lavoro […] sarà possibile soltanto laddove la determinazione dei carichi di lavoro sia compatibile con una intensità di lavoro sostenibile in un arco temporale che rispetti i tempi di necessario riposo” (E. Dagnino, Il diritto alla disconnessione nella legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata, DRI, 2017, n. 4, p. 1033).
Una moderna tutela del diritto alla disconnessione, dunque, dovrebbe tenere conto di questo e degli altri fattori che rendono il lavoro da remoto differente da quello svolto all’interno dei locali aziendali, traducendole in soluzioni regolative innovative e adatte a gestire tutti gli aspetti di tale complessa tematica.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena