Non serve essere acuti vaticanisti per cogliere quanto il tema del lavoro sia centrale nel magistero di Papa Francesco. Fin dai primi interventi pubblici ha infatti indicato il forte legame tra la dignità della persona e il suo lavoro. Il recente messaggio in occasione della Conferenza della Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), che si sta concludendo a Ginevra in questi giorni, è una utile summa del suo pensiero sul tema.
Per Francesco il lavoro, prima che un tema economico e sociale, è una dimensione essenziale della persona. È sia “dono che dovere”, in quanto potenzialità concessogli da Dio per collaborare, con le sue opere, alla continua creazione del mondo. Ed essendo l’uomo al centro della creazione, attraverso il lavoro ha la possibilità di costruire se stesso, la propria persona, la propria dignità.
Con questo messaggio Francesco rilancia la profonda modernità della Dottrina sociale della Chiesa che da sempre indica nel lavoro la sede principale dello sviluppo di sé nel rapporto con le altre persone e con la realtà del mondo.
Senza questo fondamento ontologico, non potremmo capire l’insistenza degli appelli del Papa contro la piaga della disoccupazione, in particolare giovanile. Per Francesco un giovane senza lavoro non soffre, infatti, solo disagi economici, ma perde “la consapevolezza del suo valore” e si sente “alienato dalla società”.
Francesco rivela una lucidissima consapevolezza dei cambiamenti e della grande trasformazione del lavoro contemporaneo descrivendone, meglio di tanti osservatori, alcune caratteristiche. Riprendendo quanto scritto nella Evangelii gaudium definisce infatti il lavoro come “libero, creativo, partecipativo e solidale”. Questi quattro termini denotano una modernità nel solco della tradizione della Dottrina Sociale e possono essere letti nell’ottica positiva del fondamento antropologico di cui abbiamo detto. Non quindi l’idea della subordinazione, della puntigliosa demarcazione di diritti e doveri, di mansioni standard che ingabbiano la professionalità, della conflittualità tra lavoratore e imprenditore e di un egoismo volto al solo profitto.
Un lavoro libero e creativo è esattamente l’opposto della fabbrica fordista, un modello che, per quanto in declino, ancora oggi governa il quadro normativo e le relazioni tra sindacato e impresa. Significa che il lavoro è il luogo nel quale la persona può dare spazio ai propri talenti e vocazioni, acquisendo nuove competenze e mettendole a servizio della collettività. Per questo Francesco può parlare di lavoro “partecipativo”, perché se è inteso come crescita della dignità umana, delle sue capacità e attitudini originarie, non conduce a un conflitto sistemico.
In ultimo la solidarietà, che può essere letta come trait d’union tra gli altri aggettivi. Il pontificato di
Francesco, come già con Benedetto XVI, ha al centro la virtù della caritas, e questa detta il passo anche nel magistero sociale. Senza l’amore quindi, lo spazio è lasciato alla “idolatria del denaro”, tutto è letto in una logica di profitto, e la partecipazione alla costruzione di un’impresa comune non è realizzabile.
L’impressione è che siamo davanti a una voce fuori dal coro. Francesco ci fornisce un’analisi che descrive in modo lungimirante il paradigma del lavoro verso il quale le novità economico-sociali ci chiamano. Le soluzioni politiche sono importanti, e soprattutto urgenti, ma senza una nuova idea del lavoro, come ci invita a pensare il pontefice, non sono altro che momentanee. Sta alla politica e alla società uscire dai propri schemi arcaici e rispondere alla sfida della grande trasformazione in atto nel lavoro che, sebbene presenti problemi nuovi, può trovare nella Dottrina sociale chiavi interpretative e di lettura di una sorprendente attualità.