L’importanza di chiamarsi navigator

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Bollettino ADAPT 11 gennaio 2021, n. 1

 

Mi presento, sono un navigator.

 

Può far ridere scrivere questo perché sa tanto di alcolisti anonimi, ma raramente una figura professionale è stata tanto stigmatizzata, oggetto di feroci critiche nonché di luoghi comuni come lo siamo stati noi. È mancata, troppo spesso, un’analisi laica sul nostro operato, che non è stato approfondito se non decontestualizzandolo completamente. Vorrei, e ringrazio Adapt per darmi l’occasione di farlo, tentare di portare un po’ di realtà quotidiana in un dibattito troppo spesso frutto di propaganda a favore o contro. Una politicizzazione estrema ha infatti ridotto a tifo da stadio qualsiasi storia coinvolgesse i navigator, tra chi ci ha esaltati come coloro che avrebbero sconfitto la disoccupazione e chi ci ha trattati come delinquenti, “scappati di casa”, incompetenti, divanisti e chi più ne ha, più ne metta. Non è mia intenzione sciorinare dati e numeri che sono facilmente consultabili sui diversi siti istituzionali, ma tentare di allargare lo sguardo.

 

Il navigator è la figura prevista dal Reddito di Cittadinanza e il suo compito è accompagnare i percettori in questo percorso che non si può ridurre alla semplice ricerca attiva del lavoro. Il Reddito è stato volutamente chiamato di Cittadinanza, non di inserimento lavorativo: dovrebbe avere una funzione ben più importante della semplice ricollocazione dei percettori, perché la parola cittadinanza ha un ampio significato. La maggior parte dei beneficiari non si compone di utenti momentaneamente senza lavoro, ma da persone con vite travagliate alle spalle, caratterizzate da lunga disoccupazione, piccoli lavori saltuari, scarsa conoscenza informatica e bassa scolarizzazione. Sono persone che nella loro vita hanno affrontato non soltanto momentanee difficoltà ma lunghi periodi di emarginazione, dovuti ai più svariati motivi tanto personali quanto professionali. Queste fasce vengono dimenticate ed emarginate troppo spesso. Quello che li contraddistingue davvero, quindi, non è la sola mancanza di un lavoro stabile ma la disillusione, lo scoraggiamento, la difficoltà a rimettersi in gioco, la diffidenza verso il prossimo. Se non si abbatte il muro che li separa dal resto della società, non c’è offerta di lavoro che tenga. Ed è qua che entra in gioco il ruolo del navigator: al di là della babele burocratica che si cela dietro il Reddito di Cittadinanza, il suo ruolo è quello di riuscire a fare breccia nella vita di queste persone. Si dirà che ci sono gli assistenti sociali per questo, ma essi non solo non hanno le risorse per occuparsi di una platea così ampia, ma è perfino desiderabile che si concentrino sulle situazioni di maggior disagio. Ad una significativa parte dei percettori serve un orientamento che non si riduca alla somministrazione di un corso di formazione, ma che consti della capacità maieutica di accompagnarli verso un graduale reinserimento nell’alveo della società. Un orientamento per il quale non sono sufficienti gli sporadici contatti canonici previsti dai flussi lavorativi, e che necessita, invece, di passaggi ben definiti: costruire una relazione sana con l’utente, creare fiducia nel rispetto dei reciproci ruoli, facilitare la scoperta autonoma delle proprie capacità e competenze in un ambiente di apertura e garantendo la riservatezza. La conseguenza naturale di un iter siffatto è la naturale propensione ad attivarsi nella ricerca di un nuovo impiego.

 

Cerchiamo allora di rispondere alla più classica delle domande che mi viene rivolta: quante persone hanno trovato lavoro grazie a voi navigator? Una, nessuna e centomila, risponderebbe Pirandello! Come appena illustrato, il percorso da costruire con il percettore è variabile, lungo e complesso: la sua finalità non consiste nella sola costruzione di un profilo spendibile sul mercato del lavoro (attività di per sé già gravosa), ma anche nel rendere l’utente autonomo all’interno di quello stesso mercato. Quando il beneficiario del Reddito di Cittadinanza trova un impiego rispondendo personalmente ad un annuncio, e senza previa segnalazione del navigator, siamo davvero certi che i servizi da esso offerti siano stati inutili? Che tutte le nozioni, gli sforzi, le competenze impiegate acquisiscano valore solo se è un navigator a segnalare l’opportunità occupazionale? Tanto più se si considera la frequente inerzia e i pochi strumenti della platea che siamo soliti incontrare, forse è esattamente il contrario.

 

Di fronte a tale panorama, possiamo davvero credere che le Agenzie per il Lavoro private possano servire questo tipo di utenza? Che siano disposte, data la natura privatistica e dunque orientata al profitto, ad impiegare tempo e risorse preziose per trovare, magari, un piccolo impiego precario ad un beneficiario di Reddito di Cittadinanza? Permettetemi di dubitarne. Gli stessi Centri per l’Impiego non hanno né le risorse né le professionalità adeguate da dedicare a questa utenza, e sono oberati dalle pratiche per l’erogazione di prestazioni altrettanto importanti (Naspi, Dis-coll…).

 

Analizziamo allora i due problemi principali che impattano sul lavoro dei navigator ma che non concernono direttamente la misura del Reddito di Cittadinanza: da un lato tutte le difficoltà, e credo che il Covid lo abbia dimostrato ampiamente, di una reale sinergia tra lo Stato e gli enti locali, compreso il mancato dialogo tra le piattaforme informatiche coinvolte; dall’altro la platea di beneficiari che abbiamo tratteggiato. Queste due variabili sono strutturali al sistema Italia: oggi coinvolgono il Reddito di Cittadinanza come ieri coinvolgevano il Rei, e coinvolgeranno domani qualsiasi altra Politica Attiva per il Lavoro che si vorrà mettere in campo. In queste condizioni il compito dei navigator è diventato un ginepraio di ostacoli burocratici, piccole gelosie, mancati decreti attuativi e, infine, il Covid. I navigator hanno infatti firmato il loro contratto a fine luglio 2019 e hanno concluso la loro formazione tra fine ottobre e novembre, a seconda delle realtà territoriali. Il tempo di entrare nei Centri per l’impiego e a febbraio è arrivata la pandemia. Abbiamo continuato a lavorare in smart working durante tutto il periodo ma, ovviamente, le attività sono diventate molto più difficili del previsto. La maggior parte dei percettori del Reddito ha infatti lavorato nel settore della ristorazione, delle pulizie e dell’edilizia. Se quest’ultima sta ripartendo, altrettanto non si può dire degli altri due settori (anche se il settore delle pulizie con le sanificazioni sta mostrando un certo dinamismo).

 

Questo è, per sommi capi, il quadro generale che troppo spesso viene dimenticato e all’interno del quale devono essere letti i dati forniti da Anpal Servizi sui navigator. Proprio a fronte della difficoltà di far emergere questo contesto, alcuni/e di noi hanno deciso di creare un’associazione: A.N.NA. (Associazione Nazionale Navigator), che non ha alcuna pretesa di essere un sindacato quanto semmai di essergli complementare. Essendo collaboratori (e non dipendenti) e non avendo una sede fisica comune, sentivamo il bisogno di un luogo di confronto che potesse aiutarci a costruire un dialogo con tutti gli attori coinvolti. Non tanto per sedere al tavolo delle trattative, che è prerogativa del sindacato (cui molti/e di noi, tra l’altro, sono iscritti/e), bensì per condurre una battaglia culturale che sappia invertire la narrazione che finora ci è stata avversa. Qual è il peccato originale dei navigator? Essere laureati magistrali con un’età media di 35 anni e con un voto di laurea superiore al 107? Aver superato una selezione pubblica a cui hanno partecipato decine di migliaia di candidati? Riuscire ad avviare un percorso con i percettori e, negli ultimi mesi, anche un dialogo con le aziende, per offrire loro assistenza nella predisposizione dei piani occupazionali e nel reperimento delle vacancies? Il nostro contratto scade il 30 aprile 2021 e ad oggi nessun provvedimento normativo contempla la nostra proroga. La ministra Catalfo, ultimamente, ha mostrato aperture sull’eventualità di protrarre le nostre attività fino alla fine dell’anno. Tutti/e noi siamo interessati alla continuità lavorativa, sia chiaro, ma ci interessa altrettanto precisare che il rinnovo non dev’essere una “soluzione tampone” perché non si sono potenziati i Centri per l’Impiego come invece previsto, né il frutto dello sconcerto politico nel lasciare a casa 2700 lavoratori. Noi chiediamo che venga riconosciuta la nostra professione e la nostra professionalità; che venga finalmente considerato il valore aggiunto che siamo riusciti a dare in un settore storicamente sottofinanziato; che venga certificato che, senza di noi, la vasta platea di percettori del Reddito non potrà essere assorbita dalle strutture esistenti, neppure dopo il potenziamento dei Centri per l’Impiego a seguito delle 11600 assunzioni previste. Solo come diretta conseguenza di questi riconoscimenti riteniamo congruo ottenere una proroga dei nostri contratti, valorizzare i nostri profili (piuttosto rari nell’amministrazione pubblica) e pensare, alla luce delle riforme che il Governo vuole adottare, ad un nostro impiego anche in nuovi progetti. Non fare ciò sarebbe l’abdicazione dello Stato che ha investito risorse pubbliche per reclutarci e formarci. Si dica chiaramente se il nostro operato può essere considerato marginale, quando uno Stato ritiene sua funzione primaria l’investire per il superamento delle diseguaglianze sociali. Se la risposta, come auspico, è negativa, mi domando: ha senso privarsi delle competenze di 2700 professionisti, tanto necessari in questa fase di emergenza, quanto aperti ad un ampliamento di compiti e ruoli?

 

Antonio Lenzi
Socio fondatore A.N.NA. (Associazione Nazionale Navigator)

 

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