L’art. 2 del d. lgs. n. 81/2015 prevede che, salve le eccezioni specificate (co. 2), «[a] far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Con questa previsione il legislatore introduce nell’ordinamento italiano le collaborazioni organizzate dal committente, consegnando a interpreti, studiosi e pratici del diritto del lavoro, una fattispecie foriera di numerosi interrogativi quanto a collocazione sistematica, confini ed effetti pratici.
Questa incertezza ha ripercussioni anche in termini di comparazione e soprattutto di traducibilità della nozione in lingua inglese, che qui, ancor più che in altri casi, impone al comparatista di riflettere sulle implicazioni interpretative della propria traduzione.
Per comprendere questo passaggio sembra utile contestualizzare l’introduzione delle collaborazioni organizzate dal committente all’interno di un processo di riforma, quello del Jobs Act, che ha visto nella riaffermazione della stabilità dell’impiego subordinato a tempo indeterminato la sua principale direttrice. Ma, soprattutto, la disposizione deve essere contestualizzata all’interno di un decreto legislativo nel quale si pone in continuità con il superamento del contratto a progetto ed il contestuale riemergere delle collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. (art. 52 d. lgs, 81/2015).
In un solo colpo, quindi, il legislatore elimina – tramite abrogazione della disciplina di riferimento, che sopravvive fino ad esaurimento dei contratti in essere – il lavoro a progetto (spesso tradotto come project work o project-based work), resuscita le collaborazioni coordinate e continuative (sovente rese con l’espressione employer-coordinated freelance work) e crea una fattispecie cui si applica la disciplina del lavoro subordinato, ma che non impatta sulla definizione di lavoro subordinato non incidendo sulla definizione di cui all’art. 2094 c.c. ([1]).
Rispetto a questa fattispecie, si sono subito distinte numerose posizioni e interpretazioni da parte della comunità giuslavoristica. Di esse, in questa sede, ci si deve limitare, al prezzo di un certo grado di generalizzazione, a dar conto a grandi linee e nell’ottica delle implicazioni sulla possibile traduzione del concetto di lavoro etero-organizzato. Da questo punto di vista si deve osservare come il ventaglio di ipotesi possa essere ricondotto, come osservato da Zoppoli, alla polarizzazione tra la collocazione nell’area della subordinazione o quella nell’area della autonomia di tale fattispecie. All’interno di questi poli si distinguono posizioni anche molto diverse con riferimento tanto al significato sistematico della disposizione quanto ai suoi effetti. Per citarne alcune: dalla configurazione come “norma apparente” (Tosi), a quella come presunzione assoluta (tra gli altri, Nogler) o relativa (Tiraboschi) di subordinazione, fino alle diverse posizioni che sostengono l’appartenenza della fattispecie all’area del lavoro autonomo (tra gli altri Perulli, Ichino).
Le conseguenze delle diverse impostazioni si ripercuotono ovviamente sugli effetti riconosciuti alla norma, in particolare rispetto all’estensione dell’applicazione – totale o parziale (e in questo caso con diverse aree di eccezione di applicazione) – della disciplina di lavoro subordinato. Tale eterogeneità di posizioni e interpretazioni non può essere obliterata allorquando si proceda a tradurre il concetto di “lavoro etero-organizzato” o l’espressione, contenuta nel d. lgs. 81/2015, “collaborazioni organizzate dal committente”. A questo fine, piuttosto che proporne una sola, ci sembra maggiormente opportuno stilare un ventaglio di traduzioni possibili, analizzarle da un punto di vista linguistico e dar conto delle implicazioni rispetto alla lettura del fenomeno (grado di neutralità della traduzione, posizionamento sistematico rispetto alle espressioni che individuano le nozioni ad essa adiacenti, comprensibilità). Di seguito ci limitiamo a quattro ipotesi rappresentative: altre ancora sono ipotizzabili, anche a partire da quelle presentate.
Una prima possibilità di rendere il concetto in lingua inglese consiste nel ricorso a un calco dall’italiano, heter-organised work, del quale è già stato fatto uso da autori di madre lingua italiana. Trattandosi di una semplice trasposizione dell’espressione, tale scelta appare tuttavia discutibile, poiché oltre a risultare ambigua per un lettore straniero che non abbia familiarità con la normativa italiana, tende ad essere una soluzione piuttosto neutra, in quanto non fa emergere la caratteristica principale del lavoro etero-organizzato, ossia che la modalità di esecuzione della prestazione lavorativa è organizzata dal committente.
Una seconda possibilità per tradurre il concetto è quella di rendere l’espressione “collaborazioni organizzate dal committente”. Il ricorso a un calco (es. collaborations organised by the employer) sebbene risulterebbe poco chiaro in lingua inglese, avrebbe comunque il pregio di essere maggiormente comprensibile rispetto alla prima ipotesi, quantomeno in termini di assonanza con le varie espressioni impiegate per rendere la nozione di “collaborazioni coordinate e continuative”. Quest’ultima infatti è spesso tradotta in lingua inglese attraverso l’uso di perifrasi (es. tra le diverse soluzioni, coordinated and continuative services, continuative and coordinate collaborations).
Una terza ipotesi, frequentemente impiegata in letteratura, è quella di fare ricorso all’espressione employer-organised freelance work. Suddetta traduzione è meno neutra delle alternative proposte in precedenza, poiché la presenza del termine freelance fa sì che questa modalità lavorativa sia ricondotta all’ambito del lavoro autonomo. Una traduzione di questo tipo, al netto delle sue implicazioni interpretative, offre altresì una soluzione che consente di chiarire il discrimen, quantomeno dal punto di vista giuridico, rispetto alle collaborazioni coordinate e continuative, dal momento che queste rappresentano il confine, sul lato del lavoro autonomo, della nuova fattispecie.
Una ultima ipotesi è quella di rendere il concetto di lavoro etero-organizzato con employer-organised work. Questa espressione, posta in antitesi con la precedente (employer-organised freelance work) riflette il dibattito in merito alla collocazione della fattispecie nell’area della subordinazione o della autonomia, propendendo per la prima tesi. L’assenza all’interno della traduzione del termine freelance, però, se da un lato sembra privilegiare una riconduzione del lavoro etero-organizzato nell’ambito del lavoro subordinato, non chiarisce agli occhi dell’esperto di common law quali siano le differenze tra il lavoro etero-organizzato, il lavoro dipendente propriamente detto (salaried employment) e il concetto, molto ampio, di employee.
Ovviamente, chi si trovi a scrivere di collaborazioni organizzate dal committente nella “lingua del Bardo”, avrà a sua disposizione altre due opzioni: potrà optare tanto per l’utilizzo dell’espressione italiana, quanto per rendere la stessa all’interno di una perifrasi.
Laddove, però, scelga di rendere la nozione di lavoro etero-organizzato con una espressione, dovrà vagliare la sua precisione e la sua efficacia alla luce delle riflessioni sopra proposte.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo
@EmanueleDagnino
ADAPT Senior Research Fellow
([1]) L’art. 2094 definisce il lavoratore subordinato come «chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».