È vero che, dopo la breve ma intensa stagione della disintermediazione di Matteo Renzi, il sindacato sta tornando con prepotenza sulla scena invertendo una crisi che pareva irreversibile? Così pare indicare un autorevole editorialista del Corriere della Sera, Enrico Marro che ci ricorda, per esempio, la vittoria della Cgil contro Renzi sul referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre a cui ha fatto seguito la cancellazione dei voucher. Anche la Cisl è riuscita a proteggere il proprio ‘feudo’ in Poste Italiane ottenendo la sostituzione di Francesco Caio con il manager fiorentino Matteo Del Fante, mentre la Uil ha battuto forte contro la riforma della governance di Boeri all’Inps.
Ma sono queste le vittorie che i lavoratori, in particolare quelli più giovani, chiedono alle tre confederazioni sindacali? E cosa avviene invece in quel terreno sindacale per eccellenza che è la contrattazione? A livello nazionale la conclusione dei rinnovi di una serie di contratti, a partire dal testo unitario per il settore metalmeccanico dopo otto anni di intese separate, sembrerebbe indicare una persistente forza del sindacato. I sindacati sembrerebbero però aver ottenuto ben poche vittorie a livello aziendale anche senza ricordare il fragore del caso Alitalia dove c’è stata una sonora bocciatura da parte dei dipendenti del piano elaborato dal sindacato con l’azienda. Alcune sigle, come la Cisl (e in parte la Uil), hanno aperto alla contrattazione aziendale anche se non riescono a smarcarsi da quella nazionale. Il contratto collettivo nazionale è poi ancora privilegiato dalla Cgil, perché garantirebbe omogeneità tra tutti i lavoratori, qualunque sia l’azienda o il territorio dove sono impiegati. Un’omogeneità che spesso si trasforma in ingessatura e in impossibilità di attuare una vera negoziazione, in particolar modo per quanto concerne la parte salariale.
In verità, come indica l’annuale rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia, il sistema di relazioni industriali mostra ancora una certa vitalità, che stenta a emergere solo per la mancanza di trasparenza e pubblicazione dei contratti aziendali come per esempio avviene nella vicina Francia. Vero, semmai, che spesso è una contrattazione di tipo difensivo che ancora stenta a leggere la grande trasformazione in atto nel mondo del lavoro. Il punto, che ancora viene poco o nulla analizzato, non è però tanto il basso tasso di innovazione della contrattazione collettiva. Quello che ancora manca, per riprendere davvero la scena sindacale, è infatti un cambiamento degli attori del sistema di relazioni industriali che sono ancora strutturati attorno a modelli organizzativi e culturali radicati nel Novecento industriale e che, per questo, stentano a entrare in sintonia con la nuova geografia del lavoro.
È quanto è emerso nel corso di una esercitazione svolta da noi studenti del corso di Diritto delle Relazioni Industriali (#IRL2017) della laurea specialistica in Relazioni di Lavoro dell’Università di Modena e Reggio Emilia. La lettura degli Statuti, mostra inequivocabilmente l’anacronismo delle aggregazioni per categoria, come la spaccatura verticale dell’economia tipica delle classiche federazioni ancora impernate sulla vecchia ripartizione tra settore primario, secondario e terziario. Una ripartizione oggi superata dai modelli produttivi propri del lavoro o della economia 4.0. Difficile dire se la dimensione del sindacato futuro sia il territorio o il mestiere. Certo è che sul punto una vera riflessione dentro la rappresentanza come dentro l’accademia stenta a emergere. Eppure questa riflessione sembra cruciale se si osservano le evoluzioni e il passaggio da un sistema fordista a quello attuale, con impieghi poco standardizzati sempre più slegati al tempo e al luogo fisico di lavoro, dove aumentano i lavoratori della conoscenza, con una maggior livello di istruzione e che aspirano a tutele specifiche rispetto alla professione esercitata.
A questa modifica della struttura e dei livelli di azione del sindacato si potrebbe affiancare una maggior attenzione alle catene globali del valore. Notiamo infatti il moltiplicarsi dei mercati del lavoro e il loro sottrarsi a una logica nazionale. Ecco perché il sindacato potrebbe guardare oltre i confini italiani e provare ad inserirsi in un contesto internazionale, per gestire i mutamenti che non interessano solo il nostro mercato del lavoro ma quello europeo ed extraeuropeo. Se i sindacati non recepiranno i cambiamenti del lavoro nei loro statuti e nei loro modelli organizzativi sarà difficile innovare la contrattazione e così intercettare il consenso soprattutto dei giovani che questi mutamenti li vivono sulla propria pelle. Non ci dobbiamo stupire allora se solo un giovane su dieci in Europa è iscritto al sindacato e se più del 50% degli iscritti Cgil è rappresentato da pensionati (il 45% in Cisl, il 26% in Uil)
I social network rappresentano un importante punto di partenza per aumentare l’appeal sindacale presso le nuove generazioni. Da un ricerca svolta da noi studenti del corso di Diritto delle Relazioni Industriali in collaborazione con un gruppo di ricercatori di ADAPT, è emersa l’insufficienza della presenza social degli attori sindacali. Per esempio la Cgil non ha una pagina Facebook su 4 capoluoghi di Regione (concentrati al centro sud), la Cisl su 9 e la Uil su ben 15. Anche nelle città dove vi è una presenza social, le pagine sindacali non superano i 10mila like e in alcuni casi registrano poche decine di iscritti. Se oggi si vuole costruire una nuova base di consenso, quella tra gli under 30, è fondamentale essere presenti nelle piattaforme dove questi soggetti sono costantemente attivi, i social network come Facebook e Twitter appunto. Da qui i sindacati potrebbero sia raccogliere informazioni utili per le loro azioni future che dare messaggi circa il presidio delle tematiche che stanno oggi a cuore ai nostri giovani.
Anita Cezza
ADAPT Junior Fellow
Mappatura Facebook elaborata
in collaborazione con Raffaele Schiaffino