L’impatto dell’inflazione sul valore reale dei salari: i dati al livello dell’Unione Europea

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Bollettino ADAPT 4 settembre 2023, n. 29
 
A Luglio 2023, il WSI, istituto di ricerca socioeconomica della Fondazione Hans Böckler ha pubblicato il proprio Report annuale inerente all’impatto dell’economia sulla contrattazione collettiva europea e viceversa. Gli autori hanno come obiettivo quello di presentare la situazione così come conclusa al 2022, nonché le previsioni per il 2023, attenzionando in particolar modo il collasso del valore reale dei salari a causa dell’inflazione.
 
Contesto economico
 
Negli ultimi tre anni, il contesto economico in Europa è radicalmente cambiato, avendo dovuto gli stati europei affrontare una serie di tematiche, quali la pandemia da Covid-19, l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, la conseguente crisi energetica e più recentemente il rapido aumento dei tassi di interesse. L’insieme di tutti questi fattori, evidentemente, ha avuto un effetto disastroso sulle economie dei vari paesi, riflettendosi in primis sui lavoratori.
 
In seguito al verificarsi di questi eventi radicali, l’inflazione ha fatto da padrona influenzando la politica salariale nel 2022 e 2023: come misurato dal valore IPCA, l’inflazione ad ottobre 2022 ha raggiunto il picco dell’11.5%, quando nel 2020 si era registrato un valore negativo, -0,3%. La conseguente perdita del potere d’acquisto ha messo sotto pressione i sindacati, affinché fossero trovati degli accordi collettivi che riuscissero a salvaguardare il valore reale dei salari.
 
Per effettuare un’analisi completa del contesto economico, non è sufficiente soffermarsi sugli elementi menzionati impattanti sull’economia, ma è necessario mettere in evidenza anche ulteriori dati. Il primo dato, che letto singolarmente potrebbe trarre in inganno, mostra un aumento del PIL medio degli stati membri dell’Unione del 5.4% nel 2021. Essendo il 2020 conclusosi con un valore negativo, -5.6%, il valore dell’anno successivo è risultato addirittura migliore rispetto alle previsioni effettuate. Anche il 2022 si è concluso con un valore positivo, 3.5%, mentre, secondo le previsioni della Commissione Europea, il 2023 vedrà una crescita dell’1% della media del PIL degli Stati dell’Unione. All’interno dei singoli Stati, la situazione risulta altamente eterogenea: in particolare si può riscontrare una maggiore crescita delle economie nell’Europa del sud, le quali, non a caso, sono quelle che hanno registrato nel 2020 le percentuali negative più consistenti.
 
Alla fine del 2022, la crescita economia e, conseguentemente, le percentuali del PIL dei vari Stati si è ulteriormente ridotta a causa del peso dell’inflazione che ha determinato una consistente riduzione del potere d’acquisto nella maggior parte dei paesi occidentali. I dati economici della prima metà del 2023 hanno dipinto un quadro negativo, avendo molti indicatori registrato cali simili a quelli osservati in occasione delle precedenti recessioni americane.
 
Contesto socioeconomico
 
Le circostanze economiche appena descritte hanno avuto chiaramente anche dei riflessi sul mercato del lavoro europeo. A febbraio 2023, il tasso di disoccupazione corrispondeva al 6.2%, con un’ulteriore, benché leggera, diminuzione prevista per la fine del 2023. Anche in questo caso la situazione risulta altamente variegata, in quanto ci sono Stati (come la Germania, Repubblica Ceca e la Polonia) vicini all’occupazione totale, altri, invece, hanno sofferto e continuano a riportare un tasso di disoccupazione elevato, superiore al 10%.
 
Sebbene ci siano stati settori più colpiti di altri dalla situazione economica, in modo generalizzato è stato registrato un aumento della ricerca di lavoratori specializzati, che non ha trovato risposta nel mercato del lavoro, tanto che, secondo un report del WSI, molte aziende hanno avuto difficoltà a riempire i posti vuoti.
 
Anche la produttività del lavoro è cresciuta dell’1.5% nel 2022, in linea con le previsioni della Commissione Europea. Nell’anno corrente, è prevista un’ulteriore crescita dello 0.5%, coerentemente al trend del PIL e del simultaneo aumento occupazionale: l’insieme di tutti questi elementi fa presagire una ripresa economica, che condurrà ad un ritorno alla normalità.
 
In contrasto, come riportato precedentemente, l’inflazione è ben al di sopra della media. Questo può essere chiaramente riscontrato non solo nell’aumento dei prezzi di consumo, ma anche nella crescita del deflatore del PIL, calcolato dividendo il PIL nominale per il PIL reale, (5.4% nel 2022 e 6.1% nel 2023).
 
L’impatto dell’inflazione sui valori nominale e reale dei salari
 
Il database della Commissione Europea (European Commission, AMECO Database, 2023) ci fornisce il valore nominale del margine di crescita salariale standardizzato che nel 2022 ha visto una crescita del 7.0% e un prospetto di una simile crescita nel 2023, 6.7%. I valori mostrano che un aumento dei salari permette di contrastare la perdita del reddito reale dei lavoratori, senza che ciò comprometta i margini di profitto delle aziende.
 
All’interno di questo contesto, si rileva come la contrattazione collettiva, sia stata un elemento necessario per ottenere salari più alti e un miglioramento delle condizioni di lavoro. Sulla base di dati raccolti tra 12 paesi che rappresentano all’incirca il 98% del potere economico dell’euro zona, si evidenzia, nel 2021, un aumento dell’1.5% delle retribuzioni contrattuali, (valore nominale). Tale dato si registra, tuttavia, contestualmente al diffondersi dell’inflazione, avendo come risultato una perdita del potere di acquisto dei salari dell’1.1%. Anche nel 2022 la situazione rimane analoga: una moderata crescita nominale dei salari del 2.8%, la quale, tuttavia, a causa dell’aumento del costo dell’energia, dovuto al conflitto russo-ucraino, non è risultata minimamente sufficiente per contrastare l’inflazione registrata. Infatti, il valore reale delle retribuzioni contrattuali ha subito una diminuzione del 5.2%, il che si traduce in una perdita del potere di acquisto per i lavoratori senza precedenti dagli anni 2000. Per avere un termine di paragone, il valore più basso si è registrato nel 2011, in cui la diminuzione del valore reale delle retribuzioni contrattuali si è aggirata intorno allo 0.7%.
 
Analizzando i dati della BCE, si può notare un certo scarto nella crescita del valore nominale dei salari tra i vari paesi dell’eurozona. Nel 2022, la crescita registratasi in Italia è del solo 1.1%, mentre altri paesi registrano percentuali più elevate, come nel caso della Germania (2.7%) o della Repubblica Ceca (4.4%). Emblematico è il caso della Francia, in cui il valore nominale dei salari è cresciuto indicativamente del 5%. Infatti, nella maggior parte dei settori sono state applicate delle clausole di revisione ricollegate all’oscillamento dell’inflazione, che ha permesso una nuova negoziazione dei contratti collettivi, con un conseguente aumento del valore nominale dei contratti.
 
In una prospettiva a lungo termine, appare evidente che l’aumento dei prezzi, così repentino e sproporzionato, abbia completamente eroso l’aumento nominale delle retribuzioni contrattuali registratosi in questi anni. Quindi, sebbene dal 2015, si sia riscontrata una crescita dei salari, anche in termini reali, nella maggior parte dei paesi europei, tale crescita, il cui trend già nel 2021 aveva subito un calo, fino a scendere drasticamente nel 2022, si è arrestata con l’aumento dell’inflazione.
 
Il valore dei salari armonizzati con il valore IPCA
 
I salari, così armonizzati con il valore IPCA, dopo un appiattimento dovuto alla situazione pandemica nel 2020, hanno registrato un aumento nominale sia nel 2021 che nel 2022. Ma lo sguardo sotto il punto di vista del valore reale è completamente diverso. La previsione della BCE (European Collective Baraining Report) aveva valutato una possibile perdita del potere di acquisto del 2.9% nel 2022, la quale, tuttavia, è stata molto più ampia di quanto previsto, arrivando ad oltre il 4% nel 2022.  
 
Ancora una volta, la ratio è da riscontrare nell’aumento dei prezzi di consumo, che sì poteva già registrare nel 2021, ma che ha subito una vera e propria esplosione in seguito all’inizio del conflitto russo-ucraino. Infatti, dall’inizio della guerra, i costi legati all’energia sono aumentati oltre il 40% e sono rimasti al medesimo livello fino ottobre 2022: la loro successiva discesa ha avuto un effetto frenante sull’inflazione.
 
Al di là del settore energetico, l’inflazione tocca in prima linea i beni essenziali e nello specifico i prezzi del settore alimentare, che diventano ogni giorno di più un peso per le famiglie meno abbienti. Nell’Europa orientale, ad esempio, una parte significativa della popolazione spende la maggior parte delle proprie entrate in beni essenziali.
 
Beneficiari dell’inflazione
 
Come mostrato precedentemente, l’inflazione ha avuto un elevato impatto sui lavoratori, ma le aziende e i rispettivi imprenditori hanno spesso mostrato di subirne allo stesso modo gli effetti. Un’analisi dei dati fa apparire questa rappresentazione plausibile. Tuttavia, il precedente Report sulla Contrattazione collettiva europea del WSI ha messo in evidenza la prassi delle aziende di aumentare i propri prezzi più di quanto non fosse necessario per compensare la curva inflazionistica e i relativi costi. I dati riportati nel report mostrano come i costi di capitale siano cresciuti molto più rapidamente di quelli del lavoro, con un conseguente aumento del profitto che ha contribuito alla crescita del deflatore del PIL e conseguentemente a quella dell’inflazione. (J. Ragnitz, Gewinninflation und Inflationsgewinner. Ifo Institut: ifo Dresden berichtet 29 (5), 2022, pp. 24-28). In Germania, un’analisi sulla situazione economica di un gruppo di aziende tedesche ha messo in evidenza di come gli aumenti dei costi fossero supportati principalmente da parte dei consumatori. (Bundesbank, Ertragslage und finanzierungsverhaltnisse deutscher Unternehmen im Jahr 2021, in: Monatsbericht 75 (3), 3/2023, pp. 69-84. Lo studio in questione ha analizzato circa 23.000 aziende).
 
Conseguentemente, i prezzi sono stati addossati ai consumatori e le aziende hanno avuto la capacità di aumentare i propri margini di profitto. Si parla in questo caso di “profit inflation”, considerando le aziende e gli imprenditori come i beneficiari dell’inflazione (profit winners). Questo risulta inusuale nelle situazioni di crisi, in cui l’economia in difficoltà influenza negativamente i profitti. Una spiegazione a questa inusuale situazione può essere ricercata, da una parte nello squilibrio tra offerta e domanda; d’altra parte, l’aumento dei costi delle materie prime, in seguito al conflitto russo-ucraino, è stato utilizzato come una scusa per aumentare i prezzi. (Arce, Hahn, Koester, How tit-for-tat Inflation can Make everyone Poorer, The ECB blog, 2023).
 
Conclusioni
 
Il report in analisi mostra chiaramente come i lavoratori costituiscano la parte lesa di questa situazione economica, in cui effettivamente c’è stato un aumento del valore nominale dei salari, dovuto principalmente all’aumento dei prezzi, ma l’inflazione erode a tal punto il potere d’acquisto dei lavoratori da far sì che i salari perdano gran parte del proprio valore reale. Inoltre, la situazione previsionale da un punto di vista inflazionistico e di diminuzione del valore reale dei salari non appare così rosea da sanare l’attuale situazione economica.
 
La contrattazione collettiva ha dovuto, e deve, affrontare il tema dell’aumento nominale dei salari, in linea con una politica di stabilità, cercando di limitare la riduzione del valore reale dei salari, la quale è stata significativa e supportata interamente dai lavoratori. Gli autori del report in questione denunciano un vero e proprio problema di ridistribuzione tra i beneficiari dell’inflazione, a cui è associato il precitato “profit inflation” e i lavoratori su cui ricade l’aumento dei prezzi senza un corrispettivo e proporzionato aumento dei salari.
 
Angela Zaniboni

ADAPT Junior Fellow

@angzanib

L’impatto dell’inflazione sul valore reale dei salari: i dati al livello dell’Unione Europea
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