Si è abituati a credere che la scrittura di un curriculum vitae, la costruzione di competenze spendibili nei contesti di lavoro e l’occupabilità di una persona siano attività relative alla fase della vita in cui si diventa grandi e si inizia a cercare una occupazione.
Si è abituati a credere che quella fase esistenziale duri per poco tempo, fino a quando ciascuno individua il suo cammino e, forse, il lavoro ideale.
Un’abitudine che ci induce, negli anni della formazione scolastica, a non avere a cuore le scelte che facciamo, a non riflettere sulle reali conseguenze di incoerenze formative o sulla distanza tra la scuola scelta e la propria attitudine personale.
Durante la frequenza di un corso della mia laurea specialistica in Relazioni di Lavoro, ho avuto quasi una illuminazione e ho compreso che il racconto della vita di una persona, come nasconde il significato di curriculum vitae, inizia sin da subito, dalle prime scelte che essa compie e dalle prime esperienze sociali che vive. Ho compreso che la scelta di un lavoro in linea con le caratteristiche della persona e con i percorsi formativi svolti non può basarsi su un bilancio svolto frettolosamente in pochi giorni ma dovrebbe essere l’esito di una riflessione su tutta la strada fino ad allora percorsa.
Ogni singola attività svolta, in apparenza assai lontana dal mondo del lavoro e difficilmente leggibile in chiave di occupabilità futura, può essere in questo senso riscoperta e da essa possono essere tratti spunti interessanti per la costruzione del proprio percorso anche professionale.
La pratica sportiva, ad esempio, ha in sé un gran valore e una ricchezza speciale che, se inserite nel proprio CV, rappresentano molto della persona e testimoniano un messaggio estremamente positivo sulla sue capacità attitudinali.
Personalmente ho sempre investito tanto tempo, sin da quando ero piccola, nell’attività sportiva. Questo mi ha condotto oggi ad essere istruttrice in una società calcistica e ad apprezzare direttamente quanto lo sport e l’aspetto relazionale ed emotivo che esso insegna a sviluppare, conti nella vita di ciascuno, specialmente dei bambini.
Per i piccoli calciatori che incontro settimanalmente ad allenamento, il calcio non è solo uno sport, che appassiona e aggrega, ma è un vero e proprio punto di riferimento. Rappresenta i loro progetti esistenziali, le loro passioni e speranze, e così ripongono negli adulti che li seguono e li formano aspettative di vita e di realizzazione. Ci sono momenti in cui questo sguardo teso verso l’adulto mostra tutto il suo valore, di ispirazione e di esempio. Il progetto di crescita che un bambino crea negli anni dell’infanzia coinvolge l’educatore, il genitore, l’insegnante ed il maestro e l’evoluzione di competenze ed abilità dipende anche da quanto questo coinvolgimento sia virtuoso e sano.
L’immagine dello sport è l’immagine della vita, poiché ciascuno è sempre l’esito anche di ciò che ha o non ha ricevuto negli anni della crescita, raccogliendo il frutto di un rapporto educativo. Nei primi giorni di lavoro di un giovane, ad esempio, accade nuovamente questo evento: un allievo cerca un maestro, lo sguardo di un giovane si rivolge ad un adulto in cerca di insegnamento, di tracce, di esempio per imparare un mestiere.
Si parla tanto di apprendistato, riflettendo sul suo potenziale e sul suo limitato utilizzo. Prima ancora che una forma contrattuale, l’apprendistato nasconde questo importante progetto, riproponendo un modello educativo alla base della crescita professionale. In questo modello vi è la chiave della evoluzione generazionale e dello scambio tra chi ha imparato e chi imparerà, chi ha tracciato un solco e chi continuerà, magari modificandolo pur partendo da quanto fatto precedentemente.
Pietro Mennea, famoso campione dell’atletica diceva: “Lo sport insegna che per la vittoria non basta il talento, ci vuole lavoro e sacrificio quotidiano . Nello sport come nella vita”. In ambito scolastico e lavorativo non basta avere un buon CV fatto di ottimi risultati scolastici, di traguardi e di coccarde. È altresì importante coltivare e accrescere ciò che abbiamo imparato ogni giorno, senza mai credere di aver raggiunto la meta e che sia impossibile migliorare ancora.
Questa attitudine si impara sin dall’infanzia ed è chiaramente custodita nella condotta sportiva, che richiede consapevolezza di forza e potenziale, abitudine al servizio e alla collaborazione, accettazione della sconfitta, sobrietà nella vittoria, investimento continuo in se stessi, capacità di sviluppare leadership.
Ho imparato dai miei bambini che la prima essenziale inclinazione che lo sport, il lavoro e la vita richiedono è quella al sorriso, a trarre insegnamento da ogni evento e a dare peso alle cose sempre in una ottica di miglioramento futuro. Persino il leader, il capitano di una squadra, il capo di una impresa è il primo a mettersi a servizio degli altri, spronandoli, tirando fuori da loro il meglio con modalità adeguate alle singole persone.
Lo sport è una buona metafora della vita e i valori che esso trasmette sono trasferibili nei contesti di lavoro e in tutti gli ambiti sociali che siamo abituati a frequentare. I modelli educativi sono alla base di una occupabilità consapevole, intesa come l’occasione per realizzare progetti di vita realistici senza dimenticare l’anelito all’ideale, che ci rende persone felici.
Andrea Negri
Studentessa Diritto delle Relazioni Industriali
Laurea specialistica in Relazioni di Lavoro
Università di Modena e Reggio Emilia
@arbitra93