Nella primavera del 1993, all’esito finale della crisi della prima Repubblica, Giuliano Amato convocò nello studio di Pierre Carniti a piazza Adriana Giorgio Benvenuto, Ottaviano Del Turco e Raffaele Morese, oltre a Giorgio Ruffolo. La location non era scelta a caso. Carniti infatti rappresentava al meglio la risorsa che per la democrazia italiana – e innanzitutto per la sinistra riformista – era costituita dai corpi intermedi. Amato propose, alla vigilia del prevedibile crollo del Psi, che i sindacalisti socialisti bruciassero i vascelli alle loro spalle e dessero il via ad un nuovo inizio, come quello che un secolo prima aveva dato vita al partito di Turati: e non fu Carniti a sottrarsi all’impegno.
Geloso custode dell’autonomia sindacale
Carniti, del resto, era consapevole del ruolo politico che potevano e dovevano giocare i corpi intermedi, della cui autonomia era peraltro geloso custode. L’autonomia infatti, in assenza di un orizzonte politico, rischiava di degradare rapidamente in corporativismo: così come il sistema dei partiti era degradato in partitocrazia nel momento in cui aveva ignorato le ragioni del pluralismo.
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