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Bollettino ADAPT 4 settembre 2023, n. 29
I Giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza 23 maggio 2023, n. 14114, hanno ritenuto di dover riformare una pronuncia della Corte d’Appello di Ancona – che aveva confermato la sentenza di primo grado – avente ad oggetto un licenziamento ritenuto (da entrambi gli uffici giudiziari) come illegittimo con conseguente reintegrazione sul posto di lavoro. La controversia ha come protagonisti una società datrice di lavoro e il rispettivo lavoratore al quale è stato intimato il licenziamento a seguito di una condanna penale per violenza ai danni di un minore.
La società, dopo essere venuta a conoscenza della condanna penale, ha deciso di licenziare il lavoratore. A seguito di tale decisione il dipendente – ritenendo che il licenziamento fosse illegittimo – decide di ricorrere all’autorità giudiziaria per tutelare il proprio diritto. Il Tribunale di Ancona prima e la Corte d’Appello poi, hanno accolto le ragioni del dipendente, ritenendo il licenziamento illegittimo e reintegrandolo sul posto di lavoro.
La condotta contestata al lavoratore è stata considerata, dai giudici di primo e secondo grado, come “non connotata da particolare gravità” tenendo conto il tempo trascorso dalla condanna penale subita dal lavoratore per violenza sessuale su un minore e il fatto che non si sia reso protagonista di altre violazioni di legge negli anni successivi.
Peraltro, la decisione della Corte d’Appello evidenzia come la violazione – occorsa ben 13 anni prima – sia stata realizzata al di fuori dell’attività lavorativa e dunque non idonea ad incidere sul corretto svolgimento delle mansioni affidate al lavoratore. I giudici, pertanto, reintegravano sul posto di lavoro il dipendente dichiarando illegittimo il licenziamento ritendendo insussistente il fatto contestato al lavoratore.
Avverso tale sentenza propone tempestivo ricorso in Cassazione la società datrice di lavoro contestando principalmente la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. (recesso per giusta causa). Ad avviso della Società, infatti, la decisione della Corte d’Appello sarebbe errata laddove ritiene che il reato ascritto al lavoratore non sia così grave da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro.
Di diverso avviso, infatti, è il Collegio della Corte di Cassazione, il quale ritiene che il comportamento per il quale lavoratore è incorso in una condanna penale, per quanto risalente nel tempo, rivesta un carattere di gravità che non può essere suscettibile di attenuazione solo per effetto del tempo trascorso. Ad avviso della Corte di Cassazione, non può essere neanche considerata meno grave tale condotta solo perché si è svolta in un luogo di divertimento.
Pertanto, la violenza sessuale ai danni di una minore, in qualsiasi contesto sia commessa, è considerata una condotta che, per quanto possa essere estranea al rapporto di lavoro, è idonea a ledere il vincolo fiduciario fra datore di lavoro e lavoratore. Il Collegio aggiunge che, nel valutare la distanza temporale tra il fatto e l’incidenza sul vincolo fiduciario, la Corte di merito avrebbe dovuto tenere in considerazione non il momento in cui il reato è stato commesso ma il momento in cui la società è venuta a conoscenza del fatto contestato e mai prima comunicato.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha riformato la sentenza impugnata dal datore di lavoro.
ADAPT Junior Fellow