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Bollettino speciale ADAPT 18 ottobre 2024 n. 5
Fra i tanti temi toccati dal nuovo DDL lavoro, spicca anche quello delle conciliazioni in materia di lavoro. L’art. 20, comma 1 stabilisce che «i procedimenti di conciliazione in materia di lavoro previsti dagli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile possono svolgersi in modalità telematica e mediante collegamenti audiovisivi» mentre al comma 2 è prevista l’adozione di un «decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della giustizia, da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore» della legge, una volta sentiti «l’Agenzia per l’Italia digitale e, limitatamente ai profili inerenti alla protezione dei dati personali, il Garante per la protezione dei dati personali». Scopo del decreto interministeriale è quello di stabilire «le regole tecniche per l’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione» nelle conciliazioni in materia di lavoro che si svolgeranno “a distanza”.
Nelle more dell’adozione de decreto di cui al comma 2, l’art. 20, comma 4 precisa che i procedimenti relativi alle conciliazioni da remoto potranno continuare ad essere svolti «secondo le modalità vigenti».
La disposizione sembrerebbe accogliere le sollecitazioni che la Commissione Giustizia del Senato aveva presentato qualche tempo fa (21 maggio 2024) rispetto alla necessità di apportare un correttivo al d.lgs. n. 149/2022, che ha riformato il processo civile e introdotto la negoziazione assistita anche per le controversie di lavoro. Detta Commissione suggeriva di valutare la possibilità di «prevedere, in coerenza con il processo di digitalizzazione del processo civile, l’estensione alla disciplina delle conciliazioni in materia di lavoro della possibilità di svolgimento in modalità telematica, già prevista per la negoziazione assistita, per agevolare il confronto e negoziazione tra le parti, aumentando le possibilità di favorevole definizione della controversia in via stragiudiziale».
La disposizione merita qualche osservazione non tanto per gli elementi di novità che introduce quanto per le problematiche che potrebbe sollevare rispetto ad una robusta istanza di tutela che proviene dai recenti approdi giurisprudenziali in materia di conciliazioni di cui all’art. 2113, comma 4 c.c. nell’ambito delle c.d. sedi sindacali.
Come detto, la disposizione non può dirsi certamente di assoluta novità: già l’art. 12-bis, comma 2, del decreto-legge n. 76/2020, in risposta ai problemi della emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19, aveva previsto la possibilità di poter svolgere le conciliazioni da remoto sebbene limitatamente alle «procedure amministrative o conciliative di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro». Tuttavia, non sono state sollevate particolari perplessità in merito al fatto che detta modalità potesse essere adottata anche dalle altre sedi di cui all’articolo 2113, comma 4, c.c., tra le quali rientrano non solo le sedi sindacali ma anche le commissioni di certificazione svolgenti funzione conciliativa ai sensi dell’art. 31, comma 13 della legge n. 183/2010 (questa norma ha equiparato le commissioni alle sedi presso le quali è possibile esperire «il tentativo [facoltativo] di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile»).
Anche l’art. 20, comma 4 del DDL sembrerebbe confermare la legittimità di questo modus operandi laddove fa salva una “modalità vigente” fino all’adozione del decreto interministeriale. Da questo punto di vista, dunque, la disposizione va a “codificare” e a sistematizzare una realtà già di fatto esistente, riservando a fonti di rango inferiore il compito di dettare ulteriori indicazioni per uniformare presso tutte le sedi protette (quelle indicate dall’art. 2113, comma 4 c.c.) gli aspetti procedurali.
Sennonché, la disposizione solleva sfide e problematiche che meritano qualche appunto critico, soprattutto alla luce di una copiosa giurisprudenza che ha posto costantemente l’accento non solo sulla necessità di fornire adeguata ed effettiva assistenza al lavoratore al fine di potergli consentire di capire bene la convenienza dell’accordo ma anche sul “luogo” in cui il tentativo di conciliazione viene esperito. Si tratta di un nodo che non può essere certamente trascurato.
Come noto a molti, i giudici ritengono che affinché una conciliazione in materia di lavoro possa dirsi valida e conforme all’art. 2113, comma 4 c.c. questa deve avvenire nelle sedi tassativamente indicate dalla disposizione codicistica (aule giudiziarie, ispettorato del lavoro, sedi sindacali stabilite dal contratto collettivo, commissioni di certificazione). Il concetto di “sede” peraltro non deve essere inteso in senso “virtuale” ma anche nella sua dimensione “fisica-topografica” (Cass. 15 aprile 2024, n. 10065), cioè come ambiente mirato a consentire al lavoratore di maturare il suo libero convincimento, senza essere oggetto di pressioni o condizionamenti esterni, in primis quelli provenienti dal datore di lavoro. Ed è così che, ad esempio, che i verbali di conciliazione materialmente sottoscritti presso i locali aziendali sono stati ritenuti illegittimi, sebbene in presenza di un sindacalista, che non ha certo contribuito a ritenere integrati i presupposti imposti dalla legge.
Orbene, alla luce di quanto detto, la possibilità che ora le conciliazioni possano svolgersi anche attraverso la modalità telematica, con l’ausilio di piattaforme digitali o collegamenti audiovisivi, solleva non pochi dubbi rispetto al nodo della “sede”, che deve essere intesa non solo in senso “figurativo” ma anche “fisico”. Come si coniuga, allora, la possibilità di collegarsi da remoto da un qualsiasi luogo con l’esigenza di garantire uno spazio neutro in cui il lavoratore possa essere svincolato da qualsiasi forma di pressione psicologica? Non sono pochi i casi in cui datore e lavoratore si incontrano in un determinato luogo (spesso, la sede aziendale) e si collegano alla piattaforma indicata dal conciliatore magari dal medesimo dispositivo. Sono prassi che se lette alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale possono far dubitare non poco della relativa “stabilità” degli accordi conciliativi raggiunti.
Se da una parte, l’art. 20 del DDL Lavoro potrebbe rappresentare un passo avanti verso la digitalizzazione del sistema delle conciliazioni, dall’altro non mancano opinioni volte a sostenere che questa modalità potrebbe sollevare non poche criticità dovute alla maggiore esposizione dei lavoratori a nuove forme di pressione e a una minore trasparenza nei procedimenti, come alcune prassi sembrerebbero dimostrare. Sebbene la conciliazione telematica possa ridurre i costi e i tempi di attesa, non si può certamente escludere il rischio di un potenziale indebolimento della tutela del lavoratore. Del resto, è noto, specie agli addetti ai lavori, che le conciliazioni che avvengono de visu e in sedi istituzionali assicurano un ambiente più sicuro per la libera espressione e abbassano il livello del rischio di pressioni indebite da parte dei datori di lavoro. Con l’introduzione della modalità telematica, cresce quindi la preoccupazione che questa dinamica possa essere compromessa.
Per poter superare queste perplessità che aleggiano tra gli addetti ai lavori, timorosi di una possibile presa di posizione anche da parte dei tribunali, è bene che sia adottato quanto prima il decreto interministeriale che menziona l’art. 20 del DDL Lavoro, al fine di dettare delle procedure standard e in linea con i criteri dettati dalla giurisprudenza di legittimità, a garanzia di tutti i soggetti coinvolti nella procedura. In questo senso, potrebbe giovare non poco prevedere, ad esempio, il divieto per datore e lavoratore di collegarsi da remoto e dallo stesso dispositivo dalla sede aziendale ma di prevedere la necessità di essere in luoghi diversi, se non anche la possibilità quantomeno per il lavoratore di recarsi presso la sede fisica della commissione di conciliazione.
Da ultimo, è doveroso segnalare un vulnus che l’art. 20 del DDL Lavoro pare aver generato: infatti, mentre la disposizione “sdogana” la modalità telematica per «i procedimenti di conciliazione in materia di lavoro previsti dagli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile» nulla dice in merito agli accordi di demansionamento di cui all’art. 2103, comma 6 c.c., che devono essere sottoscritti presso le sedi di cui all’art. 2113, comma 4 c.c., tra le quali rientrano le sedi degli artt. 410, 411, 412-ter c.p.c. e le commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del d.lgs. n. 276/2003. Che cosa ne sarà, allora, di questi accordi che pure oggi vengono siglati in non pochi casi ricorrendo ad una procedura telematica? A questa eccezione si potrebbe replicare che la disposizione interviene solo in materia di conciliazione e quindi nell’ambito della dismissione dei diritti ma non anche per gli accordi che possono essere stipulati in corso di rapporto di lavoro per modificare obblighi e diritti tra le parti quale può essere il caso dell’art. 2103, comma 6 c.c. E’ però appena il caso di ricordare che nell’ambito di tali accordi al lavoratore viene comunque frequentemente proposta una somma a titolo transattivo per rinunciare ad impugnare tutti i profili inerenti il precedente inquadramento e ad accettare contestualmente l’attribuzione del nuovo livello e delle nuovi mansioni a fronte delle condizioni richieste dalla legge (crisi occupazionale, miglioramento delle condizioni di vita, acquisizione di una diversa professionalità). Da qui, la necessità di una disposizione più attenta agli sviluppi del ruolo e delle funzioni delle c.d. sedi protette nell’attuale quadro normativo.
Giovanni Piglialarmi
Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
ADAPT Senior Fellow
@Gio_Piglialarmi
Nicoletta Serrani
ADAPT Professional Fellow