Linee guida INPS per i dipendenti del privato su esenzione dalle fasce di reperibilità in malattia

I lavoratori in malattia, come è noto, devono restare reperibili nel proprio domicilio per la visita medico-legale di verifica da parte dell’INPS del loro stato di salute. Per i malati ed invalidi la cui condizione sia già certificata, è stata prevista da diverse normative l’esenzione da tale obbligo di reperibilità. Il 7 giugno scorso, l’INPS ha emanato la più recente circolare n. 95 che specifica nel dettaglio i termini di esenzione dalle fasce orarie di reperibilità dei lavoratori privati, affetti da malattie gravi o con invalidità civile superiore al 67%.

 

Il documento INPS segna un importante passo nell’applicazione della disciplina, modificata recentemente con i decreti attuativi del Jobs Act[1], poiché fornisce chiarimenti sui requisiti che giustificano l’esenzione dall’obbligo di reperibilità, per i lavoratori dipendenti del settore privato, la cui assenza sia connessa con patologie gravi che richiedono terapie salvavita, comprovate da idonea documentazione della struttura sanitaria, oppure con stati patologici connessi a situazioni di invalidità riconosciuta in misura pari o superiore al 67%.

 

La circolare delinea specificatamente il ruolo centrale del medico di famiglia il quale, accertate le condizioni del malato, nel compilare ed inviare per via telematica all’INPS e al datore di lavoro il certificato di malattia dovrà, ove ne ricorrano le condizioni, barrare la casella “terapie salvavita” ovvero “invalidità”, per evitare che il malato sia sottoposto a visita medico legale in quanto non necessaria.

 

L’INPS precisa che la circolare 95 si riferisce esclusivamente ai lavoratori subordinati appartenenti al settore privato (in stretta e corretta attuazione di quanto previsto nella normativa di rango legislativo e nei decreti ministeriali) e che, quindi, non riguarda i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS.

 

Questa esplicita esclusione, che rispetta la normativa applicabile dall’ente previdenziale, fa riemergere con risalto l’ingiusta disparità di trattamento riservata ai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, già segnalata da più parti in passato, e da ultimo all’indomani della emanazione dei decreti attuativi del Jobs Act.

 

I lavoratori autonomi, ai quali è riconosciuta una minima indennità di malattia, rimangono costretti a casa per essere sempre reperibili in caso di visite fiscali per l’accertamento della malattia. È necessario ed urgente che venga esteso anche a questi lavoratori, nei casi analoghi a quelli previsti dalla circolare INPS, il diritto fondamentale alla “libertà di circolazione in malattia”.

 

Le chiare indicazioni sulle modalità applicative dell’esenzione dalla reperibilità contenute nel provvedimento INPS, d’ora in poi, potranno, invece, essere un punto di riferimento anche per i lavoratori pubblici, il cui comparto è stato il primo ad essere esentato dalle fasce di reperibilità con il DPCM n. 206 del 2009 emanato su sollecitazione della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (F.A.V.O.).

 

Nelle linee guida, allegate alla circolare INPS 95/2016 (all. 2) ed elaborate di concerto con il Ministero della Salute ed il Ministero del Lavoro, l’Istituto previdenziale entra anche nel merito della definizione di “terapie salvavita” proponendo un innovativo ed interessante distinguo tra terapie vitali e salvavita, ove alle prime sono riferiti quei trattamenti terapeutici la cui regolare assunzione, anche nelle cronicità, è finalizzata a prevenire o ad evitare il peggioramento dello stato di salute e spesso non comporta incapacità al lavoro; mentre le terapie salvavita sono definite come “cure indispensabili a tenere in vita” caratterizzate dall’essere trattamenti che pongono rimedio a potenziali effetti letali connessi ad una patologia in atto, ovvero che consistano in interventi immediati nella fase acuta di malattia, per salvare la persona dalla morte.

 

La distinzione tra terapie salvavita e terapie vitali è un tema “scottante” per le non semplici ricadute applicative in campo giuslavoristico. Molteplici diritti sono connessi al riconoscimento o meno di una terapia come salvavita.

 

Accade non di rado che lavoratori affetti da malattie gravi in trattamento terapeutico, si rivolgano alle associazioni di volontariato che si occupano delle rispettive patologie, o ai sindacati, per richiedere chiarimenti o per essere tutelati in ordine a dinieghi nell’attribuzione del connotato di  terapie salvavita che giustifica le assenze sul lavoro.

 

In assenza di riferimenti normativi chiari ed inequivocabili, non è facile comprendere che alcune terapie, pur se necessarie ad evitare la ricomparsa o progressione di una grave malattia, come ad esempio quella oncologica, potrebbero non rivestire il connotato di “salvavita” ai fini medico-legali o giuslavoristici.

 

Il dibattito sulle terapie salvavita è aperto, e saranno utili approfondimenti e confronti tra tutti gli addetti ai lavori (medici legali, medici generalisti e specialisti delle diverse patologie, organizzazioni sindacali ed associazioni dei malati, giuslavoristi) per giungere ad una definizione condivisa.

 

L’allegato 2 alla circolare 95 dell’INPS, sviluppato il tema delle terapie salvavita, entra poi nel dettaglio e specifica la lista di riferimento per individuare quali situazioni patologiche comportano il diritto all’esonero dalle fasce di reperibilità.

 

Tra queste, per quanto riguarda specificatamente i malati di cancro, le linee guida dell’Istituto precisano che possono essere esentati dalle fasce di reperibilità i lavoratori affetti da “neoplasie maligne in trattamento: chirurgico e neoadiuvante, chemioterapico antiblastico e/o loro complicanze, radioterapico”.

 

La sussistenza dei requisiti per l’esenzione dalla reperibilità in malattia rimane comunque soggetta a possibili verifiche da parte dell’INPS che ha potere di svolgere azioni di controllo, sia autonomamente sia su richiesta del datore di lavoro, al fine di accertare fatti e situazioni che comportano il verificarsi o meno del rischio assicurativo, presupposto della prestazione.

 

Pertanto, pur venendo meno, nelle fattispecie oggetto della norma, l’onere della reperibilità alla visita medica di controllo, posto a carico del lavoratore nell’ambito delle fasce orarie stabilite dalla legge, rimane confermata la possibilità per l’INPS di effettuare comunque controlli, sulla correttezza formale e sostanziale della certificazione e sulla congruità prognostica ivi espressa.

 

Le ricadute positive delle linee guida INPS potranno essere molteplici: semplificazione delle procedure per i medici di medicina generale nella compilazione del certificato medico telematico di malattia, riduzione del rischio di abusi in mancanza di diritto all’esenzione, eliminazione di visite di controllo inappropriate e, soprattutto, recuperata serenità dei lavoratori affetti da gravi patologie che non si sentiranno più costretti a dover rimanere chiusi in casa ad attendere la visita di controllo del medico legale.

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[1] Decreto 11 gennaio 2016 interministeriale Welfare-Sanità “Integrazioni e modificazioni al decreto 15 luglio 1986, concernente le visite mediche di controllo dei lavoratori da parte dell’Istituto nazionale della previdenza sociale.” (GU Serie Generale n.16 del 21-1-2016) di attuazione dell’art. 25 del D. Lgs.14 settembre 2015, n. 151 (Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 – GU Serie Generale n.221 del 23-9-2015 entrato in vigore dal 24/09/2015)

 

 

Elisabetta Iannelli                                                                                                                                                         SegretarioGenerale Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – F.A.V.O.

 

@EIannelli

 

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