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Nell’immaginario comune, uno studente universitario è una persona, statisticamente giovane, che si forma in un contesto di alta formazione per prepararsi adeguatamente all’incontro successivo con il mercato del lavoro.
Per consentire questa preparazione in modo completo è necessario che ogni futuro professionista impari “a pensare”. Ovvio che questo è un esercizio e una attitudine che viene alimentata sin dai primi anni sui banchi di scuola. Tuttavia negli anni dell’università l’esercizio deve diventare metodo, ossia modalità di studio e di approccio alle tematiche e ai casi concreti.
Uno dei primi elementi nell’utilizzo di un metodo di analisi parte da una consapevolezza: non sempre esiste una risposta esatta o unica ad un dato quesito, ma esistono ragionamenti che possono giustificare l’una o l’altra soluzione. In quei ragionamenti c’è la strada risolutiva, che non è la risposta al quesito in sé ma il sentiero del pensiero critico, del ragionamento teso a trovare soluzioni.
Nel corso di Diritto del lavoro (accompagnato da una sorta di diario social del corso su twitter #Dirlav2017) ci è stata posta una domanda semplice: l’orario di lavoro è un arnese da buttare?
Questo debate (sì e no, a seconda delle posizioni) è giunto a seguito di uno studio definitorio del “Lavoro agile”, del concetto di “smart working” e, quindi, dell’orario di lavoro.
Innanzitutto, cosa si intende per “lavoro agile”?
Sul manuale di diritto del lavoro che noi utilizziamo (evoluzione di un manuale del prof. Biagi che si è negli anni sempre più avvicinato alla “realtà” del diritto del lavoro per arrivare a definire e insegnare a costruire i contratti di lavoro, ossia lo strumento attraverso cui il lavoro viene regolato) è definito come una “modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato caratterizzata dall’uso di tecnologie e da forme di flessibilità spazio-temporale, orientata verso obiettivi di conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei lavoratori e di aumento di produttività ”.
Il ministro del lavoro Poletti ha sostenuto recentemente che l’orario di lavoro a fronte dei cambiamenti tecnologici sia un attrezzo vecchio e che si debbano immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento l’ora-lavoro. Ma il “lavoro agile” può davvero essere la soluzione adeguata?
Un ragionamento analitico suggerisce di individuare i pro derivanti dal ricorso al “lavoro agile”:
– maggiore produttività data dalla flessibilità;
– responsabilizzazione dei dipendenti;
– più tempo libero per i lavoratori;
– maggiore senso di appartenenza data da maggiori responsabilità e partecipazione.
E i contro:
– una difficile valutazione per l’imprenditore dell’effettiva possibilità di miglioramento;
– sicurezza sul lavoro difficile da garantire;
– richiesta di grande capacità di organizzazione ed alta formazione.
La seconda parte del ragionamento induce a domandarsi come e con quali risultati lo “smart working” sia già stato adottato.
Una prima testimonianza positiva è data dall’azienda alimentare Barilla, precursore già nel 2013 del lavoro flessibile, che si propone di offrire l’opportunità di lavorare da casa agli impiegati entro il 2020.
I risultati ottenuti dalla Barilla sono stati positivi ed il beneficio maggiore riguarda l’equilibrio vita privata-lavoro che ha portato ad un aumento della soddisfazione dei dipendenti, senza che ci fosse un peggioramento nei livelli di produttività ed efficienza nelle prestazioni.
Una seconda testimonianza positiva è rappresentata dall’esperienza di Graphistudio, azienda manifatturiera che si basa sull’auto-organizzazione dei dipendenti e sulla flessibilità degli orari ed eventualmente anche delle mansioni. Con l’adozione di questo metodo è infatti diventata azienda leader nel suo settore.
I problemi derivanti dallo “smart working” (soprattutto dall’auto-organizzazione dei dipendenti) possono essere numerosi, però la direzione verso il lavoro agile e la flessibilità dell’orario di lavoro può essere, sulla scorta delle argomentazioni raccolte, quella giusta.
A questi ragionamenti individuali è seguito un sondaggio, svolto in classe insieme al docente e sempre raccolto nelle pagine di twitter, in cui ciascuno studente era chiamato ad esporsi come favorevole o meno al superamento dell’orario di lavoro.
Una preponderante maggioranza della classe #DirLav2017 si è espressa a favore della conservazione dell’orario di lavoro quale strumento da utilizzare.
Le motivazioni di una idea collettiva diversa dalla mia risiedono probabilmente in ragionamenti che derivano da metodi di ricerca differenti ma credo anche da diverse sensibilità verso i temi della produttività e del legame tra benessere del singolo, il benessere organizzativo e il vantaggio produttivo.
Marco Becchi
Studente #DirLav2017, II anno in Economia Aziendale,
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia