Le novità introdotte dal d.lgs. n. 62/2024 in materia di accomodamenti ragionevoli e le loro implicazioni per il diritto del lavoro

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Bollettino speciale ADAPT 3 luglio 2024, n. 3
 

Tra gli interventi di maggior interesse del d.lgs. n. 62/2024 con riferimento alle implicazioni sul diritto del lavoro si può certamente annoverare l’introduzione di una nuova nozione di «accomodamento ragionevole».
L’istituto degli accomodamenti ragionevoli ha fatto il suo ingresso per la prima volta nell’ordinamento italiano solo a seguito della condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per il mancato recepimento della direttiva 2000/78/CE nella parte in cui prevede l’obbligo degli accomodamenti ragionevoli (CGUE, 4 luglio 2013, C-312/11, Commissione Europea contro Repubblica Italiana) a cui è conseguito l’introduzione del comma 3-bis dell’art. 3 d.lgs. n. 216/2003. La disciplina allora introdotta, tuttavia, presentava alcuni limiti significativi: da un lato, la genericità della definizione degli «accomodamenti ragionevoli», dall’altro, l’assenza di procedure chiare per la richiesta e l’implementazione di tali misure.
 
Sia la giurisprudenza eurounitaria che quella nazionale hanno contribuito ad arginare la vaghezza di tale nozione. In particolare, sulla scorta della definizione contenuta nell’art. 2 della Convenzione ONU del 2006, la giurisprudenza ha chiarito che il concetto di accomodamento ragionevole «si riferisce all’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed effettiva partecipazione delle persone con disabilità alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori» (CGUE, 11 aprile 2013, C-335/11, HK Danmark, punto 54), imponendo quindi al datore di lavoro, in relazione ai singoli casi concreti, l’adozione di misure appropriate «per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione» (CGUE, 10 febbraio 2022, C-485/20, HR Rail SA, punto 39. V. anche CGUE, 18 gennaio 2024, C-631/22, J.M.A.R., punto 44). Nello stesso senso si è espressa anche la Corte di Cassazione che ha definito gli “accomodamenti ragionevoli” come quegli «adeguamenti, latu sensu, organizzativi (…) che si caratterizzano per la loro “appropriatezza”, ovvero per la loro idoneità a consentire alla persona svantaggiata di svolgere l’attività lavorativa» (ex multis Cass. civ., 9 marzo 2021, n. 6497).
 
Seguendo l’interpretazione giurisprudenziale formatasi intorno all’art. 5 della direttiva 2000/78/CE e al comma 3-bis dell’art. 3 d.lgs. n. 216/2003, l’obbligo datoriale di adozione degli accomodamenti ragionevoli va incontro a un doppio limite. In primo luogo, l’onere finanziario che ne deriva deve essere «proporzionato alle dimensioni e alle caratteristiche dell’impresa (…)» (ex multis Cass. civ., 29 dicembre 2019, n. 34132; Cass. civ., 19 marzo 2018, n. 6798. Nello stesso senso CGUE, 10 febbraio 2022, C-485/20, HR Rail SA, punto 39), nella prospettiva di assicurarne «il mantenimento degli equilibri finanziari» (Cass. civ., 23 gennaio 2021, n. 4896; Cass. civ., 26 ottobre 2018 n. 27243). A tale limite si aggiunge quello – «dotato di autonoma valenza letterale» – della ragionevolezza, che viene misurato in relazione al rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede (sull’autonomia del limite della ragionevolezza v. Cass. civ., 9 marzo 2023, n. 6497). In altri termini, secondo la giurisprudenza, l’individuazione di un accomodamento ragionevole costituisce una complessa attività di bilanciamento degli interessi giuridicamente rilevanti per le parti coinvolte, dal cui esito «potrà dirsi ragionevole ogni soluzione organizzativa praticabile che miri a salvaguardare il posto di lavoro del disabile in un’attività utile per l’azienda e che imponga all’imprenditore, oltre che al personale eventualmente coinvolto, un sacrificio che non ecceda i limiti di una tollerabilità considerata accettabile secondo “la comune valutazione sociale”» (Cass. civ., 9 marzo 2021, n. 6497).
 
L’apporto del d.lgs. n. 62/2024 in tema di accomodamenti ragionevoli: quali novità?
 
È in questo panorama normativo e giurisprudenziale che si pone l’art. 17 del d.lgs. n. 62/2024 che introduce all’interno della l. n. 104/1992 l’art. 5-bis, rubricato «Accomodamento ragionevole».
Dopo aver premesso la natura sussidiaria di tale strumento – che «non sostituisce né limita il diritto al pieno accesso alle prestazioni, servizi e sostegni riconosciuti dalla legislazione vigente» – il comma 1 specifica che l’accomodamento ragionevole, «ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (…), individua le misure e gli adattamenti necessari, pertinenti, appropriati e adeguati, che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al soggetto obbligato». Tali caratteristiche vanno valutate, ai sensi del comma 5, in relazione all’entità della tutela che deve essere accordata, alle condizioni di contesto del caso concreto e alla compatibilità fra misura da adottare e le risorse – anche economiche – effettivamente disponibili.
 
A ben guardare, la definizione di «accomodamento ragionevole» offerta dal nuovo art. 5-bis l. n. 104/1992 spinge a una duplice riflessione. Da un lato, essa sembra avere un ambito di applicazione ben più vasto rispetto a quello dell’art. 3 comma 3-bis del d.lgs. n. 216/2003 – nonché della direttiva 2000/78/CE di cui ne costituisce attuazione – in forza del quale l’obbligo di adozione di un accomodamento ragionevole è circoscritto al solo scopo di consentire alla persona con disabilità l’accesso al lavoro o il mantenimento dell’occupazione. Infatti, il rinvio operato dall’art. 5-bis l. n. 104/1992 all’art. 2 della Convenzione ONU del 2006 induce a ritenere che la nuova nozione di accomodamento ragionevole introdotta dal d.lgs. n. 62/2024 non sia limitata al solo settore occupazionale essendo, al contrario, finalizzata a «garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali». Dall’altro, le caratteristiche individuate dal comma 1 e specificate dal comma 5 confermano il carattere dinamico degli accomodamenti ragionevoli, i cui contenuti specifici variano in relazione alle circostanze del caso concreto e sembrano legittimare quell’orientamento giurisprudenziale che affianca al limite della proporzionalità dei costi quello della ragionevolezza della misura adottata, valutata in base alla sua necessità, pertinenza, appropriatezza e adeguatezza con l’entità della tutela e con le condizioni di contesto del caso concreto.
 
La procedura di adozione dell’accomodamento ragionevole
 
Una previsione di particolare interesse, anche per le sue implicazioni rispetto alle prassi diffuse nei contesti di lavoro, è contenuta nel comma 3 del nuovo art. 5-bis. Esso stabilisce infatti che «la persona con disabilità, l’esercente la responsabilità genitoriale in caso di minore, il tutore ovvero l’amministratore di sostegno se dotato dei poteri ha la facoltà di richiedere, con apposita istanza scritta, alla pubblica amministrazione, ai concessionari di pubblici servizi e ai soggetti privati l’adozione di un accomodamento ragionevole, anche formulando una proposta».
 
Il successivo comma 4 prevede che al procedimento di individuazione dell’accomodamento ragionevole vi partecipa la persona con disabilità o chi la rappresenta.
Nei casi in cui la persona con disabilità eserciti la facoltà riconosciuta dal comma 3 e richieda l’adozione di un accomodamento ragionevole formulando una specifica proposta, il legislatore impone al soggetto obbligato – fra cui rientrano i datori di lavoro pubblici e privati – di verificare previamente la possibilità di accogliere l’accomodamento proposto, valutandone la ragionevolezza e la proporzionalità, secondo i criteri individuati dal comma 5.
 
La lettura congiunta dei commi 3, 4 e 6 dell’art. 5-bis l. n. 104/1992 fa emergere un quadro in cui il legislatore intende assicurare il pieno coinvolgimento della persona con disabilità riservandogli un ruolo attivo nell’ambito di un processo di notevole importanza ai fini della sua inclusione lavorativa e sociale e assicurando una valutazione completa delle specificità dei bisogni e delle capacità del disabile.
 
Una conferma sembra emergere dal successivo comma 7 che prevede che nel provvedimento finale vengano tenute in considerazione le esigenze della persona con disabilità anche attraverso gli incontri personalizzati di cui al comma 4. Ove non fosse possibile l’adozione dell’accomodamento ragionevole proposto dalla persona con disabilità, il procedimento si conclude con la motivazione del diniego e l’indicazione della misura ritenuta ragionevole e proporzionata. Sebbene il comma 7 si rivolga espressamente alla sola pubblica amministrazione, non va esclusa l’ipotesi di estendere anche ai concessionari di pubblici servizi e ai soggetti privati l’onere di motivare le ragioni alla base del diniego ad adottare la misura proposta e, soprattutto, la necessità di individuare un accomodamento ragionevole di diversa natura, vista la esplicita possibilità di poter azionare i diritti descritta nei successivi commi 8, 9, 10 e 11, sia ricorrendo in giudizio sia rivolgendosi all’Autorità Garante dei diritti delle persone con disabilità. In questo ultimo caso il soggetto istante potrà chiedere di verificare l’avvenuta discriminazione «per rifiuto di accomodamento ragionevole». Nel caso di ricorso all’autorità giudiziaria si applicherà il rito semplificato di cognizione disciplinato dall’art. 28 d.lgs. n. 150/2011, la cui particolarità sta nel fatto che ove il ricorrente fornisca elementi di fatto idonei a integrare una presunzione di avvenuta discriminazione, l’onere di provarne l’insussistenza grava sul convenuto.

 
Alcune considerazioni conclusive
 
Nel complesso del nuovo art. 5-bis l. n. 104/1992 il profilo di maggior interesse è sicuramente dato dalla centralità che la partecipazione della persona con disabilità assume nel delicato procedimento di individuazione dell’accomodamento ragionevole. Al destinatario di tale misura viene riconosciuto, infatti, un ruolo attivo in primis attraverso la facoltà di attivare il procedimento, anche formulando una specifica proposta. Ricostruito in questo modo, l’accomodamento ragionevole costituisce l’esito di un processo condiviso e volto a sintetizzare i bisogni, le esigenze e le capacità della persona con disabilità nella prospettiva di assicurare la sua piena valorizzazione e inclusione sia lavorativa che sociale.
 
Questi profili inducono però a interrogarsi sui possibili risvolti di questi nuovi equilibri.

Una prima questione riguarda le possibili conseguenze derivanti dalla mancata attivazione del procedimento dell’interessato – specie ove il progetto di vita individui già un primo accomodamento ragionevole – e/o nel caso in cui egli non vi prendesse successivamente parte.

Se è vero che la legge si limita ad attribuire alla persona con disabilità una mera facoltà ad attivare il procedimento di individuazione dell’accomodamento ragionevole e a formulare una proposta, ci si potrebbe chiedere se essa costituisca attuazione dei generali principi di correttezza e buona fede che informano tutti i rapporti negoziali e quale rilevanza giuridica possa assumere il suo mancato esercizio.
 
Questi interrogativi, che daranno verosimilmente luogo ad un contenzioso, troveranno risposte nelle pronunce della magistratura.
 

Silvia Caneve

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@CaneveSilvia
 
Fulvio Cucchisi

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@fulviocccs

Le novità introdotte dal d.lgs. n. 62/2024 in materia di accomodamenti ragionevoli e le loro implicazioni per il diritto del lavoro