Con sentenza n 109/2014 il Tribunale di Milano sezione lavoro si pronunciava sulla legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo subito da un dirigente di azienda sostenendo che la soppressione della posizione lavorativa sia circostanza differente dalla soppressione delle mansioni nonché affermava la legittimità dell’accorpamento delle relative mansioni in capo ad altri dipendenti in quanto estrinsecazione legittima del potere datoriale.
Nel caso di specie il lavoratore dirigente ricorreva davanti al Giudice per sentire accertata, in primo luogo l’illegittimità del licenziamento subito adducendo come l’ingiustificatezza del motivo oggettivo fosse conseguenza del calo di fatturato e di utili aziendali e in secondo luogo chiedeva anche di accertare che la posizione di Associate Partner dallo stesso ricoperta fin dall’inizio della sua carriera, non fosse mai stato soppressa ma ancora esistente all’interno della divisione aziendale.
In sostanza la presunta illegittimità del licenziamento poggierebbe sulla circostanza che le mansioni svolte dal ricorrente non erano state effettivamente soppresse, come risultava invece dalla relativa comunicazione pervenutagli, bensì assegnate ad altri dipendenti.
Si costituiva in giudizio l’azienda rilevando, invece, che il posto di lavoro della ricorrente era stato soppresso per una scelta riguardante la situazione sfavorevole di mercato, in ragione della quale l’azienda era stata costretta a riorganizzare le attività lavorative ridistribuendo tra gli altri lavoratori le mansioni affidate alla dipendente licenziata.
Nella risoluzione della controversia, il ragionamento del Giudice Milanese si inserisce all’interno di un quadro giuridico più volte delineato dalla Corte di Cassazione (in tal senso si veda Cass. n. 21282/2006; Cass. n. 3040/2011; Cass. n 6678/2013) la quale, in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha ripetutamente declinato dei principi ormai consolidati nella giurisprudenza di merito e ampiamente recepiti dal Tribunale di Milano (in senso conforme sentenza Tribunale di Milano n 803/2013, sentenza n. 2423/2013).
L’assunto giuridico in oggetto fonda le sue radici nei valori cardine dell’ordinamento, ed in particolare nell’art. 41 della Costituzione: la libertà d’iniziativa economica privata garantita dalla Carta si manifesta, tra l’altro, anche nella scelta dei criteri di gestione dell’impresa, scelta che viene chiaramente attribuita al datore di lavoro. In tal senso le ragioni di carattere produttivo, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, sono espressione della libertà di iniziativa economica privata, da cui scaturisce quale conseguenza, l’insindacabilità di tale scelta imprenditoriale da parte dell’organo giudicante.
Proprio a tale principio si attiene il Giudice nella sentenza in oggetto, decidendo di non esercitare alcuna ingerenza nelle valutazioni di opportunità economico-gestionale effettuate dal datore di lavoro.
Dal quadro delineato non può però escludersi completamente la figura del Giudice, al quale spettail ruolo di verificare la reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore.
Nel caso di specie e in relazione alla prima doglianza di parte ricorrente il licenziamento è stato considerato non censurabile sia sul piano formale in quanto la società stessa spiega con chiarezza e con analitica documentazione che la soppressione della posizione del ricorrente fosse esplicita conseguenza di una gestione economica finalizzata alla riduzione dei costi del lavoro, con assorbimento delle attività appartenenti a detta posizione all’interno dell’organico già esistente nella struttura aziendale; sia sul piano sostanziale in quanto, a parere del Giudice, la soppressione del posto di lavoro si era resa necessaria non in forza del calo di fatturato e di utili, come erroneamente sosteneva la difesa del ricorrente, ma a seguito della riorganizzazione della struttura della società.
In altri termini il calo della richiesta di mercato, del fatturato e degli utili sono considerati dal Giudice milanese meri presupposti della decisione aziendale di procedere al licenziamento del dirigente
In relazione alla seconda doglianza il Giudice ha ribadito il principio tale per cui la soppressione della posizione lavorativa sia circostanza completamente diversa dalla soppressione delle mansioni e come le due circostanza non necessariamente debbano coincidere.
Infatti il Giudice Milanese, rileva come, nel caso di specie, parte resistente abbia correttamente parlato di soppressione di posto di lavoro e non di mansioni, in quanto le funzioni svolte dal ricorrente non sono state eliminate ma redistribuite fra il personale già in forza.
In conclusione la Corte Milanese ritiene pacificamente accolto il principio per cui è considerata legittima la redistribuzione delle mansioni da parte del datore di lavoro se conseguente alla dimostrazione di un andamento economico negativo e non funzionale ad un mero incremento di profitto.
Cristina Guelfi
Dottore abilitato al patrocinio presso il Foro di Milano