“Strano Paese il nostro in cui esperienze virtuose, agili, efficaci, tempestive, poco costose come AlmaLaurea, siano oggetto di disinformazioni e di attacchi.”
Così comincia la replica di Almalaurea all’interrogazione parlamentare presentata a inizio settembre dal Movimento 5 Stelle.
Questa storia, però, meriterebbe un altro incipit.
Strano Paese il nostro in cui una legge del 2003 (successivamente ripresa nel corso degli anni), che impone alle università italiane di rendere pubblici e disponibili i curriculum vitae dei propri studenti e dei laureati entro i 12 mesi dal conseguimento del titolo, non è ancora pienamente attuata.
Partiamo dal principio e dalla idea, semplice e al tempo stesso geniale, che ha spinto il nostro legislatore del 2003 a chiedere agli atenei di pubblicare sui propri siti i curriculum vitae dei giovani laureandi e laureati. Una Legge, la Biagi, che prende il nome da un riformista, e prima ancora da un docente universitario. Marco Biagi insegnava diritto del lavoro all’Università di Modena e aveva contatti diretti con i suoi studenti, che accoglieva numerosi anche dopo le lezioni, per approfondimenti e momenti di studio e di crescita.
Da quella esperienza di professore nasce un’intuizione, che poi si trasforma in un comma di legge, secondo cui gli atenei non possono e non devono soltanto formare ed istruire gli studenti preparandoli a divenire futuri professionisti. Le università hanno il compito di accompagnare quei giovani alla cui alta formazione concorrono, verso le porte del mercato del lavoro, verso quello stesso futuro a cui li preparano.
Per far questo ci sono numerose strade e molteplici strategie. Tutti questi percorsi però richiedono che le università instaurino un dialogo costante, aperto e virtuoso con il sistema produttivo e delle imprese, affinché si possano conoscere e studiare le dinamiche, i fabbisogni formativi e le professionalità che queste realtà richiedono.
Al centro di questo dialogo, la persona, il giovane, il suo curriculum e la sua storia. Dall’intuizione di un docente, avvezzo a guardare i sistemi stranieri e a cercare nella comparazione nuove soluzioni ai problemi domestici, nasce quindi una visione più moderna del placement universitario, dei suoi obiettivi e dei suoi strumenti. La pubblicazione dei CV degli studenti è quindi il modo, semplice ma efficace, attraverso il quale un ateneo offre visibilità ai propri studenti, affinché le aziende gratuitamente, liberamente ed in ogni momento possano leggerli, analizzarli e fruirne.
A distanza di più di un decennio, questo obbligo di legge è ancora inattuato.
Nei siti delle università italiane, vi sono invero indicazioni e modalità per la visualizzazione di cv in forma anonima ma ciò che significa che essi sono privi di informazioni basilari quali i contatti, gli indirizzi di posta elettronica, i recapiti telefonici. Si tratta di cv che riportano solo il voto di laurea, le competenze linguistiche ed informatiche, le esperienze pregresse ma non individuano attitudini, propensioni, talenti, Job Skills. Sono curriculum che poco dicono delle persone che rappresentano, poiché appaiono tutti molto simili, omologati, ordinari.
Per la ricezione di profili accurati, di curricula completi di dati (necessari se si voglia anche solo procedere a convocare un giovane per un colloquio), è necessario che l’azienda si sottoponga a procedure di accreditamento, con compilazione di format online, a cui successivamente, in un arco temporale che va a seconda dei casi dai 3 ai 15 giorni, segue una mail di conferma dell’avvenuta registrazione. Dopo la registrazione e la ricezione della password, l’azienda potrà accedere e specificare sul motore interno di ricerca, a seconda del numero di CV che l’iscrizione dà diritto a visionare (in alcuni casi limitato, in altro casi illimitato), il profilo richiesto (ossia età, tipo di percorso, etc.).
Dopo questa procedura sarà possibile per l’azienda visionare i CV. Alcune università inviano all’azienda per email i cv contenuti in un file Excel che divide le informazioni per campi (età, provenienza, esperienze, votazione, etc.). Altri atenei invece inviano all’azienda tutti i cv dei giovani completi di foto e di maggiori informazioni di dettaglio (ci sono spazi liberi nei quali i candidati possono descrivere la propria personalità, inserire le competenze trasversali acquisite negli anni, la motivazione e i desiderata professionali).
Vi sono poi alcuni sistemi (normalmente regionali o che raggruppano più regioni) che facilitano la ricerca dei CV poiché con una unica registrazione al sistema viene consentita la visione dei cv di tutti gli atenei aderenti.
Alcune università chiedono anche specifiche sui contratti, stage, offerte di lavoro che l’azienda intenda offrire ai candidati, motivazioni concrete che sono alla base della ricerca di CV.
Tutto questo non è quello che aveva in mente il nostro legislatore, quando ha richiesto che i cv fossero pubblici e disponibili gratuitamente sui siti. L’attività di consorzi come Almalaurea, in grado di gestire vaste banche dati di curriculum, e, insieme a numerose altre interessanti attività di ricerca e approfondimento, di offrire alle aziende specifici profili professionali aderenti ai loro bisogni, è certamente degna di nota. Ma la polemica sollevata sull’operato di Almalurea non centra il nodo critico della questione, che va ricercata nella qualità dei servizi placement delle università, i veri protagonisti della vicenda.
Aver riconosciuto un ruolo di primo piano nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro agli atenei, significava averne posto in risalto la loro funzione storica quali “intermediari” tra i giovani e la società. I soggetti più vicini ai giovani, in grado di accompagnarli nella ricerca di un lavoro, in grado di “descriverli” e “presentarli” al meglio nel loro primo appuntamento con la vita vera.
Le ragioni di questo mancato placement sono numerose e forse non tutte di facile individuazione. Tuttavia è chiaro che l’accademia smarrisce la sua stessa ragion d’essere laddove dimostra di non conoscere i giovani che prepara, di non essere in grado di tracciare per loro strade di transizione al lavoro agevoli e chiare, di rinunciare a dialogare con il mondo esterno e con le imprese. Quelle stesse imprese nelle quali i giovani laureati impareranno un mestiere, qualunque esso sia, talvolta troppo distante dai manuali studiati nelle aule accademiche.
ADAPT Research Fellow
ADAPT Community Manager