L’evoluzione della normativa dei tirocini curriculari ed extracurriculari in Italia tra formazione, orientamento e politiche attive del lavoro

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Bollettino ADAPT 14 dicembre 2020, n. 46

 

Il tirocinio rappresenta “un periodo di orientamento e di formazione svolto in un contesto lavorativo e volto all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro”. Esso non si configura come rapporto di lavoro e può essere di natura curriculare, e quindi “rivolto ai giovani frequentanti un percorso di istruzione o formazione e finalizzati ad integrare l’apprendimento con un’esperienza di lavoro”, o extracurriculare, cioè “finalizzato ad agevolare le scelte professionali dei giovani tramite un periodo di formazione in un ambiente produttivo e quindi con la conoscenza diretta del mondo del lavoro . Tali definizioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali stridono con il reale ambito di applicazione di uno strumento che in poco più di vent’anni ha subito un’evoluzione normativa che ne ha senza dubbio modificato anche la ratio, tanto che la gran parte delle discussioni odierne sui tirocini – soprattutto sugli extracurriculari – si fermano a considerare la sua efficacia o inefficacia per l’inserimento nel mondo del lavoro senza particolare attenzione alle finalità di formazione e orientamento: occorre, dunque, affrontare il senso dell’istituto ripercorrendo la sua evoluzione normativa nell’ordinamento italiano e nel quadro europeo.

 

I tirocini formativi e di orientamento sono stati introdotti nell’ordinamento italiano con l’articolo 18 della Legge n. 196/1997 (c.d. Pacchetto Treu). Tale norma, fissato lo scopo dello strumento e cioè realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del lavoro, ha affidato al successivo D.M. n. 142/1998 – integrato dalla relativa Circolare del Ministero del Lavoro n. 92/98 – l’attuazione di principi e criteri generali fissati dalla legge stessa. Nella prima disciplina dei tirocini, la finalità individuata era quella di “realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro nell’ambito di processi formativi e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro”: a tal fine, il decreto ministeriale regolava aspetti quali i limiti numerici di tirocinanti presso lo stesso datore, le tipologie di soggetti promotori e le garanzie assicurative, per le quali già si affidava al soggetto promotore l’obbligo di assicurare i tirocinanti contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). Inoltre, il medesimo decreto ministeriale ha previsto lo svolgimento dei tirocini sulla base di convenzioni stipulate tra soggetti promotori e datori di lavoro pubblici o privati, l’obbligo di comunicazione della convenzione al Ministero del Lavoro, la durata degli stessi a seconda del tirocinante, l’estensibilità della disciplina ai cittadini comunitari ed extracomunitari, le procedure di rimborso e la possibilità per le istituzioni scolastiche di realizzare esperienze di stage e tirocinio incluse nei piani di studio. Infine, il d.m. n. 142/1998 ha abrogato le disposizioni delle normative precedenti all’articolo 18 della Legge 14 giugno 1997, n. 196 che regolavano l’inserimento di giovani nel mondo del lavoro, e cioè i commi 14, 15, 16, 17 e 18 dell’articolo 9 del D.Lgs. n. 148/1993 relativi ad un primo tentativo di disciplinare i tirocini alla stregua di rapporti non costituenti rapporti di lavoro, l’articolo 3 del D.L. n. 726/1984 che regolava l’assunzione nominativa di giovani tra i 15 e i 29 anni con contratto di formazione e lavoro e l’articolo 15 della Legge 21 dicembre 1978, n. 845 relativo a periodi di tirocinio attivabili da istituzioni operanti nella formazione professionale. La normativa introdotta dal Pacchetto Treu non è stata mai oggetto di abrogazione formale nel corso degli anni, seppur con più di un dubbio sulla sua costituzionalità in seguito alla sentenza n. 287/2012 della Corte Costituzionale (cfr. infra).

 

Il successivo intervento normativo sui tirocini è avvenuto con l’articolo 60 del D.Lgs. n. 276/2003 che ha attuato la delega contenuta nell’articolo 2 lett. c) della Legge 14 febbraio 2003, n. 30: la Riforma Biagi ha disciplinato i tirocini estivi di orientamento per adolescenti e giovani iscritti presso un’università o un istituto scolastico. In seguito all’impugnazione della norma da parte di alcune Regioni, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 50/2005, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 60 del D.Lgs. n. 276/2003 poiché, secondo il nuovo articolo 117 della Costituzione, “la disciplina dei tirocini estivi di orientamento, dettata senza alcun collegamento con rapporti di lavoro, e non preordinata in via immediata ad eventuali assunzioni, attiene alla formazione professionale di competenza esclusiva delle Regioni”. Infatti, con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, è avvenuto un cambio significativo negli equilibri delle competenze tra Stato e Regioni: se il testo originario dell’articolo 117 prevedeva la competenza regionale in “istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica” sempre “nei limiti del principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”, la legge costituzionale n. 3/2001 ha invertito la tecnica di riparto delle competenze, definendo la competenza esclusiva dello Stato e le competenze concorrenti in un elenco di materie e attribuendo alle Regioni “ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. L’istruzione e la formazione professionale e la polizia amministrativa locale rappresentano le uniche due “etichette materiali nominate”, poiché in queste materie la competenza regionale residuale non viene dedotta per sottrazione rispetto ai commi precedenti dell’articolo 117 della Costituzione, ma si ricava dalla loro esplicita esclusione dalla competenza concorrente sull’istruzione e dalla competenza esclusiva statale sull’ordine pubblico e la sicurezza. Entrando nello specifico della formazione professionale, la Corte Costituzionale, chiamata in causa in diverse occasioni in seguito alla riforma costituzionale del 2001, ha confermato – rispetto alla già citata sentenza n. 50/2005 – che, “mentre la formazione da impartire all’interno delle aziende attiene precipuamente all’ordinamento civile, la disciplina di quella esterna rientra nella competenza regionale in materia di istruzione professionale, con interferenze però con altre materie, in particolare con l’istruzione, per la quale lo Stato ha varie attribuzioni: norme generali, determinazione dei principi fondamentali”. Un ulteriore intervento della Corte Costituzionale in materia di tirocini è avvenuto con la sentenza n. 287/2012, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 11 del D.L n. 138/2011, convertito dalla Legge n. 148/2011, il quale definiva livelli di tutela essenziali per l’attivazione di tirocini non curriculari. La norma, con una ratio anti-elusiva, fissava per i tirocini extracurriculari una durata massima di 6 mesi (ad esclusione di determinati soggetti svantaggiati) e ammetteva l’attivazione soltanto nei 12 mesi successivi al conseguimento del diploma o della laurea per favorire che l’utilizzo di tale strumento fosse finalizzato al raccordo tra istruzione e lavoro e che non finisse per sostituirsi a veri e propri rapporti di lavoro. La Corte Costituzionale, infatti, ha ritenuto tali disposizioni invasive della competenza regionale in materia di formazione professionale, censurando anche il secondo comma dell’articolo 11 nella parte in cui stabiliva la diretta applicazione dell’articolo 18 della legge n. 196/1997 e del relativo regolamento di attuazione in caso di inerzia delle Regioni.

 

La stagione degli interventi della Corte Costituzionale termina con l’intervento – pochi mesi prima della sentenza n. 287/2012 – dell’articolo 1, commi 34, 35 e 36 della legge n. 92/2012 che rappresenta tutt’oggi la disciplina nazionale vigente di rango primario in materia di tirocini. La riforma Fornero, all’articolo 1 comma 34, ha previsto un’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni per definire delle Linee guida sui tirocini formativi e di orientamento che ne rivedessero la disciplina, prevenissero e contrastassero un utilizzo distorto dell’istituto, individuassero gli elementi qualificanti del tirocinio e riconoscessero una congrua indennità, per la quale il comma successivo ha previsto una sanzione amministrativa da 1.000 a 6.000€ in caso di mancato riconoscimento. Il ricorso alla Conferenza Stato-Regioni ha consentito di conservare la competenza regionale residuale in materia di tirocini formativi, pur definendo un quadro normativo comune di riferimento.

 

Occorre considerare, in primis, che le intese raggiunte hanno espressamente escluso dalle linee guida i tirocini curriculari, i quali, secondo quanto disposto dal D.M. 22 ottobre 2004, n. 270 che ha modificato il D.M. 3 ottobre 1999, n. 509 in materia di autonomia didattica degli atenei, restano disciplinati dai Regolamenti di istituto o delle università. Nello specifico, i tirocini curriculari sono regolati dall’articolo 10, comma 5 lett. a) del D.M. n. 270/2004 sugli obiettivi e le attività formative che rimanda al D.M. n. 142/1998. Un altro provvedimento che ha segnato l’evoluzione normativa dei tirocini è rappresentato dalla nota n. 4647/2007 del Ministero del Lavoro che, rivedendo un precedente orientamento in merito agli obblighi di comunicazione sull’instaurazione, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro, ha escluso l’applicabilità di tali disposizioni ai “tirocini promossi da soggetti ed istituzioni normative a favore dei propri studenti ed allievi frequentanti, per realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro”. Altre tipologie di tirocinio escluse dalle linee guida riguardano i tirocini previsti per l’accesso alle professioni ordinistiche, i tirocini transnazionali svolti all’estero o presso un ente sovranazionale, i tirocini per soggetti extracomunitari promossi all’interno delle quote di ingresso e i tirocini finalizzati all’inclusione sociale, all’autonomia e alla riabilitazione di persone prese in carico dai servizi sociali o dai servizi sanitari.

 

La Conferenza Stato-Regioni ha approvato le prime linee guida il 24 gennaio 2013 e le seconde linee guida, attualmente vigenti, il 25 maggio 2017: esse non hanno un valore di norma giuridica, ma rappresentano orientamenti per le Regioni che hanno la competenza legislativa in via esclusiva. Quest’ultime sono intervenute in larga parte con delibere regionali che hanno fissato indirizzi regionali in materia di tirocini, mentre in alcuni casi le Linee guida sono state recepite nelle leggi regionali sul mercato del lavoro. Le principali differenze tra le due intese riguardano il superamento della tripartizione delle tipologie tirocinio (formativo e di orientamento, di inserimento/reinserimento, per svantaggiati e disabili) che vengono unite nell’unica categoria di tirocinio extracurriculare con un unico limite di durata, la definizione di nuove disposizioni in materia di interruzione, l’allargamento della platea dei soggetti promotori, la previsione di nuove misure per contrastare utilizzi incongrui del tirocinio e per un monitoraggio più puntuale, la revisione dei limiti numerici (aggiungendo nel calcolo per stabilire il numero dei tirocini anche i dipendenti a tempo determinato), l’introduzione di un sistema premiale che consente una deroga ai limiti numerici a seconda dell’assunzione dei tirocinanti, l’approfondimento dei ruoli dei tutor e l’individuazione di un sistema sanzionatorio più completo.

 

Nonostante che entrambe le versioni definiscano il tirocinio come “misura formativa di politica attiva”, il superamento della tripartizione delle tipologie di tirocinio dal 2013 al 2017 è emblematico di quanto avvenuto anche in sede europea, in cui la forte preoccupazione connessa alla disoccupazione giovanile ha portato ad un interesse sempre maggiore per il ruolo dei tirocini in Europa come strumento finalizzato a garantire l’occupabilità. Nella Comunicazione della Commissione Europea COM(2012) 728 final, relativa alla consultazione delle parti sociali nell’ambito del documento di lavoro “Verso un quadro di qualità per i tirocini”, il tirocinio è stato definito come “un’attività lavorativa di durata limitata presso imprese, enti pubblici o organismi senza scopo di lucro effettuata da studenti o giovani che hanno recentemente terminato gli studi al fine di acquisire una preziosa esperienza pratica in ambito professionale prima di iniziare una regolare attività professionale”. Soltanto due anni dopo, nella Raccomandazione del Consiglio del 10 marzo 2014, l’attenzione si è spostata sulla natura di politica attiva dello strumento, e quindi “un periodo di pratica lavorativa di durata limitata, retribuito o no, con una componente di apprendimento e formazione, il cui obiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale, finalizzata a migliorare l’occupabilità e facilitare la transizione verso un’occupazione regolare”. Tale evoluzione ha aperto le porte al Piano Europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile, che ha fatto del tirocinio extracurriculare lo strumento principale per aumentare le possibilità occupazionali dei giovani in Italia con Garanzia Giovani (il 56,4% delle misure di politica attiva, secondo l’ultima nota mensile di ANPAL). Tale programma, tuttavia, non ha avuto risultati brillanti, tanto da essere definito anche dalla Corte dei Conti come “una politica di promozione e sostegno agli stage che […] lascia forti dubbi sull’efficacia di molte di queste esperienze”, segnalando anche offerte di tirocini per mansioni di livello inferiore agli indicatori di qualità del Piano nazionale. Il focus sul tirocinio extracurriculare quale misura di politica attiva del lavoro, se da una parte ha notevolmente aumentato l’attenzione sul tema dell’abuso di tale strumento e sulle difficoltà dei giovani nella transizione tra scuola, università e lavoro, dall’altra ha posto in secondo piano le finalità formative e di orientamento, altrettanto importanti per acquisire competenze o per consentire ad un giovane di svolgere esperienze per compiere con più consapevolezza le scelte professionali. Tale aspetto si riflette anche sugli aspetti sanzionatori dell’intesa del 2017, sui quali è intervenuto l’INL con la Circolare n. 8/2018. Nel documento si evidenzia la possibilità di riqualificazione del rapporto per determinate fattispecie che andrebbero a compromettere la natura formativa del rapporto e non sono compresi gli aspetti strettamente legati alla formazione, per i quali sono previsti l’intimazione alla cessazione del tirocinio o il semplice invito alla regolarizzazione (quando sia possibile ripristinare le condizioni per il conseguimento degli obiettivi stabiliti). Il rischio che ne consegue, senza entrare nel merito dell’efficacia dei controlli, è che convenzioni, piani formativi e attestazioni delle attività svolte finiscano per essere considerate alla stregua di sterili complicazioni burocratiche incomprese anche dallo stesso tirocinante, spesso interessato – per non dire illuso – dalla tanto agognata stabilizzazione all’esito dello stage.

 

Infine, una recente Risoluzione del Parlamento Europeo (B9-0310/2020) è intervenuta sulla Garanzia Giovani sottolineando che, nei prossimi anni, il programma dovrà essere concepito “come un percorso volto a garantire, entro un certo lasso di tempo ragionevole, posti di lavoro di qualità e permanenti per tutti i giovani interessati. Tale nuovo approccio – che “non dovrebbe istituzionalizzare il lavoro precario tra i giovani” – promuove la valutazione delle competenze degli iscritti al programma con il fine di affrontare gli squilibri tra domanda e offerta di lavoro, riconosce il possibile ruolo dei tirocini nella formazione professionale a patto che essi siano stipulati con accordi scritti vincolanti, che siano retribuiti dignitosamente e che non sostituiscano posti di lavoro. Tuttavia, occorre anche considerare che nel documento del Parlamento Europeo i tirocini vengono accostati più volte all’apprendistato, nonostante che i due strumenti, almeno nella loro natura originaria e senza soffermarsi sulle evidenti differenze in termini di garanzie, rispondano ad esigenze diverse. Se l’obiettivo della nuova Garanzia Giovani sarà garantire l’occupazione, con il fine – dichiarato esplicitamente nella Risoluzione – di colmare le lacune dell’approccio precedente basato sull’occupabilità, è lecito ritornare alla domanda iniziale per chiedersi quale sia la ratio dei tirocini. Essi, concepiti come un periodo di orientamento e di formazione, sono stati ripensati come strumento per migliorare l’occupabilità dei giovani in Europa e tra pochi mesi, nella nuova Garanzia Giovani, avrebbero la funzione di garantire l’occupazione, e cioè posti di lavoro di qualità e permanenti: il rischio principale derivante da una simile scelta, senza una differenziazione negli scopi delle misure del programma, sarà quello di continuare la corsa al ribasso con i giovani preferendo lo strumento dei tirocini all’apprendistato, vero rapporto di lavoro finalizzato alla formazione e all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

 

Alla luce della Risoluzione del Parlamento Europeo, che preannuncia un ulteriore cambiamento nell’evoluzione normativa del tirocinio, si rende quanto mai necessaria una riflessione volta a distinguere strumenti e relativi obiettivi nelle politiche per l’occupazione giovanile. Ripercorrere l’evoluzione normativa e riscoprire lo scopo originario di un istituto, in questo ambito, porta a chiedersi inevitabilmente se non sia opportuno distinguere in modo netto – anche nei programmi quali Garanzia Giovani – i due strumenti del tirocinio e dell’apprendistato per capitalizzare, da una parte, le finalità formative e di orientamento, e dall’altra la garanzia di un’occupazione di qualità, senza portare a quell’ambiguità di fondo che i giovani, fino ad oggi, continuano a pagare a caro prezzo.

 

Lorenzo Citterio

Scuola di dottorato in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@CitterioLorenzo

 

L’evoluzione della normativa dei tirocini curriculari ed extracurriculari in Italia tra formazione, orientamento e politiche attive del lavoro
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