Che la si chiami raccomandazione, autocandidatura o contatto diretto con il datore di lavoro, una cosa è certa: per trovare un impiego, gli italiani continuano a preferire canali “informali”. Solo il 33% bussa alla porta di centri per l’impiego, il 19% a quella di agenzie private per il lavoro (dati Eurostat, 2013). Problema culturale? Anche, ma non solo.
“A incidere molto sono le possibilità economiche. Gli operatori professionali hanno un costo che, specie per le imprese di piccole dimensioni, pesa in maniera significativa – spiega Silvia Spattini, Direttore e Senior Research fellow di ADAPT – I centri per l’impiego pubblici, invece, sebbene gratuiti, sono poco efficienti, con risorse scarse e un evidente problema di conoscenza dei lavoratori”.
E se pensare a un’Agenzia nazionale per il lavoro, secondo quanto previsto dal duo Renzi-Poletti, potrebbe essere cosa buona, specie nell’ottica di una maggiore integrazione pubblico/privato, “aumentare il numero degli addetti servirebbe a poco, soprattutto se questi non sono qualificati. Il nostro è un mestiere che va fatto sul campo, che porta ad acquisire competenze specifiche. Inoltre, una buona riforma dei servizi per l’impiego non può prescindere da una ridefinizione delle politiche attive” – aggiunge Claudio Soldà, responsabile delle relazioni istituzionali e di CSR per Adecco Italia.
Eppure, di cambiamento, ce n’è bisogno. Ancora una volta, a confermarlo, sono i numeri che vedono l’Italia piombare al penultimo posto, rispetto alla media europea, in quanto a utilizzo di servizi pubblici per l’impiego.
Dati che ben combaciano con i bassi investimenti in materia certificati da Isfol: appena lo 0,03% del Pil nel 2011 è stato investito in servizi pubblici per l’impiego, meno di un decimo della spesa di Germania e Regno Unito (0,34%), quasi un ventesimo rispetto alla sempre efficiente Danimarca (0,54%).
“Si potrebbe, e dovrebbe, fare di più, lasciando da parte strumenti e modi di fare che hanno come unico scopo l’assistenzialismo. Bisognerebbe rimettere al centro il lavoratore, imparando a conoscerlo, a comprenderne attitudini e possibilità, investendo davvero sulla possibilità di riqualificarlo” – commenta Tiziano Barone, Public Affairs Director di ManpowerGroup, che pure ammette quanta difficoltà ci sia a fidarsi di intermediari nella ricerca di lavoro.
“La nostra attività è circondata da un pregiudizio di inefficienza, ma non è così, bisogna fare una differenza tra i centri pubblici e il privato. Non a caso, il nostro settore è cresciuto negli anni, rispondendo in maniera stabile al durissimo periodo di crisi, mentre l’attività dei servizi per l’impiego è rimasta invariata. È evidente che qualcosa non funziona”.
In effetti, per i nostri centri per l’impiego è passato appena il 3,1% delle assunzioni annuali, contro il 10,5% della stessa Germania o addirittura il 13,2% e il 15,4% di casi scuola come Svezia e, ancora una volta, Finlandia. Di gran lunga preferibili, dunque, amici e parenti, anche se una nota di merito che mette tutti d’accordo, esiste: Garanzia Giovani.
“L’unica, vera politica attiva basata sulle persone, sull’occupazione e non sull’occupabilità. Il primo sistema capace di mettere in moto una competizione positiva tra gli attori, favorendo trasparenza e comunicazione. Almeno teoricamente, un’iniziativa che aspettavamo da anni” – continua Barone.
Anche se, spostandosi dal dire al fare, emergono dubbi e diffidenze: “C’è troppa disomogeneità nell’approccio da una Regione all’altra. La Lombardia, ad esempio, è l’unica che con Dote Lavoro ha messo in campo un sistema davvero efficiente, con servizi e costi standard. In altre aree del Paese la situazione è davvero molto diversa. Le dico solo che per accreditare la nostra agenzia a Garanzia Giovani, ci siamo dovuti relazionare con Regioni che, come requisito d’accreditamento, imponevano una certa metratura per gli spazi colloqui!” – conclude Soldà.
twitter@silviapagliuca
Le vie infinite (e informali) del lavoro