Che per ora si tratti di un flop non sembrano esserci più dubbi. Se su una platea potenziale di 2 milioni di under 29, i famosi «neet», i giovani cioè che non studiano e non cercano un impiego, si iscrivono ai portali del governo e delle Regioni «solo» in 277mila, è difficile negare che qualcosa non va a sei mesi dalla partenza del programma. Se poi, in base agli ultimi dati regolarmente monitorati dal ministero del Lavoro, si scopre anche (o forse soprattutto) che sono appena 29mila i posti di lavoro finora offerti dalle imprese per così dire «più sensibili» all’iniziativa; e che i giovani presi in carico ai centri e dalle agenzie per l’impiego risultano poco più di 70mila, si ha una documentata dimostrazione di quanto sia lontanissimo l’obiettivo per il quale la «Youth guarantee» è nata ed è stata finanziata (all’Italia è toccata una quota di circa 1,5 miliardi).
Non stupisce perciò che ieri, durante la conferenza stampa dedicata alla presentazione dell’Accordo di partenariato sull’uso dei fondi Ue 2014-2020, il sottosegretario Graziano Delrio abbia annunciato un «dossier» del governo sull’argomento. «Abbiamo fatto un punto con Renzi ha detto perchè entrambi vogliamo capire se la Garanzia giovani sta funzionando e lo vogliamo capire non dal racconto dei dirigenti ma andando avedere nei centri di impiego se hanno fatto i colloqui». E ancora: «Ogni settimana mi faccio dare un report, non è pensabile che il principale strumento di lavoro per i giovani non funzioni. «Gli strumenti ci sono ma devono essere usati, me ne frego se ci sono i soldi e i ragazzi non trovano il lavoro».
Parole dure ma inevitabili alla luce dei numeri. E delle polemiche che per la verità già da tempo stano accompagnando il progetto. Secondo ADAPT, ad esempio, l’associazione più critica sull’attuazione di «Garanzia Giovani», il 90% delle offerte di lavoro non proviene dalle imprese, che pure possono registrarsi sui siti, ma dalle imprese private di ricerca del personale. In sostanza, quindi, Garanzia Giovani starebbe offrendo alle imprese private un nuovo canale di distribuzione a costo zero. Per non parlare poi di casi limite, come quello segnalato dallo stesso Delrio a proposito della Calabria, dove 14mila iscrizioni di giovani non avevano dato vita fino a poco tempo fa a uno straccio, uno, di colloquio presso un centro per l’impiego o un’agenzia privata (la situazione ora è migliorata, a quanto pare). Inutile aggiungere che è proprio a Sud che il piano europeo mostra tuffi i suoi limiti: non tanto sul versante delle iscrizioni (Campania e Sicilia restano stabilmente ai vertici della graduatoria per regioni) quanto su quello delle offerte di lavoro, appena il 13% del già magro bottino nazionale (ed è difficile, forse impossibile pensare che la tendenza cambi in meglio, considerata la crisi in cui versa il Mezzogiorno). Al momento, secondo analisi accreditate di serietà, le possibilità per un giovane di ottenere un lavoro attraverso la Garanzia giovani sono al massimo del 2 per cento.
Dietro il flop i limiti della burocrazia, a cominciare dal fatto che in Italia il termine dei 4 mesi decorre dalla presa in carico, ovvero dal colloquio con il giovane e non dalla sua iscrizione ai portali. Ma anche problemi fin troppo annunciati, come il complicato rilancio dei centri per l’impiego appesantiti da anni di inattività e di nodi strutturali irrisolti (e non solo per carenza di personale e di investimenti pubblici). Per non parlare dell’incapacità di tante Regioni come scrive Francesco Giubileo su Lavoce.info «di gestire le politiche attive del lavoro». E uno dei nodi centrali: l’Italia da anni destina all’incontro tra domanda e offerta di lavoro e in particolare al sistema formativo una quota di gran lunga inferiore a quella destinata al pagamento della cassa integrazione e di tutti gli altri sussidi previsti dalla legge Fornero.
Lo squilibrio è visibile proprio attraverso Garanzia Giovani: in Paesi come Germania o Svizzera, «il colloquio di orientamento prevede che il centro per l’impiego consegni al disoccupato, dopo il bilancio della competenza, una sorta di “guida alla scelta” con l’elenco delle aziende che assumono profili professionali simili al suo, e indichino una lista di corsi di formazione con dimostrata capacità di aumentare le chance occupazionali. In Italia, il colloquio per la presa in “carico e profilatura” previsto da Garanzia giovani è probabilmente vissuto dai giovani più come un servizio “burocratico” che non come una vera struttura di orientamento professionale (impossibile da realizzare se non si dispone di accurate analisi del mercato del lavoro locale)». Non è solo una considerazione per così dire «psicologica». Chi conosce le difficoltà del mercato del lavoro e non a caso la sfiducia è il tratto caratteristico dei «neet» non può accontentarsi di un sistema che è partito male e procede quasi a tentoni, in attesa peraltro che la recessione dia respiro alle imprese (pressoché inutile sperare nel lavoro offerto dalo Stato).
In questo scenario la riforma del Jobs act (nella quale è prevista tra l’altro la trasformazione dei Centri per l’impiego) può aiutare ma a condizione che tempi e scelte siano certi. E al momento né gli uni né le altre nonostante le recenti dichiarazioni del ministro del Lavoro Poletti lo sono. Il fatto è che è difficile immaginare la crescita dell’occupazione e dunque della domanda interna e dunque ancora dei consumi senza la riduzione della pressione fiscale (a cominciare da quella sulle imprese che il taglio dell’Irap peraltro annuncia) e il rilancio della politica industriale. Non sono teorie ma priorità, soprattutto al Sud dove è arrivato il momento di invertire la rotta a cominciare dagli investimenti pubblici: non lo dice del resto lo stesso governo che l’Italia sarà quello che il Mezzogiorno sarà?
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Lavoro, fallito il piano giovani