In un fortunato saggio apparso oltre trent’anni fa, un noto giurista di adozione felsinea diede conto del progressivo allargamento del danno risarcibile a seguito di illecito civile, in forza di un ribaltato orientamento curiale, dimostratosi negli anni più sensibile ad accordare rilevanza a situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela secondo l’ordinamento, in nome di un’atipicità del danno ingiusto che avrebbe caratterizzato il profilo della responsabilità aquiliana. Non dissimile appare la situazione che sta interessando, da qualche anno ormai, la responsabilità solidale del committente di cui all’art. 29, c. 2, legge Biagi, ovverosia di quel vincolo giuridico che, in caso di prestazioni lavorative svolte da dipendenti altrui, onera il beneficiario delle medesime a corrispondere i trattamenti retributivi e/o previdenziali ed assicurativi in caso di inadempimento del datore di lavoro.
Infatti, benché la formulazione del predetto art. 29, c. 2, si riferisca al contratto tipico dell’appalto, non sono mancati tentativi, di fonte dottrinale, curiale ed ispettiva, di superare il dato letterale della norma e riconoscere la responsabilità solidale ad ipotesi negoziali che, quantunque diversamente nominate, partecipano della medesima impostazione sistematica dell’appalto. Il punto iniziale ineludibile appare proprio il riferimento compiuto dall’art. 29, c. 1, d. lgs. n. 276/2003, al «contratto di appalto regolamentato ai sensi dell’art. 1655 del codice civile»: è intuitivo, infatti, che se al predetto richiamo è assegnata la mera funzione di chiarire la portata distintiva tra la somministrazione e l’appalto, sussistono minori resistenze ad un’applicazione della solidarietà alla totalità delle figure negoziali rientranti nello schema della locatio operis, cui appartiene l’appalto. Viceversa, ove il rimando all’art. 1655 c.c. assolve alla funzione di definire, delimitandolo, il perimetro applicativo della complessiva disciplina del titolo III della legge Biagi, è più arduo oltrepassare il dato letterale senza violare le regole basilari dell’attività ermeneutica (sul punto, M. Mollo, Articolo 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 e contratto di trasporto: una deroga discutibile, in Argomenti di Diritto del Lavoro, 2015, 1, 113 ss.).
A riproporre la questione è l’ordinanza della Corte di Appello di Venezia del 13 luglio 2016, la quale, a fronte dell’impugnazione della sentenza di primo grado applicante in via estensiva l’art. 29, c. 2, legge Biagi, al contratto di subfornitura, ha investito la Corte Costituzionale sul giudizio di conformità dell’art. 29, c. 2, cit., all’art. 3 e 36 Cost., in relazione, rispettivamente, al principio di uguaglianza e di una sufficiente retribuzione cui ha diritto il lavoratore, nonché degli artt. 2 e 31 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea, con riferimento alle condizioni di dignità ed equità del lavoratore. In base al contratto di subfornitura disciplinato dalla legge n. 192/1998, una parte, a titolo oneroso, si obbliga ad eseguire la prestazione osservando le direttive organizzative e tecniche del committente, nel cui contesto produttivo si inserisce, differenziandosi dall’appalto per la maggiore ingerenza del committente ed una più stretta integrazione tra le parti.
Secondo il Collegio del gravame, la rilevanza della questione riposa sulla non condivisibilità dell’interpretazione del giudice di prime cure in merito all’estensione della tutela accordata ai lavoratori dall’art. 29, c. 2, legge Biagi, in ragione della sua eccezionalità, che ne inibirebbe un’applicazione analogica ex art. 14 disp. prel. c.c. (contra, sul punto, G. Gamberini, Ai confini della certificazione dei contratti: la subfornitura industriale, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2012, 4, 1055 ss., spec.1064 e nota 39). Altresì, l’organo remittente dà conto del vivace dibattito svoltosi in dottrina e giurisprudenza (su cui G. Gamberini, Ai confini della certificazione dei contratti: la subfornitura industriale, cit.) sull’inquadrabilità del contratto di subfornitura: in particolare, malgrado l’esistenza di una disciplina specifica, il contratto de quo oscilla ancora tra la tipicità legale e la figura negoziale trasversale, derivandone, prevalendo l’uno o l’altro, l’impossibilità o meno di ricorrere all’interpretazione analogica. La Corte d’Appello veneta sembra accogliere il primo di detti orientamenti, caratterizzandosi il contratto di subfornitura per una cooperazione non paritetica tra le imprese dovuta ad una dipendenza tecnica ed organizzativa del subfornitore rispetto al committente in ragione della dipendenza economica da questi, con una causa negoziale consistente proprio nell’assoggettamento del subfornitore alle direttive tecniche del committente (Corte di Cassazione, sentenza del 25 agosto 2014, n. 18186).
All’interno del medesimo orientamento ermeneutico va tuttavia annoverata una pronuncia di poco precedente a quella in commento e dalla medesima non menzionata, alla cui stregua la tipicità del contratto di subfornitura non preclude un’applicazione estensiva della tutela accordata dall’art. 29, c. 2, legge Biagi, ai lavoratori occupati nei fenomeni di outsourcing (Corte di Appello di Brescia, 11 maggio 2016, in Argomenti di Diritto del Lavoro, 2016, 4-5, 1033 ss.., con nota adesiva di A. Tagliente, Il rapporto di subfornitura tra elementi tipici e derivati dall’appalto: la questione della responsabilità solidale). Le motivazioni addotte a sostegno di tale posizione sono tre, e tutte di ordine sistematico: innanzitutto, la ratio dell’art. 29, c. 2, cit., consiste nella particolare tutela riconosciuta ai lavoratori occupati nei processi di disintegrazione verticale dell’impresa, in quanto svolgenti una prestazione di cui beneficia un terzo estraneo al rapporto di lavoro; altresì, il riferimento compiuto, dall’art. 29, c. 1, legge Biagi, al contratto di “appalto” di cui all’art. 1655 c.c., è generico e va inteso quale mero schema contrattuale; infine, la subfornitura è una sub-specie del negozio di appalto, condividendone l’organizzazione dei mezzi necessari e la gestione a proprio rischio. Pertanto, posta la particolare tutela accordata ai lavoratori impiegati nell’appalto in virtù della contiguità fra quest’ultimo e la somministrazione illegittima di manodopera, a fortiori nel caso di subfornitura – in cui detta contiguità è esasperata dalla dipendenza tecnico-organizzativa del subfornitore rispetto al committente – un’omissione di tutela dei lavoratori costituirebbe una lesione del principio di parità di trattamento in situazioni simili.
Entrambi i provvedimenti curiali non sembrano brillare per linearità del ragionamento: in particolare, il primo, non motiva adeguatamente né il carattere eccezionale della previsione della solidarietà introdotta dalla legge Biagi negli appalti, né la violazione del principio di uguaglianza di fonte costituzionale; il secondo, invoca a sostegno di un’identità strutturale e funzionale tra subfornitura ed appalto i medesimi elementi posti viceversa a fondamento della diversità tra i due negozi, così come non allarga l’esigenza di tutela ad ulteriori ipotesi negoziali in cui è dedotta una prestazione lavorativa altrui. In altri termini, se, come sostiene la Corte di Appello di Brescia, il punto centrale è la salvaguardia della posizione dei lavoratori, diventa arduo riconoscerne l’esistenza nel caso del contratto di subfornitura e non, piuttosto, in altre ipotesi negoziali, quali ad esempio il cd. nolo a caldo.
Quest’ultimo, consistente nel noleggio di un macchinario cui è unita, ancorché in modo strumentale, l’attività lavorativa di un operatore per farlo funzionare, non darebbe luogo, secondo l’orientamento di prassi, alla responsabilità solidale del committente, stante il differente inquadramento sistematico di detto negozio atipico rispetto all’archetipo legale dell’appalto, posto che mentre nel cd. nolo a caldo la prestazione dell’operatore è meramente accessoria rispetto alla fruizione del macchinario, nell’appalto viene realizzata un’opera/servizio mediante l’organizzazione di macchinari e personale (Ministero del lavoro, interpello del 27 gennaio 2012, n. 2).
In termini più generali, appare praticabile un’estensione della responsabilità solidale alla generalità dei negozi giuridici in cui è dedotta una prestazione di lavoro non vincolata in modo diretto a chi ne beneficia: sul punto vale la pena ricordare che l’art. 12, paragrafo 4, direttiva 2014/67/UE, concede agli Stati membri la possibilità di prevedere la responsabilità solidale lungo l’intera filiera degli appalti «in settori diversi da quelli di cui all’allegato della direttiva 96/71/CE», nella sostanza facendo assurgere l’istituto a meccanismo regolatore privilegiato dei fenomeni di outsourcing latamente intesi. Per quanto l’atto normativo europeo riconosca una mera facoltà agli ordinamenti nazionali e faccia riferimento ad altri settori produttivi piuttosto che a differenti fattispecie giuridiche, occorre precisare che nel linguaggio comunitario il termine «subcontracting» presenta un’accezione più ampia rispetto al nazionale subappalto, potendo quindi esser correttamente riferito alla globalità dei negozi giuridici posti in essere dalle parti, benché il legislatore italiano, recependo l’atto normativo comunitario con il d. lgs. n. 136/2016, abbia preferito non estendere l’ambito applicativo della solidarietà a fattispecie negoziali diverse da quelle oggetto di esplicita disciplina.
La questione non è peregrina ove venga considerato che un’interpretazione restrittiva del termine de quo e, di conseguenza, del regime della responsabilità solidale, rischierebbe di generare una vistosa disparità di trattamento di difficile ragionevolezza costituzionale: la realtà ha già offerto casi di prestazioni lavorative poste in essere da soggetti non in rapporto giuridico diretto con chi ne beneficia, nei fatti realizzando una situazione in nulla dissimile da quella riscontrabile negli appalti di opere o servizi, al netto del diverso nomen juris del contratto sottoscritto tra le parti. Risulterebbe pertanto irragionevole regolare in modo differente, non invocando la responsabilità solidale del committente, in presenza di elementi fattuali identici interessanti i lavoratori.
L’auspicio, quindi è che la Consulta, nel risolvere il caso di specie, allarghi i propri orizzonti argomentativi superando il campo definitorio del contratto utilizzato dalle parti, per fondare un ragionamento applicabile ogni qualvolta sia dedotta in contratto una prestazione lavorativa. In questo senso, significativi sono gli esiti del progetto di redazione di un Codice Semplificato del Lavoro, il cui art. 2128, rubricato «Appalto dipendente, appalto interno e responsabilità solidale nelle esternalizzazioni produttive», equipara all’appalto ad esecuzione continuativa «gli altri contratti, anche atipici, che ne condividano la causa e la struttura della prestazione», stabilendo, da un lato, la sussistenza del rimedio solidale in caso di dipendenza economica, estensibile al subappalto se presente a detto livello, nonché, dall’altro, la rinunciabilità della responsabilità solidale retributiva, da parte del singolo lavoratore, in sede di certificazione del contratto. In base a quest’ipotesi, quindi, a far scattare il vincolo giuridico in parola sarebbe la prestazione concretamente dedotta in contratto che partecipi della medesima funzione economico-sociale e della struttura del contratto di appalto, a prescindere dalla denominazione formale assegnatale, coprendo quindi l’intero settore delle esternalizzazioni produttive (G. Gamberini (a cura di), Progettare per modernizzare. Il Codice semplificato del lavoro, ADAPT Labour Studies e-book, 2014, n. 23, 56-57).
La correttezza del percorso suggerito dalla dottrina è del resto ricavabile dalla regolazione del contratto di trasporto, non contemplato, al pari della subfornitura, dall’art. 29, c. 2, legge Biaggi, ed ugualmente partecipante dello stesso schema negoziale, ovverosia una prestazione di fare dietro corrispettivo. Anche in questo caso, l’iniziale breccia nel muro dell’impermeabilità di un’estensione della solidarietà del committente ad ipotesi negoziali nominativamente diverse dall’appalto è giunta dalla giurisprudenza. In particolare, pur nel rispetto del limite rappresentato dall’inequivoca formulazione legislativa – che precluderebbe l’applicazione dell’art. 29, c. 2, cit., al contratto di trasporto/sub-trasporto (tra le tante, cfr. Trib. Milano, 19 maggio 2014, n. 1293; Trib. Milano, 11 luglio 2012, n. 2940; Trib. Milano, 28 maggio 2012, n. 2291; Trib. Milano, 20 giugno 2012, n. 2883) –, i giudici hanno individuato la figura del contratto di servizio di trasporto, caratterizzato da servizi non considerabili accessori, bensì frutto di espresse pattuizioni tra le parti e rientranti nell’archetipo legale tipico dell’appalto. Tali pattuizioni riguarderebbero periodiche verifiche, ad opera del committente, dell’operato dell’esecutore della prestazione, ovvero a variazioni della prestazione in corso d’opera e del relativo ammontare del corrispettivo (in questo senso, Trib. Milano, 2 maggio 2012, n. 1946, e Cass. civ., 13 marzo 2009, n. 6160).
Malgrado timide e contraddittorie aperture dell’orientamento di prassi (Ministero del lavoro, circolare dell’11 luglio 2012, n. 17 ed interpello n. 2/2012 cit.), il diritto positivo ha alla fine introdotto, con l’art. 1, c. 247-248, legge n. 190/2014, la responsabilità solidale per i trattamenti retributivi, previdenziali ed assicurativi a carico del committente/sub-appaltante contratti di trasporto merci per conto terzi, nei fatti ampliando, sia pure con significative aporie (G. Carosielli, La responsabilità solidale nell’autotrasporto merci per conto terzi, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2015, 1, 251 ss.), la platea dei lavoratori tutelati dal rimedio solidale in caso di terziarizzazioni, e dimostrando che la sfida del diritto resta sempre la ricerca di una bilanciata regolazione di istanze spesso contrastanti tra loro.
Trent’anni fa come oggi.
Funzionario ispettivo ITL Bologna (*)
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