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Bollettino ADAPT 20 aprile 2020, n. 16
Lo scorso 16 aprile, l’Ascoli Calcio 1898 F.C. S.p.a. (società militante nel campionato italiano di serie B) ha operato la risoluzione unilaterale del contratto di lavoro sportivo professionistico col proprio allenatore, motivando la decisione in ragione delle “straordinarie e non prevedibili vicende del virus Covid-19”, assumendo come presupposto l’impossibilità di prevedere la ripresa del campionato e di dover conseguentemente salvaguardare la continuità aziendale, anche adottando misure di contenimento dei costi. Nell’analisi che segue si cerca di esaminare i profili giuslavoristici della scelta adottata dalla società, sia con riferimento al quadro regolatorio del lavoro sportivo professionistico – che trova la sua essenziale disciplina nella legge 23 marzo 1981, n. 91 – sia con riguardo alla applicabilità dell’art. 1467 c.c., in tema di risoluzione per eccessiva onerosità.
Lavoro sportivo professionistico
In merito alla natura del rapporto di lavoro instaurato tra la società di calcio e il proprio allenatore, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 1, della legge n. 91/1981, la prestazione lavorativa resa dallo sportivo professionista a titolo oneroso costituisce l’oggetto del contratto di lavoro subordinato, disciplinato anche in base alla normativa predisposta dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) che ha approvato e adottato le “Norme Organizzative Interne della F.I.G.C.” (NOIF). La validità del contratto di lavoro sportivo professionistico è necessariamente connessa, come più oltre si evidenzierà a proposito della nullità e annullabilità, alla sussistenza di tutti i requisiti formali e sostanziali, resi obbligatori dalla legge n. 91/1981.
Secondo quanto specificato dall’art. 4, comma 1, della legge n. 91/1981, il rapporto di lavoro sportivo professionistico, di natura subordinata, deve costituirsi necessariamente attraverso l’assunzione diretta e con la preventiva sottoscrizione, a pena di nullità, di un apposito contratto in forma scritta, tra lo sportivo, per quanto qui di interesse l’allenatore, e la società che si appresta a riceverne le prestazioni sportive. Il contratto individuale deve essere redatto secondo il “contratto tipo” che risulta essere stato predisposto in conformità degli Accordi collettivi stipulati dalla FIGC e dai rappresentanti delle categorie interessate.
In ogni caso, la società deve depositare il contratto di lavoro sottoscritto con l’allenatore presso la FIGC per l’approvazione (art. 4, comma 2, legge n. 91/1981), con la consapevolezza che qualsiasi clausola che eventualmente contenesse deroghe in peius alla disciplina generale, sarebbe sostituita di diritto dalle clausole proprie del “contratto tipo” (art. 4, comma 3, legge n. 91/1981, applicazione speciale del principio generale sancito dall’art. 1419, comma 2, cod.civ.).
Inoltre, il contratto individuale con l’allenatore professionista deve contenere la clausola relativa all’obbligo del rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici, così come imposti dalla società datrice di lavoro (art. 4, comma 4, legge n. 91/1981).
Cessazione del rapporto
Quanto alla risoluzione del rapporto di lavoro sportivo professionistico e, in particolare, al licenziamento, l’art. 4, comma 8, della legge n. 91/1981 stabilisce che ai contratti di lavoro sportivo professionistico non si applicano le norme che disciplinano le modalità di intimazione e di impugnazione dei licenziamenti individuali, nonché le previsioni sanzionatorie generali per la tutela reintegratoria e risarcitoria rispetto alle risoluzioni unilaterali del rapporto di lavoro, essendo esplicitamente escluse dal campo di applicazione le norme che sono contenute nell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, e negli artt. 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8 della legge n. 604/1966, conseguentemente non risultano applicabili neppure le norme dettate dal d.lgs. n. 23/2015. Ne deriva che trovano applicazione gli artt. 2118 e 2119 c.c., mentre non opera la previsione dell’art. 46 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, secondo il quale il datore di lavoro, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati, non può recedere, durante l’emergenza Covid-19, dal contratto di lavoro subordinato per giustificato motivo oggettivo (stante il richiamo espresso all’art. 3 della legge n. 604/1966).
La legge n. 91/1981 non esclude l’applicazione dell’art. 4 della legge n. 604/1966 e dell’art. 15 dello Statuto dei lavoratori, ne consegue che nei confronti del lavoratore sportivo professionista opera la tutela contro i licenziamenti discriminatori, alla medesima stregua della generalità dei lavoratori. Tranne che vi sia un motivo discriminatorio, dunque, la risoluzione unilaterale del contratto di lavoro sportivo professionistico, da parte di una società sportiva, deve ritenersi legittima in quanto la legge n. 91/1981, come evidenziato, non rende applicabile la disciplina generale sui licenziamenti individuali.
In effetti, gli artt. 2118 e 2119 c.c. vanno letti nel senso che sia la società sportiva datrice di lavoro, sia l’allenatore sportivo professionista possono recedere dal rapporto di lavoro in presenza di una giusta causa, e cioè per un motivo che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto. Nel caso in cui la risoluzione unilaterale della società sia priva di una giusta causa, il recesso datoriale è da ritenersi illegittimo, con l’obbligo di provvedere al risarcimento dei danni a favore dell’allenatore che ha subito il recesso. In particolare, la società sportiva, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve corrispondere allo sportivo professionista le retribuzioni che lo stesso avrebbe percepito nel caso in cui il rapporto di lavoro non fosse stato indebitamente risolto anticipatamente.
D’altra parte, vale la pena segnalare che accanto alla risoluzione del rapporto di lavoro e al licenziamento, il calcio italiano riconosce, in via di prassi consolidata, nei confronti degli allenatori, l’istituto del cd. “esonero dall’incarico”. Non si tratta di un intervento sul contratto di lavoro sportivo professionistico, né sul relativo rapporto, in quanto entrambi proseguono regolarmente, ma esclusivamente nel sostituire l’allenatore con altra figura professionale analoga, esonerando nel contempo il predecessore dall’obbligo di seguitare a fornire le proprie prestazioni sportive, sebbene rimanga intatto il vincolo contrattuale e il rapporto alle dipendenze della società datrice di lavoro, che resta vincolata a corrispondere la retribuzione integralmente spettante all’allenatore esonerato (con relativi obblighi previdenziali, assicurativi e fiscali), senza poter fruire in alcun modo della controprestazione lavorativa, neppure adibendolo a differenti mansioni.
Si ammette in ogni caso anche la risoluzione consensuale del contratto come causa di cessazione del rapporto di lavoro, in questo senso si può agevolmente argomentare ai sensi dell’art. 5 della legge n. 91/1981.
Le norme del codice civile, per quanto compatibili, si applicano al contratto di lavoro sportivo professionistico il quale, quindi, può incorrere nelle ordinarie cause di invalidità del contratto per mancanza di uno degli elementi essenziali previsti dalla legge (per carenza, nell’accordo fra le parti, della causa, dell’oggetto o della forma scritta ad substantiam) oppure per un vizio della volontà (a causa di dolo, violenza o errore): nella prima fattispecie il contratto sarà affetto da una ipotesi di nullità, mentre nella seconda si tratterà di annullabilità. D’altra parte, in entrambe le situazioni gli effetti del contratto (nullo o annullabile) cessano dal momento della sua stipulazione (ex tunc), sebbene possano ritenersi applicabili al contratto di lavoro sportivo professionistico le previsioni contenute nell’art. 2126 c.c., in base al quale l’invalidità del contratto di lavoro fa permanere l’obbligo in capo al datore di lavoro di corrispondere al lavoratore, il cui contratto è stato annullato o dichiarato nullo, i compensi spettanti per le prestazioni lavorative già eseguite.
Infine, in giurisprudenza è stata riconosciuta la possibilità di risolvere il contratto di lavoro sportivo professionistico per impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa (Cass., 8 maggio 2000, n. 11404).
Risoluzione per eccessiva onerosità
Tema di assoluto rilievo, posto dal caso di cronaca che forma oggetto della presente riflessione, è quello, non ancora affrontato in giurisprudenza, per quanto consta, dell’applicabilità al contratto di lavoro sportivo professionistico della disciplina civilistica di cui all’art. 1467 c.c. in tema di risoluzione per eccessiva onerosità.
A norma della disposizione citata in presenza di contratto che sia ad esecuzione continuata o comunque periodica (o ad esecuzione differita), quando la prestazione di una delle parti diviene eccessivamente onerosa a causa di avvenimenti “straordinari e imprevedibili”, che si sono verificati successivamente all’attivazione del contratto e durante lo svolgimento del relativo rapporto, la parte che è tenuta alla prestazione divenuta eccessivamente onerosa è legittimata a chiedere la risoluzione del contratto, conseguendo gli effetti previsti dall’art. 1458 c.c. (ad eccezione del caso di una sopravvenuta onerosità rientrante nella normale alea del contratto), mentre la controparte può evitare la risoluzione offrendo una modifica “equa” delle condizioni contrattuali.
L’attivazione del rimedio civilistico di cui all’art. 1467 c.c., dunque, muove da un oggettivo squilibrio sopravvenuto delle prestazioni, il quale deve dipendere da almeno un evento che abbia congiuntamente le seguenti caratteristiche:
– straordinarietà, vale a dire che deve trattarsi di un evento che si pone al di fuori della ordinarietà, quindi si verifica raramente o comunque con frequenza statistica scarsa o irrilevante, con carattere di eccezionalità, come ad esempio: guerre, sommosse, cataclismi naturali, pandemie;
– imprevedibilità, ovvero tale da non essere stato neppure preso in considerazione dalle parti del contratto, e comunque con riferimento alle capacità di previsione dell’uomo medio, secondo le conoscenze ed esperienze che è ragionevole attendersi.
Sussistendo i due requisiti, se si tratta di contratto a prestazioni corrispettive, ad esecuzione continuata o periodica, e quindi di rapporto che si protrae inevitabilmente nel tempo, la valutazione di sopravvenuta eccessiva onerosità può essere rilevata dalla parte che subisce economicamente il danno derivante dallo squilibrio del valore delle rispettive prestazioni. Conseguentemente, la parte che risulta svantaggiata dalla sopravvenuta eccessiva onerosità può presentare domanda giudiziale volta ad ottenere la risoluzione del contratto, di converso la parte che indebitamente si avvantaggia della sopravvalutazione del valore della propria prestazione, dedotta in contratto, può evitare la risoluzione dello stesso, di fatto cristallizzando la pretesa azionata dalla controparte, offrendosi di riportare ad equità le condizioni contrattuali, neutralizzando, anche ai sensi di quanto previsto dagli artt. 1366, 1374 e 1375 c.c., gli effetti dell’evento sopravvenuto.
Non solo e non tanto rispetto ad un derivato obbligo di rinegoziazione, basato sull’equità integrativa ai sensi dell’art. 1374 c.c., quanto piuttosto sul valore complessivo, anche in termini orientativi, della clausola generale di buona fede, ricavabile, per i contratti, dal combinato disposto degli artt. 1366 e 1375 c.c., vera scaturigine della sussistenza – deducibile anche dalla applicazione dell’art. 1467 c.c. – di un obbligo di rinegoziare, seppure costruito normativamente come facoltà di proposta unilaterale, volta ad evitare la risoluzione del contratto, che ne risulta opportunamente modificato, e a far cessare il relativo contenzioso.
Eccessiva onerosità nel lavoro sportivo
Tornando ora al caso da cui la presente analisi ha preso le mosse, l’azione decisa dall’Ascoli Calcio 1898 F.C. S.p.A. si fonda sulla base degli eventi imprevedibili ed eccezionali riconducibili agli effetti della emergenza sanitaria, determinata dalla pandemia da Covid-19, e approda ad una risoluzione unilaterale del rapporto contrattuale per eccessiva onerosità, a seguito del fallito tentativo di pervenire ad un accordo transattivo, in sede di conciliazione, volto a risolvere consensualmente il vincolo contrattuale.
Anzitutto va rilevato che l’art. 1467 cod. civ., quale norma civilistica di diritto comune, in assenza di peculiari ostacoli nella legge n. 91/1981, non può ritenersi in alcun modo incompatibile con il quadro regolatorio del rapporto di lavoro sportivo professionistico.
Come si è sinteticamente evidenziato, l’art. 1467 cod. civ., a fronte di un contratto ad esecuzione continuata – qual è quello stipulato fra una società di calcio professionistica e il proprio allenatore – quando una delle prestazioni dedotte in contratto diviene eccessivamente onerosa a seguito di eventi caratterizzati contestualmente dalla straordinarietà e dalla imprevedibilità – come indubbiamente sono da ritenersi quelli conseguenti e correlati alla pandemia da Covid-19 – consente alla parte che subisce l’eccessiva onerosità di richiedere la risoluzione del contratto, permettendo all’altra di evitare la risoluzione, offrendo o accettando una modifica che sostanzialmente sia idonea a riportare ad equità le condizioni contrattuali, conseguendo una neutralizzazione degli effetti degli eventi sopravvenuti.
Quanto ai parametri identificativi della eccessiva onerosità, non si hanno riferimenti certi, essendo il concetto piuttosto fluido, tendente ad assumere forme e misure differenti in ragione delle singole manifestazioni nelle quali si concretizza. Tanto più nel caso di specie, rispetto al quale appare evidente che la sospensione del campionato di calcio e delle prestazioni sportive connesse (si pensi al divieto di procedere anche agli allenamenti), ha impedito totalmente qualsiasi sorta di beneficio alla società datrice di lavoro, a fronte di un costo certo e predeterminato sulla base di un ordinario e regolare svolgimento della stagione sportiva.
Rileva a questo fine anche la scelta di altre società di calcio che hanno operato una importante riduzione delle retribuzioni degli sportivi professionisti alle proprie dipendenze in ottica di preservare la continuità aziendale (il riferimento è alla Juventus FC S.p.A. che con comunicato del 28 marzo 2020 ha informato dell’accordo raggiunto con i propri dipendenti, per la riduzione dei compensi per un importo pari alle mensilità di marzo, aprile, maggio e giugno 2020 con effetti economici e finanziari positivi per circa 90 milioni di euro sull’esercizio 2019/2020).
Sebbene di norma l’attuazione dell’art. 1467 cod.civ. operi in sede giudiziale, non può ritenersi per sé sola arbitraria la soluzione adottata dalla società sportiva di procedere in sede stragiudiziale alla applicazione dei principi normativi sanciti nella medesima disposizione.
Inoltre, la circostanza che sussistono, nel caso di specie, i caratteri di straordinarietà e imprevedibilità degli eventi, che hanno determinato l’eccessiva onerosità, può essere agevolmente individuata nella dichiarazione dello stato di emergenza deliberata dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020.
In definitiva, rendere applicabile anche al lavoro sportivo professionistico l’art. 1467 c.c. consente di superare, in una prospettiva di tipo socio-economico, la logica del cd. “advantage taking” (secondo cui non vengono caducate le pretese del contraente avvantaggiato da eventi imprevedibili, rispetto alle condizioni originariamente pattuite) optando per un approccio nel quale le parti contrattuali cooperano in buona fede per superare gli eventi sopravvenuti, assicurando in tal modo il recupero sostanziale degli equilibri contrattuali e deflazionando inutili e defatiganti contenziosi.
Marco Barbizzi
Commercialista in Fermo
Revisore legale
ADAPT Professional Fellow
Docente di Diritto sanzionatorio del lavoro
Dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (*)
(*) Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.