Le linee evolutive della formazione professionale: alcuni dati da un recente studio dell’OCSE

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Bollettino ADAPT 2 ottobre 2023, n. 33
 
L’evoluzione dei sistemi di formazione tecnico-professionale ha come obiettivo quello di rispondere alle necessità e alle trasformazioni dei nuovi mercati del lavoro. Rispetto a questa esigenza, il 12 settembre 2023 l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha pubblicato uno studio dal titolo Spotlight on Vocational Education and Training: Findings from Education at a Glance, riportando i dati più recenti in materia di formazione professionale e le principali linee di sviluppo sull’educazione e il passaggio scuola-lavoro dei giovani relativi ai Paesi OCSE.
 
La formazione professionale è uno dei maggiori segmenti formativi di questi Paesi, dove circa una persona su tre di età compresa tra i 25 e i 34 anni possiede come titolo di studio un diploma o una qualifica professionale. La rilevanza espressa da questo report si evince dal fatto che tra il 2015 e il 2021 l’adesione a sistemi di formazione professionale da parte degli studenti, combinato con l’alternanza formativa, è cresciuta del 3%. Anche il mercato del lavoro, tramite il dialogo con i sistemi VET (Vocational Education and Training), risulta meno stagnante, più dinamico e con un turnover ottimale, con un aggiornamento costante di competenze tecnico-professionali nei settori in cui le qualifiche professionali sono più richieste.
 
In media, nei Paesi OCSE il tasso d’occupabilità nella fascia d’età 25-34 anni è dell’83% per le persone in possesso di una qualifica secondaria professionale o terziaria non accademica, rispetto al 73% per gli occupabili in possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado, garantendo un bilanciamento salariale e abbassando la percentuale di NEET (Neither Employed nor in Education or Training), dinamica costante a livello generale, ma con risultati specifici nei Paesi presi in esame.
 
Per quanto concerne le differenze particolari che si riscontrato nei diversi stati presi in esame, il report mette in luce l’importanza dello sviluppo dei sistemi VET, in particolare la formazione secondaria superiore, e la loro implementazione nei diversi contesti, a partire da tre parametri principali: (1) la struttura; (2) la distribuzione di studenti iscritti ai programmi; (3) l’impiego di strumenti didattici specifici, come l’alternanza formativa e l’apprendimento basato sul lavoro.
 
A livello di struttura, nelle fasi iniziali della formazione secondaria superiore, i singoli stati adottano regole di sviluppo e didattico diverse, progettando percorsi formativi adeguati alle filiere e settori di riferimento. La differenza maggiore si riscontra nella possibilità o meno di passare dalla formazione secondaria a quella terziaria (sia accademica che non) a partire dal possesso di una qualifica professionale. Si nota che la maggior parte dei Paesi presi in esame non consente questo passaggio, investendo maggiormente sull’occupabilità della persona formata, e garantendo un accesso più rapito al mercato del lavoro.
 
Rispetto alla distribuzione di studenti iscritti ai percorsi, si evince che nell’età compresa tra i 15 e i 19 anni, il 37% dei giovani frequenta un percorso di formazione professionale. Tuttavia, questo dato non mostra le disparità sostanziali tra i diversi Paesi in esame: del totale, in 13 di questi Paesi la scelta di perseguire una formazione professionale viene condivisa dal 50% degli studenti tra i 15 e i 19 anni, mentre la fetta più larga composta da 17 stati presenta un intervallo di iscrizione che oscilla tra il 25% e il 49%. Di questi ultimi Paesi, due terzi garantisce un percorso che consente l’accesso all’educazione terziaria, con sostanziali differenze circa la divisione delle attività lungo il percorso formativo. Per esempio, in Estonia e in Chile, gli iscritti ai sistemi VET nella fascia d’età considerata presenta una percentuale del 28%, e i programmi didattici sono prevalentemente scolastici. In Norvegia, invece, nella formazione professionale secondaria superiore, il tasso di adesione nei giovani 15-19 anni è del 45%, in programmi che comprendono due anni di scuola e due anni in apprendistato. Le differenze nei diversi gruppi di Paesi, e tra i singoli Paesi stessi, dipendono principalmente da questi due parametri, la struttura dei programmi e la ratio sottostante al loro sviluppo, compatibilmente con le condizioni locale del mercato del lavoro.
 
Il terzo elemento cardine che differenzia i sistemi di formazione professionale è la percentuale di utilizzo di strumenti di apprendimento basati sul lavoro. Anche in questo caso, le differenti declinazioni del dispositivo didattico dell’alternanza formativa sono presenti in modo diversificato tra i Paesi OCSE: in Danimarca, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Svizzera e Germania, l’85% degli studenti è inserito in percorsi di work-based learning, mentre tra il 2015 e il 2021 in altri Paesi come la Romania è più basso in percentuale, ma registra un incremento dovuto a policy incentivanti. Paesi come la Svezia, invece, hanno scelto di investire su politiche formative per favorire l’apprendistato. A livello generale, si riscontra come i decisori politici abbiano recentemente posto maggior attenzione su forme di apprendimento situato e sull’apprendistato, seppur con le particolari differenze tra i diversi contesti internazionali. Alcuni di questi Paesi, come l’Australia, Israele e l’Italia, hanno rafforzato principalmente le politiche sull’apprendistato, mentre altri come il Belgio, Canada e Corea hanno concentrato gli sforzi di policy su incentivi alle imprese che partecipano all’offerta formativa dei sistemi VET.
 
A fronte del quadro generale, quali sono i benefici di possedere una qualifica professionale, entrando nel mercato del lavoro? Uno degli obiettivi principali nella progettazione dei sistemi VET è quello di facilitare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, formandoli al fine di garantire una prospettiva di carriera solida a partire dalla prima occupazione. Come viene esplicitato nel report, i dati relativi al risultato occupazionale, provenendo dalla formazione professionale, sono ottimali, con un caveat necessario riguardante la comparazione tra i diversi Paesi e livelli educativi.
 
L’analisi comparata tra il livello occupazionale di chi ha ricevuto un’educazione generale terziaria e chi possiede come massimo qualifica un diploma presenta una serie di caratteristiche necessarie da considerare, quali la formazione specifica per un ingresso adeguato nel mercato nel lavoro, il territorio di riferimento, la capacità di assorbimento dei mercati e la domanda specifica del tessuto industriale. Un punto interessante sottolineato dal report riguarda i costi per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Si è stimato che l’investimento in formazione professionale garantisce un alto grado di occupabilità, mitigando i costi relativi alla gestione dei NEET e presentando un feedback positivo, per cui le imprese partecipano più volentieri alla progettazione dell’offerta didattica.
 
Nei Paesi OCSE, il tasso di occupabilità tra gli adulti di 25-34 anni che non possiedono una educazione secondaria superiore è del 62%, contro l’83%, cresciuto notevolmente tra il 2015 e il 2002, per quelli che possiedono una qualifica secondaria o terziaria non accademica di natura tecnico-professionale. D’altro canto, in merito alla possibilità di continuare percorsi di istruzione e formazione, i dati mostrano che in media le persone in possesso di una qualifica professionale secondaria superiore preferiscono non proseguire con ulteriori studi. In particolare, di queste persone tra i 25 e i 29 anni, il 75% lavora, il 9% è in un percorso terziario non accademico, e circa il 17% NEET. Ciò che emerge allora è che frequentare un percorso di formazione professionale riduce drasticamente la possibilità di disoccupazione.
 
Un ulteriore punto interessante riguarda l’aspetto salariale. Come viene esplicitato nello studio, la retribuzione varia notevolmente rispetto al paese di riferimento, al settore di interesse, ed al livello di formazione ricevuta. In più della metà dei Paesi OCSE, la differenza salariale si sbilancia in favore di chi ha ricevuto una formazione non professionale, mentre i livelli retributivi di chi proviene dalla formazione professionale sono più bassi. Al contrario, in Repubblica Ceca e in Norvegia chi ha frequentato un percorso VET guadagna circa il 10% in più rispetto a chi possiede un’educazione generale, e la percentuale sale al 30% nel caso del Canada, che tuttavia non può essere utilizzato come metro di paragone imparziale, in quanto – ad eccezione del Quebec – non vi è differenza tra i percorsi di educazione generale, ossia l’istruzione secondaria superiore, e professionale. Per quanto concerne la formazione terziaria, la differenza di retribuzione è di circa il 14% rispetto a chi proviene dalla formazione professionale, toccando il 50% in Lettonia ed il 31% nel Regno Unito.
 
Rispetto al caso italiano, si evince una certa difficoltà a far dialogare ed integrare la formazione ed il lavoro, in particolare per quanto concerne lo strumento dell’apprendistato. Sebbene in Italia l’impiego dell’apprendistato professionalizzante, o di secondo livello, sia piuttosto diffuso, l’investimento sulla parte più formativa di questa forma contrattuale, e la diffusione dell’apprendistato duale e di alta formazione, è alquanto scarso. Con una sostanziale polarizzazione regionale, in alcuni territori italiani la partecipazione del tessuto industriale alla formazione permea i percorsi VET, mentre in altri vi è la difficoltà sistematica nel creare un dialogo proficuo e di utilizzare strumenti come l’apprendistato per rispondere alle esigenze locali.
 
All’interno dei Paesi OCSE, ciò che emerge sullo stato di salute della formazione professionale varia notevolmente anche all’interno delle singole regioni, tra i diversi settori e i gradi di qualifiche disponibili. Rispetto a queste differenze, vengono proposte differenti linee di policy dai decisori politici, i quali analizzano il bisogno territoriale dai diversi punti di vista, per stanziare nel modo più ottimale i fondi disponibili, al fine di sviluppare localmente la formazione professionale. Non sorprende allora come le differenze siano accentuate se lette fuori da un contesto comparatistico dettagliato. Altrimenti, la ratio è piuttosto comprensibile, e presenta come perno principale l’occupabilità della persona, tramite una progettazione dei servizi efficace ed a servizio delle esigenze territoriali. I numeri che lo studio presenta sono incoraggianti e mettono in luce come la formazione professionale non sia solo una valida alternativa all’educazione generale, ma garante di occupabilità per quanto concerne lavori essenziali e, in certi casi, difficilmente sostituibili dai sistemi di automazione.
 

Carlo Pace

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@CarloPace

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