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Bollettino ADAPT 2 ottobre 2023, n. 33
I cambiamenti climatici ed il degrado ambientale hanno da tempo acceso i riflettori sulla necessità di un’azione condivisa a livello internazionale, comunitario, nazionale e territoriale per la realizzazione di una transizione ecologica. Tuttavia, è altrettanto vero come gli importanti ed ambiziosi traguardi, con il duplice scopo della riduzione delle emissioni e della decarbonizzazione, pongano significative sfide sociali e occupazionali legate alla trasformazione di settori e territori.
In tal senso, numerosi sono i programmi e le politiche che evidenziano come la transizione può avere successo solo se condotta secondo i principi di inclusività e giustizia, secondo il dettato del “Leave no one behind” (LNOB), promessa centrale dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Tuttavia, di fronte alla centralità del tema nel dibattito pubblico e scientifico, si evidenzia un’altrettanta complessa gestione dei programmi e della governance di tali questioni.
In questo secondo articolo sulle parole della transizione utilizzate nelle numerose politiche promosse e proposte in campo (il primo articolo si è dedicato alla definizione di “transizione ecologica”, si veda P. Manzella, S. Prosdocimi, Le parole della Sostenibilità: la Transizione Ecologica, in Boll. ADAPT, 25 settembre 2023) si vuole, quindi, chiarire il concetto di transizione giusta.
Il contesto internazionale e comunitario della transizione ecologica
La nozione di just transition ha una dimensione specificamente normativa, richiamata in numerosi atti sia a livello internazionale e comunitario che a livello nazionale. Il concetto identifica un processo di transizione verso una economia rispettosa del principio di sostenibilità ambientale, economica e, al contempo, giusta e inclusiva, idonea a creare opportunità occupazionali decenti e «non lasciare indietro nessuno». Evidenziando lo stretto legame fra transizione ambientale e società, mondo del lavoro, il paradigma richiama la necessità di massimizzare le opportunità socioeconomiche dei processi di transizione, al contempo minimizzando e gestendo le relative sfide e le criticità. Risulta, in tal senso, evidente la centralità del dialogo sociale, quale strumento di sintesi fra i diversi soggetti chiamati a promuovere la giusta transizione.
L’imperativo della just transition emerge a livello internazionale con l’Accordo di Parigi, che declina il concetto riferendolo alla necessità di concretizzare i processi di transizione considerando, al pari della tutela ambientale e lotta al cambiamento climatico, questioni quali la tutela dei lavoratori, la creazione di posti di lavoro decenti e di “buona qualità”. In tal senso, vengono dunque definiti gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite e le linee guida per una transizione giusta dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che richiamano, nuovamente, l’impegno del legislatore nonché delle parti sociali nella promozione del paradigma della just transition.
Gli obiettivi internazionali vengono recepiti nel 2019 a livello comunitario nello European Green Deal. Il piano, che si occupa di dettagliare il percorso dell’Unione per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, evidenzia la centralità non solamente della transizione verde ma, altresì, della transizione giusta, definendola come quella transizione inclusiva e che, nuovamente, “non lasci indietro nessuno”. Conseguentemente, a sostegno dei dichiarati obiettivi sociali, oltre che ambientali ed economici, l’Unione Europea ha promosso la creazione del Just transition Mechanism, a sostegno di quelle regioni e settori particolarmente impattati dai processi di transizione, al contempo invitando gli Stati Membri ad adottare, “in stretta collaborazione con le parti sociali, un pacchetto di politiche coerenti e comprensive”, tali da promuovere non più, però una “just transition”, ma una “fair transition”. Invero, il nuovo termine non propone (già) una diversa declinazione del concetto, quanto richiama la necessità di rispondere alle sfide ed esigenze occupazionali e sociali emergenti dai processi di transizione.
Accanto ai programmi e alle direttive comunitarie, il concetto di “giusta transizione” viene richiamato con riferimento agli obblighi degli Stati Membri di adottare i singoli Piani Nazionali Integrati per l’Energia e per il Clima, con l’obiettivo di rispondere alle implicazioni sociali e territoriali della transizione energetica; i Piani territoriali per la Giusta Transizione, che identificano e intervengono in quei territori elegibili per il supporto finanziario alla transizione; i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza, tali da identificare e promuovere riforme e investimenti a promozione della transizione verde, di crescita inclusiva, nonché della coesione territoriale e sociale di regioni e settori. Già da quest’ultima prospettiva emerge come se, da un lato, il concetto di just transition faccia riferimento a politiche di transizione in cui vengono promossi obiettivi sociali oltre che economici e ambientali, dall’altro, come tali direttive e finalità vengano spesso separate, nelle policies europee e nazionali, in merito ai percorsi che promuovono e programmano modalità e strumenti per conseguire tali obiettivi.
Il contesto nazionale italiano
Nel contesto delineato, l’Italia ha promosso il proprio Piano Nazionale Integrato per l’Energia e per il Clima (PNIEC), il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), nonché i singoli Piani Territoriali per la transizione giusta.
È interessante come il PNIEC non faccia riferimento al concetto di transizione giusta, quanto al concetto di “transizione energetica giusta” ovvero, anche se raramente, al concetto di “transizione equa”. Il paradigma di integrazione degli obiettivi sociali con quelli economici e ambientali, peraltro, non emerge esplicitamente dal Piano, che si occupa di transizione energetica, ma dalla richiamata necessità di coinvolgimento delle parti sociali in tavoli settoriali volti alla «valutazione delle modifiche infrastrutturali eventualmente necessarie ai fini della concreta attuazione del phase out del carbone dalla produzione elettrica». Tuttavia, pur partendo dal presupposto che in ogni caso nel Piano si tratti di “transizione energetica giusta”, dunque adottando una declinazione settoriale del paradigma, è possibile riconoscere un implicito richiamo ad alcuni degli obiettivi di giusta transizione nel riferimento a studi istituzionali sull’impatto macroeconomico del piano e, nella misura del possibile, sulla salute, l’ambiente, l’occupazione e l’istruzione, sulle competenze e a livello sociale compresi gli aspetti della transizione equa; sui possibili impatti sull’occupazione, istruzione e competenze della transizione; nonché a programmi aziendali che, mediante una integrazione fra politiche private e pubbliche e dialogo tra datori di lavoro e parti sociali, hanno promosso, oltre alla riconversione e riqualificazione dei siti dismessi con attenzione alla salvaguardia dell’indotto, la riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori eccedenti mediante accordi e negoziati, basati sul confronto tra l’impresa, i lavoratori e i loro rappresentanti e sull’integrazione tra le politiche aziendali e quelle pubbliche.
Similmente, si nota come anche il PNRR faccia indifferentemente riferimento al concetto di “transizione giusta” e “transizione equa”, in particolare chiarendo le risorse destinate alla concretizzazione di tali obiettivi, fra i quali vengono evidenziate azioni mirate e riforme strutturali a sostegno dell’occupazione, dell’istruzione e della formazione giovanile. Ancora una volta, è tuttavia possibile riconoscere un riferimento agli obiettivi di giusta transizione nella struttura del piano e nelle singole missioni definite dallo stesso. In particolare, la Missione 5 Inclusione e coesione si occupa di promuovere investimenti nelle infrastrutture sociali, il rafforzamento delle politiche attive del lavoro, nonché il sostegno al sistema duale e all’imprenditoria femminile, a protezione, dunque, delle situazioni di fragilità sociale ed economica. Invero, emerge chiaramente come la promozione di obiettivi sociali venga nettamente separata da quelle finalità più economico-ambientali. In tal senso, né esplicitamente, né implicitamente, emerge la forte commistione e interconnessione degli obiettivi e, conseguentemente, delle policies a sostegno di una transizione ecologica ed economica e, al contempo, sociale.
Riflessioni linguistiche e concettuali
Da un punto di vista linguistico/concettuale quindi, l’analisi rivela una certa indeterminatezza che può essere analizzata considerando tre livelli. Il primo livello riguarda la definizione e interpretazione del concetto di just transition, considerando i due lemmi di cui l’espressione si compone. Tale variabilità dipende dagli obiettivi degli attori coinvolti e del contesto di riferimento, quindi, ad esempio in taluni casi le priorità sono le politiche ambientali, mentre in altri casi le azioni atte a promuovere una occupazione di qualità.
Il secondo livello è invece relativo alla sovrapposizione tra i concetti di just transition e fair transition, che, come detto, sono spesso utilizzati in maniera sinonimica. Ciò è vero nonostante ci siano alcuni esempi che invece evidenziano il contrario. Fra questi, si richiama la Raccomandazione per garantire una transizione equa verso la neutralità climatica, che ha posto maggiore enfasi sul concetto di fairness rispetto a quello di justice, a tal punto da sottolineare che «l’equità e la solidarietà sono principi fondanti delle politiche dell’Unione verso la transizione verde e rappresentano un requisito per il sostegno ampio e continuo dei cittadini».
Infine, il terzo livello riguarda il processo di traduzione verso l’italiano, in cui spesso si fa riferimento all’uno o all’altro concetto indistintamente, sebbene, almeno a livello teorico, sussistano importanti differenze laddove si voglia dare enfasi maggiormente al concetto di equità piuttosto che a quello di giustizia.
Pietro Manzella
ADAPT Senior Research Fellow
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena