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La Legge 22 maggio 2017 n. 81 pubblicata in G.U. il 13 giugno 2017 recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” rende opportuni alcuni spunti di riflessione relativi al Capo I, che riguardano il variegato mondo del lavoro indipendente che rappresenta una parte consistente della forza lavoro in Italia.
Il lavoro indipendente tradizionale (le professioni liberali classiche) è ancora predominante, pur con differenze territoriali molto marcate (F. Barbieri, A. Cherchi, B.L. Mazzei, V. Uva, “A Reggio Calabria record di avvocati, a Pescara di commercialisti: ecco le città con più professionisti”, Sole24Ore, 15 maggio 2017), ma si sta portando avanti anche una nuova realtà professionale dovuta all’apporto delle nuove tecnologie che ha trovato una prima risposta alle inevitabili esigenze di tutela nel nuovo Statuto del lavoro autonomo, pur con alcuni dubbi di natura tecnica (si veda A. Mauro, “La riforma del lavoro autonomo: una lente per leggere il lavoro che cambia”)
L’ambito di applicazione della legge 81/2017, come previsto dall’art. 1, è esteso a tutti i rapporti di lavoro autonomo, svolti in forma non imprenditoriale, di cui al Titolo III del libro quinto del codice civile che comprendono il contratto d’opera (art. 2222 c.c.) e le professioni intellettuali (art. 2229 c.c.).
La vasta portata applicativa delle previsioni contenute nel nuovo testo di legge ci porta a far rientrare il lavoro professionale nel più vasto ambito del lavoro autonomo.
Secondo un orientamento dottrinale dominante, all’interno dell’art 2222 c.c. non sarebbe contemplata una fattispecie unitaria, bensì la disciplina generale e sussidiaria di una fattispecie che si declina plurale (cfr. A. Perulli, Lavoro autonomo e dipendenza economica, in RGL, 2003).
Le norme civilistiche hanno voluto distinguere le forme di lavoro indipendente, specificando che il lavoro professionale è inteso come prestazione d’opera intellettuale svolta da un professionista iscritto in appositi albi o elenchi.
Nei confronti dell’ampia platea, stimata in oltre 4 milioni, dei lavoratori indipendenti regolamentati e non, si rivolge la nuova regolamentazione del lavoro autonomo, con la previsione di alcune garanzie minime di tutela in tema di transazioni commerciali, condizioni contrattuali, ritardo nei pagamenti, maternità, congedi parentali, malattia e infortunio.
Fatta questa sintetica premessa, possiamo dire che il quadro che ne emerge è in grado di ricomprendere l’intero contesto di profondo cambiamento del settore dei servizi professionali. Nuovi modelli di lavoro connessi alla digitalizzazione e molte attività professionali stanno già cambiando le modalità organizzative del lavoro consolidatesi da decenni. Siamo d’altronde di fronte ad un significativo ridimensionamento o alla scomparsa di molte professioni (ad esempio quelle legate alla elaborazione sistematica e massiva di dati) mentre stanno nascendo, sotto altro profilo, nuove aree di attività e specializzazioni legate al web (social media, sviluppatori, marketing etc..), sono i cd. freelance che inevitabilmente si stanno affermando soprattutto come professionisti al di fuori degli ordini e dei collegi.
Nei confronti delle professioni più classiche cd. regolamentate, un aspetto che non è stato trascurato dal nuovo Statuto degli autonomi, è il rapporto sempre più stretto tra liberi professionisti e pubblica amministrazione.
Prescindendo dalla informatizzazione da tempo avviata e legata all’introduzione dei software di contabilità ed elaborazione cedolini paga, le tecnologie digitali stanno impattando notevolmente anche all’interno degli studi professionali.
La digitalizzazione della macchina burocratica ha fatto si che i professionisti (specialmente commercialisti e revisori contabili) abbiano dovuto investire notevolmente in termini di risorse e competenze tecniche. Un panel di studi condotto dal Politecnico di Milano nel 2015 ha sottolineato che “150 mila studi di avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari italiani, che complessivamente hanno speso oltre 1,1 miliardi di euro per l’ICT” e che “nel 1999, anno di sostanziale avvio del «fisco telematico», i dottori, ragionieri e loro studi associati o società inviarono poco più di 7.000.000 di documenti fiscali, numero che è decuplicato superando, nel 2015, i 77.500.000”.
Il recente intervento del cd. Job’s Act del lavoro autonomo esalta il rapporto di sussidiarietà con la P.A. prevedendo una norma di delega che è finalizzata a spostare sui professionisti nuovi ambiti di operatività.
Altro tema importante considerato nel nuovo provvedimento legislativo, è la tutela e il sostegno all’occupazione dei professionisti e dei collaboratori. Si avverte la necessità di politiche occupazionali e misure di politica attiva che siano efficaci soprattutto quando i relativi percorsi professionali sono sempre più frammentati a causa delle continue transizioni occupazionali. In questo senso la legge sul lavoro autonomo ha introdotto strumenti di accesso alle informazioni sul mercato e servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione (art.10) ovvero sportelli dedicati al lavoro autonomo –per gli iscritti e i non iscritti ad albi professionali – sia all’interno di strutture pubbliche (centri per l’impiego) sia all’interno di organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro (agenzie private per il lavoro).
Nell’auspicio che questo intervento possa realizzare uno scambio più equo tra domanda e offerta di lavoro autonomo, attendiamo anche il recepimento (forse in una diversa sede) e in modo strutturato, le istanze degli stessi lavoratori riguardo il tema dei cambiamenti professionali in sicurezza. Infatti, come specifica anche l’allegato alla prima stesura del pilastro europeo dei diritti sociali (COM (2016) 127 final) “Per avvalersi nel modo migliore del cambiamento tecnologico e delle rapide trasformazioni dei mercati del lavoro è necessario un sostegno migliore e rapido ai cambiamenti di lavoro e professione”.
Esiste però, alla base, un problema di portabilità delle tutele. Non di rado i diritti a forme di protezione sociale quali pensioni professionali, prestazioni di disoccupazione, ammissione alla formazione non sempre possono essere trasferiti agevolmente quando si cambia lavoro, né possono essere valorizzati all’avvio di un’attività autonoma. Per fare un esempio, una chiara situazione che, sino all’anno passato, disincentivava il passaggio da un lavoro dipendente all’avvio di un’attività professionale regolamentata (ad esempio la professione forense) era l’esclusione degli iscritti alle casse professionali dal cd. “cumulo gratuito” ossia la possibilità di sommare i contributi versati in più gestioni previdenziali per conseguire il diritto ad un’unica pensione, prevista però per tutti gli altri lavoratori.
La possibilità di cumulare gratuitamente i contributi versati in diverse gestioni previdenziali, comprese anche le Casse private e privatizzate di cui al D.Lgs. 509/1994 e al D.Lgs. 103/1996 (ossia le casse previdenziali di commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, geometri, ecc.), si è realizzata con la Legge di Bilancio 2017 (Legge 11 dicembre 2016 n. 232), con l’obbiettivo di sommare i tanti spezzoni contributivi, ciascuno determinato con i criteri della relativa gestione previdenziale, colmando un vuoto non esente da gravi implicazioni.
A prescindere dalle problematiche irrisolte e dalle interpretazioni del provvedimento che seguiranno, rimane viva l’attenzione sul lavoro autonomo in tutte le sue forme, che potranno accedere al tavolo di confronto permanente costituito a livello ministeriale ed eventualmente proporre le soluzioni più adeguate alle specifiche criticità evidenziate nel processo legislativo oltre ad un percorso (anche parallelo) conforme alle esigenze dei “nuovi” lavoratori autonomi.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo