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Bollettino ADAPT 9 settembre 2019, n. 31
Lo scorso 4 settembre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali». Le novità maggiormente rilevanti riguardano i “lavoratori delle piattaforme digitali”. A tal proposito, il provvedimento adottato dal precedente Governo merita un approfondimento per via delle sue possibili implicazioni con riferimento alle condizioni lavorative dei c.d. gig workers, ovvero i lavoratori dell’economia dei “lavoretti”.
Lavoro tramite piattaforme anche digitali e collaborazioni etero-organizzate
Il decreto-legge interviene ampliando ed integrando alcune previsioni contenute nel d.lgs. n. 81/2015. In particolare, all’art. 1, comma 1, lett. a), si dichiara che le disposizioni in merito alle collaborazioni organizzate dal committente contenute nell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015 si applicano anche «qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali». Si vuol quindi estendere alle prestazioni di lavoro organizzate mediante “piattaforme anche digitali” le tutele proprie del lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015. Questa disposizione è entrata in vigore il 5 settembre scorso, quindi a tutti i ciclofattorini il cui rapporto di lavoro si concreti in una collaborazione esclusivamente personale, continuativa e organizzata dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro potrà essere riconosciuto (dagli organi giudicanti, presumibilmente) un regime di tutele assimilato a quello dei lavoratori subordinati. Ciò significa che saranno applicabili ai rider gli istituti tipici del lavoro subordinato, quindi, a titolo esemplificativo: la retribuzione minima fissata dal contratto collettivo di riferimento, le tutele previdenziali, la malattia, le ferie, l’indennità di disoccupazione e il TFR. Resta invece ancora dibattuta in dottrina e in giurisprudenza l’applicabilità – in forza dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015 – di istituti come il regime sanzionatorio in caso di licenziamento illegittimo.
Appare opportuno ricordare come l’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 sia stato oggetto di innumerevoli analisi in dottrina ([1]). Ciò in ragione del fatto che il primo comma dello stesso può avere un forte impatto sul rapporto di collaborazione posto in essere, qualora quest’ultimo si caratterizzi per gli elementi richiamati dalla disposizione (continuità, esclusiva personalità ed etero-organizzazione della prestazione). Tuttavia, se, da un lato, le parti sociali hanno mostrato sin da subito l’interesse a stipulare accordi riconducibili al comma 2, lett. a), in grado di derogare all’estensione applicativa disposta dal primo comma ([2]), solo recentemente quest’ultimo ha avuto ricadute sul piano pratico, determinando, in sede giudiziale, l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ad alcuni rider che collaboravano con una famosa piattaforma di food delivery (il riferimento è alla recente sentenza della Corte d’Appello di Torino nel caso Foodora, in cui il giudice ha riconosciuto a questi lavoratori le tutele del lavoro subordinato, ravvisando gli elementi della etero-organizzazione della collaborazione) ([3]).
La novella dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 non sembra ampliare automaticamente la sfera d’azione della disposizione, poiché nella sua formulazione attuale non pare ravvisabile una presunzione assoluta di etero-organizzazione per le collaborazioni che si avvalgano di piattaforme digitali e non. Nonostante la relazione illustrativa del provvedimento sembri propendere proprio per questa interpretazione di presunzione iuris et de iure, pare più corretto considerare la modifica normativa come volta a chiarire la riconducibilità al suddetto meccanismo estensivo anche dei rapporti di collaborazione la cui esecuzione sia organizzata tramite piattaforma, restando inteso che spetterà poi al giudice valutare in concreto il ricorrere dei requisiti di etero-organizzazione anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Misure di tutela dei rider: campo di applicazione e definizioni
È inoltre introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. c), del decreto un nuovo Capo V-bis, rubricato «Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali» all’interno del quale trova collocazione l’art. 47-bis, che definisce l’ambito di applicazione delle nuove tutele. In particolare, la ratio dichiarata della norma è quella di riconoscere tutele ai lavoratori delle piattaforme che abbiano rapporti di lavoro non subordinato, ovvero la stragrande maggioranza. Pertanto saranno interessati dalle disposizioni contenute nel Capo V-bis coloro che, sulla base di un rapporto di lavoro autonomo, svolgano attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di biciclette, moto, motorini o simili (con due o più ruote), attraverso piattaforme anche digitali. L’ambito di applicazione delle nuove tutele – le quali peraltro entreranno in vigore solo dopo 180 giorni dalla conversione in legge del decreto – appare assai ristretto, poiché riferibile ai soli rider che si occupano della “consegna di beni per conto altrui”, lasciando fuori altre forme di lavoro tramite piattaforme digitali, come ad esempio i lavoratori di Uber, che si occupano di trasporto passeggeri.
La disposizione in commento fornisce, inoltre, una definizione di piattaforma digitale: ai fini del decreto in commento, si considerano tali «i programmi e le procedure informatiche delle imprese che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, organizzano le attività di consegna di beni, fissandone il prezzo e determinando le modalità di esecuzione della prestazione». Il decreto non fornisce, invece, alcuna definizione di piattaforma non digitale: nella relazione illustrativa del provvedimento si riporta, al riguardo, solo l’esempio di un «sistema di smistamento di chiamate telefoniche», ma la questione rimane a dir poco oscura, soprattutto rispetto al tracciamento dei confini tra cosa sia una piattaforma non digitale e cosa invece no.
Misure di tutela dei rider: limiti al corrispettivo “a consegna” e contrattazione collettiva
Un primo passaggio importante, accolto in modo critico da chi negli ultimi tempi si è fatto portavoce delle istanze di tutela dei rider, riguarda la determinazione del corrispettivo. Infatti, quanti speravano nell’introduzione del “divieto del cottimo” a favore della “paga oraria” si sono detti delusi da una disposizione che, al contrario, prevede la possibilità di pagare i ciclofattorini “a consegna”, purché quest’ultima non sia la modalità prevalente di pagamento (in particolare la critica proviene da Riders Union Bologna v. Rider, nel decreto gialloverde niente divieto di cottimo e solo i cococo avranno i diritti dei dipendenti. “Ora il Parlamento lo cambi” di Chiara Brusini, 6 settembre 2019, ilfattoquotidiano.it).
Ma vi è di più. Altri commentatori hanno sottolineato come tale misura, pensata per tutelare il reddito del rider, rischi, al contrario, di renderne maggiormente precarie le condizioni di lavoro, già caratterizzate dalla discontinuità della prestazione. Infatti, il corrispettivo orario è subordinato alla «condizione che, per ciascuna ora lavorativa, il lavoratore accetti almeno una chiamata» (art. 47-bis, comma 3, ultimo periodo), quindi i gestori delle piattaforme digitali, al fine di aggirare i limiti di legge, potrebbero ingaggiare più rider, riducendo di conseguenza il numero di consegne orarie di ognuno (in particolare v. il commento via Twitter allo schema di decreto-legge di F. Seghezzi del 7 agosto 2019). Questa soluzione, dunque, rischia di scontentare un po’ tutti, aziende e rider, senza apportare significativi miglioramenti alle condizioni lavorative.
Il decreto-legge, inoltre, stabilisce che «[i] contratti collettivi possono definire schemi retributivi modulari e incentivanti che tengano conto delle modalità di esecuzione della prestazione e dei diversi modelli organizzativi». Ma a quale contrattazione collettiva si rivolge il decreto-legge? Infatti, è opportuno ricordare che l’art. 51 del medesimo decreto legislativo in cui sono inseriti gli articoli 47-bis e 47-ter dispone che «salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria». Tuttavia, le federazioni delle tre Confederazioni CGIL, CISL e UIL, regolando la figura del rider all’interno del CCNL Logistica, Trasporto Merci e Spedizione, sembrano aver preso posizione in merito alla qualificazione di questa “nuova” figura, riconducendola all’alveo della subordinazione. D’altra parte, risulta molto difficile, in questo nuovo “settore” più che in altri, valutare la maggiore rappresentatività comparata delle associazioni di rappresentanza che vi insistono. Ciò è tanto più vero se si pensa che le associazioni che stanno ottenendo maggiori risultati sono più che altro movimenti e realtà non strutturate e radicate solo a livello territoriale (si pensi alla “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano” siglata dal Comune di Bologna e promossa da Riders Union Bologna).
Misure di tutela dei rider: prevenzione dei rischi e coperture assicurative
L’art. 47-ter del decreto estende ai rider la copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al DPR n. 1124/1965, a carico dell’impresa che si avvale della piattaforma anche digitale. Detta impresa, allo stesso modo, è tenuta nei confronti dei lavoratori, a propria cura e spese, al rispetto del d.lgs. n. 81/2008.
Sul piano della tutela assicurativa, il legislatore chiarisce che il premio è determinato «in base al tasso di rischio corrispondente all’attività svolta» mentre, con riferimento alla base di calcolo, si assume come retribuzione imponibile «la retribuzione convenzionale giornaliera di importo corrispondente alla misura del limite minimo di retribuzione giornaliera in vigore per tutte le contribuzioni dovute in materia di previdenza e assistenza sociale, rapportata ai giorni di effettiva attività, indipendentemente dal numero delle ore giornaliere lavorative». Quindi, data la peculiarità del rapporto, per la determinazione del premio INAIL si è scelto di assumere come base imponibile la retribuzione convenzionale giornaliera prevista per la generalità dei lavoratori dipendenti (attualmente pari a 48,20 euro). A prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto intercorrente con l’impresa titolare della piattaforma digitale, il premio sarà unico per tutti i lavoratori e non frazionabile a seconda del numero di ore effettivamente lavorate dal rider nell’arco della giornata lavorativa.
Quanto all’individuazione del tasso medio di tariffa previsto per queste lavorazioni, deve ritenersi che, a seguito dell’entrata in vigore del decreto interministeriale 27 febbraio 2019 con il quale sono state riviste le classificazioni delle lavorazioni e le tariffe dei premi, il tasso applicabile ai rider corrisponda a 12,09, tasso stabilito per la voce 0721 della gestione Terziario la quale include anche il “servizio di consegna merci in ambito urbano svolto con l’ausilio di veicoli a due ruote o assimilabili effettuato a sé stante”. Si noti che questo tasso risulta, come prevedibile, ben più alto di quello invece previsto per altre lavorazioni che, pur essendo ugualmente organizzate tramite piattaforma, espongono i prestatori a minor rischio infortunistico, come ad esempio nel caso degli operatori di call center (il cui tasso ammonta a 4,00, voce 0722), anch’essi ricompresi – almeno nelle intenzioni del legislatore – nell’intervento di riforma.
Sul piano degli obblighi di prevenzione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, il legislatore non precisa quale sia lo specifico regime di tutela applicabile ai lavoratori tramite piattaforma, né la relazione illustrativa sopperisce al silenzio del legislatore sul punto. Pertanto sembra che il legislatore abbia voluto estendere a tutti i ciclofattorini, anche autonomi, l’intero corpo normativo di cui al d.lgs. n. 81/2008. Questa soluzione ermeneutica deve ritenersi suggerita anche dallo spirito che anima la riforma di «promuovere un’occupazione sicura e dignitosa» e «di accrescere e riordinare i livelli di tutela per i prestatori occupati con rapporti di lavoro non subordinato», obiettivi consacrati al primo comma dell’art. 47-bis del decreto.
D’altra parte una simile operazione legislativa pareva doverosa, considerato che anche i rider in regime di co.co.co. risultavano di fatto esclusi dalle tutele prevenzionistiche. Ciò perché, ai sensi dell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 81/2008, le disposizioni del testo unico si applicano ai collaboratori coordinati e continuativi solo quando la prestazione si svolga nei luoghi di lavoro del committente, determinandone quindi sostanzialmente l’esclusione, dato che nel caso di specie la prestazione viene svolta esclusivamente al di fuori di luoghi di lavoro riferibili al committente.
Quindi il legislatore ha inteso applicare tutte le disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 indistintamente a ogni rider, in questo modo estendendone il campo di applicazione anche ai lavoratori autonomi, stante la necessità di interpretare in senso atecnico l’espressione “lavoratori impiegati nelle attività di consegna di beni per conto altrui”, alla luce della finalità di comprendere nella sfera applicativa della riforma tutti i rapporti di lavoro non subordinato. Si potrebbe semmai discutere dell’opportunità di operare una simile estensione in blocco, senza adattare il carico prevenzionistico alle peculiarità del lavoro di consegna di beni per conto terzi tramite piattaforma.
Conclusioni
Va di sicuro considerato un notevole passo avanti, nell’ottica di innalzare i livelli di tutela dei lavoratori dell’era digitale, l’ampliamento dell’ambito di operatività dell’obbligo di assicurazione contro malattie e infortuni professionali e degli obblighi prevenzionistici, cui prima non erano assoggettate tutte le prestazioni rese in regime di lavoro autonomo occasionale e a partiva IVA. Altrettanto positiva deve considerarsi l’istituzione di un Osservatorio permanente, presieduto dal Ministro del lavoro o da un suo delegato e composto da rappresentanti dei lavoratori e datoriali, il quale, benché privo di dotazioni finanziarie, dovrà verificare, sulla base dei dati forniti da INPS, INAIL e ISTAT, gli effetti delle nuove disposizioni, potendo proporre eventuali revisioni in base all’evoluzione del mercato del lavoro e della dinamica sociale.
In particolare, un pregio dell’opzione di politica legislativa scelta dal legislatore è quello di non essersi addentrati nella questione classificatoria del lavoro tramite piattaforma digitale, che tanto ha animato la dottrina nazionale ed estera, rispetto alla riconduzione della fattispecie alle categorie della subordinazione o dell’autonomia. Si è provveduto, opportunamente, a delineare le tutele minime necessarie per garantire condizioni di lavoro dignitose anche per i lavoratori della gig economy, prescindendo dalla qualificazione giuridica di questi rapporti di lavoro ([4]).
Ciò che al contrario non risulta condivisibile è la divaricazione che si è venuta a creare in termini di tempistiche di entrata in vigore delle nuove tutele apprestate dai nuovi artt. 47-bis e 47-ter del d.lgs. n. 81/2015. Difatti, mentre tutte le altre disposizioni del decreto-legge sono già efficaci, questi due articoli entreranno in vigore solo dopo 180 giorni dalla conversione in legge del decreto stesso. Ne consegue che, medio tempore, a tutti i rider le cui prestazioni di lavoro non presentino gli elementi tipici delle collaborazioni coordinate e continuative (a monte, quindi, rispetto al vaglio circa la sussistenza dei requisiti di etero-organizzazione), non potranno essere riconosciute le suddette tutele prevenzionistiche e assicurative. Ebbene, l’immediato riconoscimento di queste tutele sembrerebbe invece coincidere proprio con quelle ragioni straordinarie di necessità e urgenza che giustificano il ricorso, da parte del Governo, alla decretazione di cui all’art. 77 della Costituzione. Non si comprende quindi il perché di questo differimento di vigenza, stante l’urgenza delle previsioni in questione.
Altra criticità è data dalla disciplina relativa al cottimo del compenso, non vietato bensì solo limitato in termini quantitativi, mentre ad es. la legge regionale del Lazio in materia aveva vietato del tutto la possibilità di remunerare a cottimo i rider. Carenza anche più grave è la mancata previsione di un orario minimo garantito, che avrebbe permesso ai lavoratori delle piattaforme di consegna a domicilio di poter fare affidamento su una sicurezza economica mensile, invece di dover rimanere in balia dei turni decisi dagli algoritmi nell’ambito degli attuali zero hours contracts. Né, infine, si è intervenuti a garanzia della trasparenza dei sistemi di valutazione della performance e di assegnazione dei punteggi statistici di affidabilità dei lavoratori, tanto incidenti sull’affidamento dei turni – e indirettamente, quindi, sulla qualità delle condizioni di lavoro – da assumere una vera e propria natura disciplinare, fino a poter sfociare in provvedimenti sostanzialmente equivalenti al licenziamento, come la disattivazione dell’account.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo
ADAPT Research Fellow
([1]) Per un’analisi dei principali orientamenti interpretativi v. R. Diamanti, Il lavoro etero-organizzato e le collaborazioni coordinate e continuative, Diritto delle Relazioni Industriali, n. 1/2018. Si vuol solo ricordare in questa sede quella parte della dottrina che interpreta l’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 come una norma avente lo scopo di estendere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato a rapporti di lavoro autonomo che tali rimangono sul piano sistematico e qualificatorio, pur essendo assimilate dal legislatore alla subordinazione sul piano del trattamento normativo, in ragione della sussistenza di una “etero-organizzazione”: A. Perulli, I lavoratori delle piattaforme e le collaborazioni etero-organizzate dal committente: una nuova frontiera regolativa per la Gig Economy?, Labor, 2019, fasc. 3, 313 ss.
([2]) Per un elenco ed una descrizione degli stessi si rinvia a L. Imberti, L’eccezione è la regola?! Gli accordi collettivi in deroga alla disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente, Diritto delle Relazioni Industriali, n. 2/2016; P. Tomassetti, Il lavoro autonomo tra legge e contrattazione collettiva, Variazioni su Temi di Diritto del Lavoro, n. 3/2018.
([3]) Tra i molti commenti alla sentenza si ricordano: U. Carabelli, C. Spinelli, La Corte d’Appello di Torino ribalta il verdetto di primo grado: i riders sono collaboratori etero-organizzati, RGL, 2019; R. De Luca Tamajo, La sentenza della Corte d’Appello Torino sul caso Foodora. Ai confini tra autonomia e subordinazione, LDE, 2019, n. 1; M. Novella, Il rider non è lavoratore subordinato, ma è tutelato come se lo fosse, LLI, 2019, n. 5.
([4]) A sostegno di questa opzione legislativa si era ad esempio espressa, fra i tanti, M. D’Onghia, Lavori in rete e nuove precarietà: come riformare il welfare state?, in RGL, 2017, fasc. 2, p. 87, secondo la quale «piuttosto che riformulare gli strumenti strutturali della subordinazione o alimentare l’area grigia della parasubordinazione, parrebbe meglio ricollegare i diritti e le tutele direttamente alla persona che entra nel mercato del lavoro (digitale), svincolandoli dallo status occupazionale».