Non ci stupisce leggere dell’enorme consenso e seguito suscitato da X Factor. In una società statica e vecchia, che penalizza in tutti modi i nostri ragazzi, quello dello spettacolo rimane uno dei pochi ambiti, assieme allo sport, dove un giovane può emergere per la forza del merito e del talento per quanto inespresso possa ancora essere.
I concorrenti che si sono alternati sul palco di X Factor hanno avuto quasi tutti una caratteristica comune, che non può sfuggire agli occhi di chi osserva: la giovane età. Una giovane età permeata di inesperienza, timori, inquietudini e che purtuttavia non è un limite insormontabile per il classico “lieto fine”.
Siamo cresciuti ascoltando favole con il lieto fine, dove il bene trionfa su ogni male. Poi arriva il resto, la vita, la scuola, l’università, il lavoro. E all’improvviso nuovi maestri, vestiti da docenti, da genitori e da adulti, ci insegnano che le cose vanno molto diversamente e fuori dalle favole ci sono libri pieni di difficoltà, di porte chiuse, di sogni spezzati.
Queste disillusioni spesso non ci vengono nemmeno descritte, spiegate, chiarite. Se così fosse forse potremmo difenderci. Invece ci assalgono in modo silenzioso e pericoloso.
Le leggiamo sui volti di chi, intorno a noi, fa un lavoro che non ama, di chi ci appare estraneo al ritmo della propria esistenza, di chi insegna nelle scuole senza vocazione, di chi corre senza amore per il percorso, provando a raggiungere mete che non saranno mai in grado di regalare la gioia e la realizzazione desiderata.
E cresciamo così, con queste nuove consapevolezze che ci convincono così tanto da indurci a non provare nemmeno a cercare per noi, per la nostra vita, il giusto “lieto fine”.
Questo atteggiamento non è corretto, non va bene, non è giusto né per noi stessi né per tutti i nuovi i giovanissimi “c’era una volta” che ci osservano e cercano di imparare da noi.
E allora alle volte meglio ricominciare da loro, dai più giovani, e lasciare che siano loro a raccontarci del mondo, a mostrarci il giusto modo di osservare le cose. Quello sguardo che abbiamo smarrito. Peccato.
L’arte e la musica sono da sempre un meraviglioso sentiero per trovare se stessi, per allontanarsi da ciò che intorno a noi non ci assomiglia. Il sentiero salvifico che dobbiamo percorrere tutti, in questa fase storica in cui viviamo, nelle nostre singole vite, per provare a modellare quello che abbiamo intorno secondo il nostro meraviglioso “lieto fine”. Vedere un giovane di 18 anni appena, di nome Michele, vincitore della settima edizione di X Factor, su un palco così importante, mostrando equilibrio, compostezza e raffinatezza può insegnare tante cose.
Può parlarci del talento, innanzitutto. Che viene da molte parti osannato e che però, quando c’è, si fa vedere senza troppi effetti speciali. Il talento, come espressione di un dono personale che ciascuno porta dentro sé, si mostra quando le condizioni esterne ed il contesto sono pronti ad accoglierlo. Il mondo degli adulti deve imparare ad osservare i giovani, a darne il giusto spazio perché i loro talenti crescano e si sviluppino, ad ascoltarne la voce ed il pensiero.
Può parlarci dei “toni” e del colore che i nostri atteggiamenti devono adottare. Poche parole urlate, pochi comizi, poco baccano. Tanto esempio, tanto garbo nel comunicare con i più giovani, nell’offrire loro spunti, critiche ed occasioni.
Può parlarci di meraviglia, quella che si respira quando qualcosa inizia, quando un progetto nasce e quando i più giovani si sentono protagonisti, chiamati in prima linea a mettersi in gioco.
Può parlarci di idee, di consenso, di positività. Quello di cui il nostro paese ha bisogno per tornare a sognare. In due parole, “La vita e la felicità”.
Eliana Bellezza
ADAPT Research Fellow