In questi anni, i processi di selezione si sono avvalsi dell’utilizzo delle nuove tecnologie, utilizzandole non solo nella fase di ricerca di candidati, ma iniziando a sfruttarne le loro potenzialità anche nella fase riguardante il colloquio. La ricerca condotta da Polycom e Redshift Research mostra che entro il 2016 la videoconferenza, soprattutto grazie all’entrata nel mondo del lavoro da parte dei cosiddetti millenials, diventerà lo strumento di business preferito e sarà destinato a sostituire, almeno nelle fasi iniziali del processo di recruiting, il colloquio di persona. La flessibilità di questo strumento porterà sempre più chi è in cerca di lavoro ad affrontare le prime interviste di selezione dal proprio smartphone o tablet.
Dal 2012 in poi, la grande novità in tema di colloqui di lavoro è stata introdotta dalle “interviste all’americana”. Con questo nuovo metodo, sono rivolte ai candidati domande particolari e apparentemente fuori luogo, con il solo scopo di spiazzare l’intervistato e testare la sua capacità di reazione e, perché no, pure la sua creatività. A tal proposito, Glassdoor, comunità online statunitense incentrata sui temi del lavoro e delle carriere, ha condotto, lo scorso anno, una ricerca sulle domande più “stravangati” poste durante i colloqui di lavoro. Le domande prese in considerazione sono state tratte da interviste reali, rivolte ad aspiranti candidati, durante le selezioni presso alcune grandi aziende che operano in diversi campi, dalla consulenza al web. Quest’analisi ha cosi determinato una divertente classifica di venticinque domande più strane utilizzate nei colloqui di lavoro, fra cui: “Quante mucche ci sono in Canada?”, “Un pinguino cammina attraverso quella porta in questo momento indossando un sombrero. Che cosa dice e perché è qui?”, “Che utensile da cucina saresti?”, ecc. Se questa metodologia in alcuni settori e per alcune specifiche figure professionali sta diventando ormai la prassi, ciò non determina che questa particolare fase del processo aziendale abbia smesso di evolversi e stare al passo con lo sviluppo tecnologico. L’avvento delle nuove tecnologie e della mentalità social sta effettivamente trasformando le modalità con cui incontriamo i selezionatori che devono decidere se assumerci per una determinata posizione o meno.
Per molti giovani il cosiddetto happy hour o aperitivo è un appuntamento fisso nel week – end, ma cosa succede se, invece, di essere un momento di svago con gli amici diviene un’occasione per trovare lavoro? Si tratta di un trend diffuso soprattutto a Londra, dove le grandi aziende, dopo una prima fase di selezione basata sui CV e cover letter, radunano i migliori candidati per la figura professionale che stanno cercando davanti ad un tavolo con cocktail e spuntini in modo da valutare sia gli aspetti personali dei soggetti sia le loro capacità relazionali e di networking. Tale metodologia non è esente da critiche, poiché così facendo, si rischia di non scegliere il candidato con le migliori competenze ma, al contrario, coloro i quali hanno semplicemente più capacità relazionali. Proprio per questo motivo, le cosiddette open houses sono utilizzate soprattutto per mansioni che prevedono una prevalente interazione con il consumer, cioè dove le capacità relazionali dell’individuo sono fondamentali, anche se, ultimamente, pure l’ambito delle nuove tecnologie pare interessato a tale modalità. La Supply Communications, una delle cento migliori aziende britanniche, utilizza questo metodo di selezione all’interno del proprio ufficio, organizzando di frequente delle open interview per reclutare gli addetti che gestiranno la vendita dei loro prodotti digitali, ma pure il Belpaese non pare rimasto a guardare. Già da un paio d’anni, infatti, aziende internazionali (come PricewaterhouseCoopers) stanno organizzando appuntamenti dal titolo “Aperitivo con il Direttore” in cui neolaureati o laureandi possono incontrare i Responsabili delle risorse umane in un bar di tendenza di Milano davanti ad un cocktail in maniera informale alle 5 del pomeriggio. In conformità con gli sviluppi della tecnologia divengono invece altri i metodi di colloquio che stanno guadagnando terreno negli ultimi anni: i video-colloqui. A sostegno di questa teoria, un’indagine condotta dalla dott.ssa M. Laurano di Aberdeen Group rileva che, nel 2013, il 32% delle aziende stava investendo nei video-colloqui, segnalando un incremento dell’11% rispetto all’anno precedente. Un dato confortante legato a questa modalità di selezione è che sembra si stia diffondendo molto nel nostro Paese. Secondo la ricerca di hivejobs infatti, il 13% degli intervistati dice di aver sostenuto almeno 5 video-colloqui nella propria vita, la maggior parte dei quali con aziende italiane.
Per entrare più nel dettaglio delle video-interviste è necessario fare una distinzione. Esistono, in realtà, due tipologie di colloqui tramite video ovvero il video on-demand ed il live a due vie.
La prima delle due tipologie, chiamata pure live ad una via, consiste nella semplice registrazione di un video attraverso appositi canali online nei quali si risponde a domande prefissate. Questa metodologia è apprezzata dai Direttori delle risorse umane non solo perché permette un risparmio di tempo (come sostenuto dall’82% degli intervistati da hivejobs, in quanto i video possono essere visualizzati in qualsiasi momento), ma pure perché questi permettono un confronto tra gli atteggiamenti dei vari candidati nel rispondere alla medesima domanda con la possibilità di riguardare più volte delle parti significative dell’intervista.
Quando si parla invece di live a due vie si fa riferimento ad un vero e proprio colloquio effettuato tramite mezzi di videochat come, per esempio, Skype. Questo mezzo di comunicazione, sperimentato anche per il colloquio genitori-insegnanti in una scuola milanese, permette di unire una conversazione in tempo reale ad un notevole risparmio di denaro, grazie al fatto che non è più necessario prenotare treni, aerei ed hotel solo per sostenere un colloquio con un azienda lontana. Allo stesso tempo, però, il semplice fatto di non essere faccia a faccia con il reclutatore può provocare minore tensione (come sostenuto dal 21% degli intervistati da hivejobs), rischiando così di sottovalutare l’incontro, il quale resta comunque in tutto e per tutto un vero e proprio colloquio di selezione. Tale modalità risulta molto ostile per alcuni Direttori del personale i quali lamentano da un lato problemi causati dalle possibili difficoltà di connessione alla rete che possono interrompere improvvisamente la discussione, dall’altro una tendenza da parte dei candidati a seguire, come nei colloqui telefonici, una scaletta prefissata e preparata prima dell’inizio della video-intervista.
Interessante, infine, è quanto risulta dall’ultima parte della ricerca di hivejobs: secondo il 95% degli intervistati le aziende, ad oggi, non sono ancora sufficientemente pronte per sostenere i video-colloqui, ma due candidati su tre sono convinti che da qui a cinque anni questa nuova modalità d’intervista sostituirà i colloqui di persona.
Ad oggi l’ultima frontiera della tecnologia e dell’innovazione è rappresentata dai Google Glass, gli occhiali della multinazionale americana che permettono all’utente di fare ciò che fino a qualche mese fa era ritenuto quasi inimmaginabile, ma quali ripercussioni potrebbero avere questi sul tema che stiamo analizzando? Da qualche tempo, gira sulla rete un video demenziale, ma per certi versi emblematico, riguardante il rapporto tra i colloqui di lavoro ed i Google Glass. In questo video, infatti, si simula un colloquio conoscitivo tra un dirigente e una candidata durante il quale, il selezionatore cerca online informazioni sulla persona che ha di fronte ed, allo stesso tempo, verifica all’istante la veridicità di ciò che l’interlocutrice dice durante il colloquio. Si ripresenta, in questo modo, sotto una nuova veste, il problema della privacy, regolamentata, in Italia, dal d.lgs. n. 196/2003 noto come “Testo unico sulla privacy”. Sulla base di questo, l’utilizzo di Google Glass pone ai garanti un forte timore: il rischio che vengano sviluppati software di riconoscimento facciale. Infatti, fotografare persone, confrontare immediatamente i volti con archivi di decine di migliaia di immagini, riconoscerle, ricevere nomi e informazioni sono dati sensibili che rischiano di violare la privacy dei cittadini e, nello specifico caso che stiamo analizzando, dei candidati per un posto di lavoro. Google ha assicurato che non approverà alcun software in grado di identificare gli utenti, ma, nonostante ciò, questa situazione rimane una questione aperta, a causa delle nascenti app, non autorizzate da Google, che consentono di utilizzare Google Glass per il riconoscimento facciale. Come riuscire quindi a far conciliare il progresso della tecnologia con la selezione del personale?
ADAPT Junior Fellow
@AndreaCefis
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@FabiolaSilvaggi
* Il presente articolo è pubblicato anche in Il Sole 24 Ore, Le Aziende InVisibili (Il blog di Marco Minghetti) del 10 giugno 2014.