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Bollettino ADAPT 9 ottobre 2023, n. 34
Il sistema degli ITS Academy è in continuo sviluppo, con tassi di placement record (superiori a quelli delle lauree triennali e magistrali) e una sempre più stretta collaborazione con il mondo del lavoro. Esistono però spazi di miglioramento, e criticità che perdurano. Sono queste le principali evidenze che emergono dalla lettura dell’ultimo report di monitoraggio del sistema ITS (A. Zuccaro (a cura di), Istituti Tecnologici Superiori – Monitoraggio nazionale 2023, INDIRE, Firenze, 2023) e che in questo contributo verranno brevemente approfonditi. Il rapporto fa riferimento ai percorsi conclusi nel 2021, precedenti quindi all’introduzione della c.d. riforma del sistema ITS (l. 99/2022) e anche al riparto delle risorse destinate a questi istituti da parte del PNRR. Considerati questi elementi, è plausibile immaginare che i dati più recenti possano confermare il trend di crescita.
Come anticipato gli ITS hanno raggiunto nel 2021 tassi di placement particolarmente elevati: l’86,5% dei diplomati è occupato a 12 mesi dal conseguimento del titolo, e il 93,6% in un’occupazione coerente con quanto studiato. Il sistema ITS, in entrambi i casi, non aveva mai raggiunto risultati così lusinghieri: l’anno precedente (anche a causa dell’emergenza pandemica) il tasso di placement si fermava al 79,9%, e il tasso di coerenza al 90.9%. Del restante 13,5% non occupati e in altre condizioni è opportuno segnalare che il 4,3% è iscritto all’Università: una percentuale residuale, pari a 278 diplomati, ma comunque interessante in quanto evidenzia che non tutti i frequentanti i corsi ITS hanno come obiettivo un rapido ingresso nel mondo del lavoro, e che alcuni di questi preferiscono continuare il proprio percorso di formazione.
Il tasso di placement varia al variare dell’area tecnologica (l’”indirizzo di studi”, potremmo dire) dell’ITS. Si passa infatti al 92,4% del sistema meccanica, il più elevato, al 78,5% dell’area Nuove Tecnologie della vita, il più basso. Numeri comunque positivi, ma che attestano una diversa efficacia tra aree tecnologiche, almeno in termini di placement.
È comunque il tasso di placement più elevato nell’ambito dell’istruzione terziaria: basti poi pensare che nel 2021 il tasso di occupazione ad un anno dal conseguimento del titolo era pari al 74,5% per i laureati di primo livello e al 74,6% per i laureati di secondo livello, come certificato dall’ultimo rapporto AlmaLaurea in tema (vedi Almalaurea, XXV Indagine Condizione occupazionale dei Laureati, Sintesi del Rapporto 2023, 2023, p. 2).
Le tipologie contrattuali con cui i diplomati fanno il loro ingresso nel mondo del lavoro dimostrano anche una progressiva “stabilizzazione”. La percentuale di diplomati che sottoscrivono contratti a termine scende infatti dal 53,2% del 2013 al 39,4% del 2021, il contratto a tempo indeterminato sale leggermente dal 32,6% al 34% e aumenta l’apprendistato (professionalizzante) dal 14,2% al 26,6%. Tendenze che si sono andate consolidandosi negli anni, senza bruschi cambiamenti: meno contratti a termine, più apprendistati, e un costante ricorso al contratto a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda i percorsi attivati, si osserva un costante aumento. Si passa dai 63 del 2013 ai 315 del 2021, con un aumento del 15% rispetto al 2020. Le regioni dove nel 2021 vengono attivati più corsi sono la Lombardia (63), il Veneto (48), e l’Emilia-Romagna (28). Seguono da vicino anche Puglia (26), Piemonte e Toscana (25). Avendo come riferimento le “vecchie” aree-tecnologie (dato il decreto attuativo della riforma di prossima adozione, dedicato alla loro riorganizzazione) in cui si articola il sistema ITS, la maggior parte dei percorsi è attivata nell’ambito dell’area delle Nuove Tecnologie per il made in Italy, tra le quali spicca il sistema della meccanica (che cuba il 43,5% dei percorsi dell’area). Particolarmente diffusi sono anche i corsi offerti dall’area della Mobilità Sostenibile (16,5%) e delle tecnologie per l’informazione e della comunicazione (10,8%).
L’aumento del numero di percorsi offerti è da leggere assieme all’aumento del numero degli iscritti, un dato particolarmente importante in quanto uno degli obiettivi del PNRR è proprio il raddoppio del numero di giovani che frequentano questi istituti. Gli iscritti passano dai 1.512 del 2013 agli 8.274 del 2021, con un aumento costante. La crescita, rispetto agli iscritti nel 2020, è del 16%. Le aree tecnologiche più gettonate sono le stesse che attivano il più alto numero di corsi, e lo stesso vale per la distribuzione territoriale. La maggior di percorsi e iscritti si concentra quindi nell’area del Nord Italia, con performance non uniformi tra le diverse aree tecnologiche.
Nel 2021 cala anche il tasso di abbandono, con una riduzione pari all’1,4% rispetto all’anno precedente: si passa infatti dal 20,3% al 18,9%, il secondo dato più basso da quando il sistema ITS è sottoposto al monitoraggio, quindi a partire dal 2013. Approfondendo questo dato, la maggior parte di coloro che abbandono i percorsi ITS prima dell’acquisizione del titolo di studi ha più di 30 anni, più di uno su tre (36,2%). Al diminuire dell’età, diminuisce anche il tasso di abbandono, che arriva al 15,1% per la fascia dei 18-19enni. È realistico pensare che gli iscritti con un’età più elevata si interessino al sistema ITS al fine di trovare una nuova occupazione, e che quindi siano più propensi ad interrompere gli studi a fronte di offerte di lavoro. È interessante anche notare come il titolo di studi posseduto dalla maggior parte di coloro che abbandonano è la laurea (33,3%), a conferma della lettura proposta. Le percentuali di abbandono variano anche significativamente da Regione a Regione. Nel Nord il tasso di abbandono è, in media, del 13%, nel Centro del 18%, e nel Sud e nelle Isole del 28%, con alcune Regioni dove più di uno studente su tre interrompe il percorso prima dell’acquisizione del titolo (Calabria, Molise, Sicilia, Sardegna).
Il rapporto presenta dati interessanti anche a proposito del profilo degli iscritti. Emerge come quasi la metà abbia tra i 20 e i 24 anni (43,1%). Numerosi sono anche i giovani tra i 25 e i 29 anni (10,2%) e quelli over-30 (8,6%), a conferma del fatto che l’ITS non viene scelto unicamente al termine del percorso di studi secondario superiore, ma anche a fronte del desiderio di riqualificarsi oppure ancora a seguito di un abbandono universitario.
Sussistono ancora forti squilibri di genere, con le studentesse che corrispondono solamente al 26,7% degli iscritti, un dato comunque in lento miglioramento. Anche in questo caso le percentuali variano al variare dell’area tecnologica interessata: le studentesse sono il 71,1% degli iscritti nell’ambito del sistema moda, ma solamente il 3,5% nel sistema meccanica.
Molto importante risulta essere il percorso di studi di provenienza degli iscritti al sistema ITS. In linea con quanto osservato negli anni precedenti, il 58,9% degli iscritti possiede un diploma tecnico. Al secondo posto non si trovano però i diplomati di percorsi di istruzione professionale, ma i diplomati liceali, che sono il 22,3% degli iscritti. I diplomati professionali si fermano al 14,5%, mentre residuali risultano essere i laureati (2,9%) e coloro che arrivano all’ITS grazie al possesso di altri diplomi (1,4%). L’attuale filiera professionalizzante, che dai percorsi regionali di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) dovrebbe portare attraverso il conseguimento di un certificato IFTS al sistema ITS non esiste, se non sulla carta. La natura professionalizzante di questi percorsi e le complesse transizioni da un segmento all’altro (IeFP – IFTS – ITS), dipendenti da bandi regionali su base annuale, fanno si che ad oggi una vera e propria filiera che accompagni tramite percorsi non “scolastici” gli studenti fino al diploma ITS non sia operativa. In questo contesto saranno quindi tutte da valutare le conseguenze e i risultati della sperimentazione proposta dal Ministro Valditara, recentemente approvata, riguardante la filiera tecnologico-professionale, di cui uno degli obiettivi principali è proprio sviluppare le sinergie e facilitare la transizione tra sistema secondario superiore (scuole e IeFP) e terziario non accademico (ITS).
Uno degli elementi caratterizzanti da sempre il sistema ITS è la governance “plurale” delle singole Fondazioni. Quest’ultime sono infatti composte da una pluralità di soggetti, che collaborano attivamente tra loro per la progettazione di percorsi formativi in linea con i fabbisogni di uno specifico settore e territorio, pur avendo come riferimenti standard minimi fissati a livello nazionale. Non stupisce quindi notare che anche nel 2021 il 42,1% dei partner delle Fondazioni ITS sono imprese. Numerosi sono anche gli istituti scolastici secondari superiori (17%) e le agenzie formative (12,1%). È interessante constatare la presenza come partner delle Fondazioni di 143 (il 4,8%) associazioni datoriali e solamente 15 (lo 0,5%) organizzazioni sindacali. La rappresentanza delle imprese è quindi maggiormente presente, rispetto a quella dei lavoratori, nelle Fondazioni ITS. La maggior parte delle Fondazioni è composta da numerosi partner: più di una su tre (precisamente il 38,7% sul totale delle Fondazioni) ha tra i 21 e 50 partner.
Anche la didattica è un elemento particolarmente innovativo e che contraddistingue il sistema ITS. La “riforma” dell’anno scorso ha innalzato le percentuali previste per quanto riguarda le ore impegnate in stage curriculare (dal 30% al 35%) e di formazione svolte da docenti provenienti dal mondo del lavoro (dal 50% al 60%). In realtà, queste percentuali sono già state raggiunte e superate dai percorsi del 2021 monitorati dal rapporto: il monte ore di stage si attesta al 42,8%, mentre le ore affidate a docenti provenienti dal mondo del lavoro sono il 72,9% sul totale, in costante aumento dal 2013. Per meglio comprendere la strutturazione della didattica ITS è inoltre importante ricordare che il 28,2% del monte ore è svolto in formazione presso laboratori di imprese o di ricerca, e che il 70,5% dei percorsi fa ricorso, a fini didattici, a tecnologie abilitanti legate a Industria 4.0 (nel 2017 erano solo il 18%). La crescita quantitativa di iscritti e percorsi è quindi andata di pari passo con una crescita qualitativa dell’offerta formativa, con la diffusione di metodologie didattiche innovative (ad esempio, il Design Thinking), una sempre più stretta alleanza con il mondo del lavoro, e in generale una formazione laboratoriale, pratico-operativa, capace di tenere assieme conoscenze teoriche e pratiche, migliorando così la capacità di adattamento degli studenti ai diversi contesti di lavoro e curvando la didattica sulla base degli specifici fabbisogni delle imprese. L’innovazione tecnologica richiede infatti, per essere governata, una formazione sempre più ibrida e svolta a diretto contatto con la realtà dei contesti lavorativi, e non esclusivamente teorica e frontale. È quindi per rispondere alla sfida del cambiamento che gli ITS hanno, negli anni, elaborato modelli didattici altamente innovativi e basati su una costante contaminazione tra conoscenze teoriche e pratiche.
I dati raccolti dal Rapporto di monitoraggio del 2023 attestano quindi una crescita continua del sistema ITS, sotto diversi aspetti: numero di iscritti, numero di corsi erogati, efficacia nel placement, sempre più stretta collaborazione e integrazione con il mondo del lavoro, strutturazione di reti collaborative su base territoriale partecipate soprattutto da imprese.
Allo stesso conto, lasciano intravedere un sistema non eterogeneo, in termini di diffusione territoriale e per area tecnologica, ma anche di risultati ottenuti. Lo stesso sistema può essere pensato come un’ottima scelta con cui proseguire gli studi al termini dei percorsi di istruzione secondaria superiore, ma anche come un’opportunità per riqualificarsi e trovare un buon lavoro per i meno giovani. La sfida è quindi quella di tenere assieme la flessibilità e la capacità adattiva di questi percorsi alle specificità locali con un’identità chiara di riferimento e con standard qualitativi chiari e uniformi su tutto il territorio nazionale, per evitare che si affermino poi ITS di riconosciuta eccellenza e Fondazioni poco o per nulla performanti, aree tecnologiche efficaci e altre meno.
Non si tratta ovviamente di irrigidire un modello organizzativo e didattico che fa della sua flessibilità e della sua capacità di integrarsi e dialogare con il territorio il suo punto di forza, ma di evitare che gli squilibri che pure esistono aumentino ulteriormente. Data poi l’importanza di sedi dotate di spazi di apprendimento adeguati, sarebbe anche opportuno non aumentare, ulteriormente, il numero di Fondazioni, già cresciute nell’arco di un anno dalle 129 del 2022 alle 146 attuali, così da concentrare gli investimenti su infrastrutture strategiche che possano poi svolgere il ruolo di poli territoriali dove aggregare formazione, ricerca e lavoro.
Su questi e su altri aspetti, ad esempio quello riguardante i rapporti e le modalità di passaggio tra ITS e Università, sarà decisivo il contenuto dei decreti attuativi della riforma, chiamati a preservare i punti di forza di questo sistema senza stravolgerlo e allo stesso limando, là dove necessario, le attuali criticità, evitando poi di introdurre meccanismi di controllo e gestione eccessivamente centralizzati e burocratici, là dove invece l’efficacia degli ITS la si sperimenta nella reti territoriali che riescono a stabilire.
Reti nelle quali è forse ancora troppo marginale il ruolo della rappresentanza. Se almeno per quanto riguarda la partecipazione come partner alle attività da Fondazione è da salutare con favore il protagonismo dell’associazionismo datoriale mentre ancora marginale se non completamente assente è il ruolo del sindacato, è sul fronte della contrattazione collettiva che è possibile immaginare notevoli margini di miglioramento. Ad esempio, favorendo anche nei sistemi di inquadramento (oggi non sempre è così) la riconoscibilità del diploma ITS e soprattutto delle competenze ad esso correlate, disciplinando l’apprendistato di alta formazione per lo svolgimento dei percorsi ITS che, come ha evidenziato una ricerca di Fondazione ADAPT e Intesa Sanpaolo rappresenta un opportunità per potenziare l’efficacia di questi percorsi duali ma che viene regolamentato solo da circa uno su tre dei CCNL più utilizzati, oppure ancora coinvolgendo sempre più il sistema ITS nell’erogazione di corsi di formazione per lavoratori occupati e in generale per adulti, che pure – come richiamato all’art. 2, c. 1 della l. 99/2022 – è uno degli scopi del sistema ITS ma che ancora oggi è poco sviluppato. Per quest’ultimo punto, sinergie interessanti potrebbero instaurarsi con gli enti bilaterali e soprattutto con i Fondi Paritetici Interprofessionali.
In sintesi, il rapporto riconsegna al lettore decisamente più luci che ombre sul sistema ITS, che si sta sempre più affermando come un’opportunità formativa efficace nel dare risposta ai fabbisogni delle imprese ma anche e soprattutto alle aspirazioni professionali dei giovani. Un’opportunità che i decreti attuativi della riforma devono limitarsi a potenziare senza stravolgere, andando a contrastare processi di eccessiva eterogeneità a livello territoriale o settoriale. E che soprattutto le Parti Sociali devono riscoprire, per contribuire attivamente alla costruzione non semplicemente di efficaci percorsi di formazione per i più giovani, ma di veri e propri ecosistemi territoriali capaci di tenere assieme formazione, ricerca e mondo del lavoro.
ADAPT Senior Research Fellow