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Bollettino ADAPT 21 gennaio 2019, n. 3
Che le moderne tecnologie digitali abbiano rivoluzionato il tradizionale mondo del lavoro e siano, pertanto, il fattore scatenante della c.d. Quarta Rivoluzione Industriale, racchiusa nella più suggestiva etichetta di “Industry 4.0”, non è più una novità. Un’ulteriore conferma della centralità dalle stesse acquisite negli attuali processi produttivi deriva dalla notizia, riportata il 5 dicembre scorso dalla nota testata giornalistica britannica The Guardian, di un incidente avvenuto nel magazzino di Amazon sito in Robinsville, New Jersey, ove un robot, “reo” di aver perforato una lattina di repellente per gli orsi che, accidentalmente, era caduta da uno scaffale, ha “costretto” 24 lavoratori a recarsi in ospedale per gli opportuni accertamenti precauzionali.
La portata espansiva del fenomeno “digitalizzazione” ha indotto gli interpreti ad allargare l’area di influenza di Big Data, Internet of Things (IoT) et similia, superando l’area del comparto industriale fino ad abbracciare l’intera organizzazione imprenditoriale, tanto da indurre i più a preferire l’onnicomprensiva sigla di “Impresa 4.0”. Software sempre più avanzati, oggetti intelligenti capaci di comunicare in autonomia reciprocamente, macchine in grado di prendere decisioni senza il minimo coinvolgimento dell’uomo continuano a rivelare tutto il proprio potenziale in termini di produttività aziendale, offrendo agli imprenditori innumerevoli occasioni per digitalizzare parti sempre più ampie del processo produttivo, limitando gradualmente gli apporti dell’uomo e alleggerendo i rispettivi costi di produzione.
Il conflitto uomo-macchina, però, continua ad acuirsi, tanto da spingere alcuni a interrogarsi se, alla luce dell’intelligenza delle macchine e della loro autonomia nell’assunzione di decisioni, non sia l’uomo stesso, oggi, ad essersi ridotto a macchina[1]: emblematica, al riguardo, l’esperienza del braccialetto elettronico che, in magazzini dalle dimensioni “metropolitane” quali possono essere quelli di Amazon o Leroy Merlin, indicano al lavoratore stesso il singolo compito da svolgere di volta in volta, con indicazioni precise sul dove reperire l’oggetto, tra l’altro entro tempistiche rigidamente predeterminate.
Al di là degli effetti in termini di produttività e conseguente competitività dell’impresa, l’impatto delle tecnologie è tale da involgere anche il delicato tema della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, racchiuso dalla nomenclatura internazionale nella sigla OSH. Studi approfonditi, condotti, in particolare, da EU-OSHA[2] a livello europeo e da INAIL[3] sul piano nazionale, evidenziano i rischi e i pericoli derivanti dall’utilizzo delle tecnologie in ambienti di lavoro, nonché le nuove patologie da essi nascenti ribattezzate come “tecnopatie”, tra le quali si annoverano il c.d. tecnostress, problemi muscolo-scheletrici, diffuso senso di isolamento, perdita della componente socio-relazionale sul lavoro, generalizzata sensazione di mortificazione professionale per coloro i quali siano chiamati ad eseguire compiti meramente ripetitivi ed esecutivi in più sulla base delle istruzioni derivanti dai macchinari intelligenti, sindrome di burnout (o burn–out), la c.d. Fomo (fear of missing out, ovvero l’ossessione di rimanere esclusi) o la c.d. nomofobia (ossia il timore di restare disconnessi), dipendenza dai social e fenomeni di c.d. phubbing (consistente nel prestare maggiore attenzione, nel corso di un’interazione sociale, agli strumenti digitali piuttosto che agli interlocutori).
Gli stessi studi, tuttavia, pongono l’accento sugli effetti benefici che le medesime tecnologie digitali possono recare con sé, proprio sul delicato terreno della salute e sicurezza sul lavoro, dimostrando come, in un futuro non troppo lontano ma che, anzi, già comincia a tradursi in “presente”, il rapporto uomo-macchina possa essere capovolto, abbandonando la logica conflittuale per intraprenderne una maggiormente collaborativa (i c.d. “cobot”, ovverosia robot collaborativi, ne costituirebbero l’epifania), che faccia delle macchine intelligenti un mezzo non soltanto di efficientamento produttivo, ma, altresì, di salvaguardia dell’uomo stesso, in particolare per ciò che riguarda la sua salute e sicurezza sul luogo di lavoro, di cui il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., è tenuto a farsi carico.
A sostegno dell’imprenditore nell’assolvimento di questo massiccio onere potrebbero intervenire proprio le tecnologie digitali, quali ad esempio software e sensori intelligenti capaci di misurare la qualità dell’aria rilevando, qualora presenti, sostanze tossiche o pericolose per l’incolumità dei lavoratori o la presenza di “uomo a terra”, consentendo di tal guisa di agire in via preventivo-precauzionale piuttosto che successivo-correttiva e, dunque, prima che si realizzi l’evento dannoso. In quest’ottica si innestano diversi esperimenti promossi dai vari organismi, in primis l’Inail, deputati allo studio della materia, tra i quali già si annoverano il Progetto Sa.S.I.A., testato in un’azienda del chimico e “incaricato” di monitorare la situazione ambientale del luogo di lavoro nonché l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale; l’applicativo Aermes di assistenza nella valutazione dei rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi e ai movimenti ripetitivi, al fine di facilitare l’individuazione delle cause dei disturbi muscolo-scheletrici nelle mansioni lavorative labour-intensive e poco standardizzate; gli strumenti di ergonomia virtuale in grado di guidare il lavoratore nella tenuta del comportamento ergonomicamente corretto nell’esecuzione di una qualunque attività, magari accompagnato da un meccanismo di allerta che segnali le imperfezioni posturali del dipendente; e, infine, i c.d. “giochi seri” che, con modalità interattive, istruiscono i lavoratori sulle precauzioni da adottare nell’assolvimento dei propri compiti, valutati come strumenti di “watch and learn” particolarmente efficaci proprio alla luce del fattore interazionale.
Infinite, pertanto, le potenzialità delle tecnologie rispetto alla prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il problema, tuttavia, è che, spesso, le imprese vedono le corrispondenti spese come un costo, tra l’altro di difficile preventivazione, piuttosto che come un investimento capace di produrre un ritorno economico (quantomeno in termini di risparmio) in un secondo momento. Superata la renitenza di molti datori, all’opera di preventivazione dei costi possono concorrere le stesse tecnologie, come dimostra l’applicativo “Co&Si”, sviluppato da Contarp e Csa nell’ambito dell’attività di ricerca “targata” Inail, e volto all’assistenza alle imprese nella determinazione delle spese generate tanto dalle misure di prevenzione e protezione quanto e soprattutto dal verificarsi degli eventi infortunistici: la sperimentazione del software ha rivelato un dato certamente non scontato, ovvero il fatto che gli investimenti in prevenzione e protezione determinano un risparmio di costi pari mediamente al 18% dell’intera spesa destinata alla sicurezza.
Dopo aver “scatenato” la dirompente Impresa 4.0, dunque, le tecnologie digitali sembrano pronte a porre le fondamenta di quella che, specularmente alla maliosa formula dell’Industry 4.0, potrebbe essere definita come “Safety 4.0” (espressione che già comincia a frequentare gli ambienti istituzionali): si tratterebbe, in sostanza, di inaugurare un nuovo corso per il sistema posto dall’ordinamento a protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, che, lungi dall’osteggiare l’avvento della digitalizzazione quale mera fonte di pericoli e infortuni, sfrutti appieno tutto il potenziale che la medesima può offrire in termini di prevenzione.
Le principali difficoltà, tanto sul piano giuridico quanto a livello pratico, derivano dal funzionamento di tali innovativi meccanismi, che si basano sulla massiccia raccolta di dati personali e sulla successiva aggregazione sistematica dei medesimi, intersecandosi con due prerogative personali e altrettante discipline normative volte alla tutela della dignitas hominis: da un lato, infatti, il GDPR (Reg. UE n. 2016/679) e il “Codice della Privacy” (d. lgs. n. 196/2003 come modificato da ultimo con il d. lgs. n. 101/2018) erigono un’imponente argine al trattamento dei dati personali, al contempo «frammenti dell’identità personale»[4] e «nuovo petrolio della società digitale»[5]; dall’altro lato, invece, l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (l. n. 300/1970) continua, nonostante le incessanti modifiche dettate da uno sviluppo tecnologico cui il diritto stenta a star dietro[6], a tutelare il dipendente dall’evenienza dei controlli a distanza. Il coordinamento delle due normative avviene per il tramite del terzo comma del succitato articolo che, arricchendo le prescrizioni imposte dai primi due commi ai fini dell’installazione di un lecito sistema di controllo, ammette l’utilizzabilità a qualunque fine dei dati così raccolti – che dovranno essere trattati pur sempre nel rispetto generale del Codice Privacy – ma soltanto allorquando sia fornita adeguata informativa al dipendente. A ciò si aggiunge, inoltre, il categorico divieto di indagare su «fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore», che sul datore di lavoro grava per effetto dell’art. 8 dello Statuto.
L’avvento di una Safety 4.0 fondata su una tecnologia collaborativa al servizio delle istanze di protezione del dipendente e, più in generale, della persona è pertanto prossimo: organismi influenti, quali EU-OSHA e Inail (l’istituendo progetto Artes 4.0 di quest’ultima costituisce la più recente testimonianza) hanno già intrapreso questo nobile percorso e altrettanto può e deve fare, sfruttando la maggiore contiguità al contesto pratico in cui è chiamata a operare, la contrattazione collettiva, i cui sforzi rischiano però di risultare vani se non assecondati da un’efficace opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica rispetto alla centralità della materia della salute e sicurezza sul lavoro non soltanto nel contesto imprenditoriale, ma nell’intero sistema socio-economico.
Andrea Tundo
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo
[1] L’affascinante riflessione è stata espressa dalla Prof.ssa Carinci in occasione della Preconference della IX edizione del Convegno Internazionale ADAPT, dall’eloquente titolo Nuovi lavori: un nuovo diritto? Spunti per il dibattito, 29 novembre 2018, Bergamo.
[2] Foresight on new and emerging occupational safety and health risks associated with digitalisation by 2025, European Risk Observatory, Report EU-OSHA, Luxembourg, 2017.
[3] Sfide e cambiamenti per la salute e la sicurezza sul lavoro nell’era digitale, Atti del Seminario di aggiornamento dei professionisti Contarp, Csa, Cit, Firenze, Ottobre 2018.
[4] L’incisiva immagine è della Prof.ssa Finocchiaro in Il diritto all’identità personale su Internet: il diritto alla contestualizzazione dell’informazione, in Dir. inf., 3, 2012, p. 383 ss.
[5] L’icastica espressione è del Prof. Pizzetti, Il prisma del diritto all’oblio, in Pizzetti (a cura di), Il caso del diritto all’oblio, Milano, 2013, p. 41.
[6] La disciplina derivante dalle recenti novità apportate con la l. n. 151/2015 si fonda, tra le altre cose, sulla distinzione tra strumenti di lavoro e strumenti di controllo di cui al comma 2 del citato articolo, differenziazione già smentita dalla realtà empirica da cui emerge la frequente commistione di entrambe le funzioni nel medesimo strumento: l’apparente arretratezza di una norma di ultimissima generazione come quella di cui al comma 2 ha indotto il Professor Voza, nella medesima occasione di cui alla nota 1, ad affermare significativamente come il «diritto più aggiornato sia già vecchio».