L’interpretazione della Corte di Giustizia sulla qualificazione del ramo di azienda induce ad una parziale riscrittura dell’art. 2112 del c.c.

Con la sentenza del 6 marzo 2014, C-458/12 – la Corte europea di Giustizia ha affrontato il tema della conformità, alla Direttiva comunitaria n. 2001/23/CE della disposizione, contenuta nell’art. 2112 c.c., al 5 comma, della cessione di ramo d’azienda inteso come funzionalmente autonomo di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.

 

La domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 1, par. 1, lett. a) e b) della Direttiva suindicata, veniva sollevata alla Corte nell’ambito di una controversia che opponeva ben settantaquattro ricorrenti ad una nota azienda italiana (X), in qualità di cedente, insieme con altra società controllata dello stesso gruppo (Y) a cui, a seguito di un’opera di riorganizzazione aziendale, veniva trasferito un ramo di azienda denominato “IT Operations”, ed aveva ad oggetto  la qualificazione del suddetto conferimento come trasferimento di parte di azienda.

 

I ricorrenti, infatti, ritenendo che tale conferimento non potesse essere qualificato come trasferimento di ramo di parte di azienda, ai sensi del comma 5 dell’art. 2112 del nostro codice civile, adivano il  Giudice del Lavoro italiano al fine di far constatare l’inefficacia nei loro confronti del suddetto conferimento e, di conseguenza, la prosecuzione del loro rapporto di lavoro con la società cedente X.

 

Nello specifico, essi sostenevano che il ramo IT Operations, prima del suo conferimento nel capitale della società Y non costituiva una suddivisione funzionalmente autonoma nell’azienda originaria X, poiché: a) la società cedente esercitava un potere preponderante sul cessionario; b) anche dopo il conferimento di ramo di azienda, la società Y continuava a realizzare una parte nettamente preponderante della sua attività per la società cedente X.

Ebbene, il Giudice del Lavoro di Trento, sospendendo il procedimento, sottoponeva alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: a) se per uno stato membro sia possibile qualificare come trasferimento di ramo azienda non solo parti preesistenti all’azienda ma anche quelle identificati tali dall’azienda al momento del trasferimento, ovvero qualora la parte di azienda oggetto del trasferimento non costituisca entità economica funzionalmente autonoma già preesistente al trasferimento, ma tanto da essere identificata come tale dal cedente e cessionario al momento del suo trasferimento; b) se per uno stato membro è possibile applicare il regime del trasferimento in tutti i casi in cui l’impresa cedente eserciti, a seguito dell’operazione, un intenso potere di supremazia nei confronti cessionaria consistente in uno stretto vincolo di committenza ed una commistione del rischio impresa.

 

Pronunciandosi sulla prima questione, la Corte di Giustizia dichiara che: « per stabilire se sussiste un trasferimento di impresa, secondo l’art. 1, par. 1 della Direttiva, il criterio decisivo costantemente assunto, è quello di accertare se l’entità economica organizzata conservi la sua identità dopo essere stata rilevata dal nuovo datore».

 

Da questa definizione, e soprattutto dall’uso del termine “conservi”, risulta evidente che l’entità economica in questione, ai fini dell’applicazione del regime sul trasferimento d’azienda, debba essere dotata di un’autonomia funzionale sufficiente, nel periodo antecedente il suo trasferimento, e con la conseguente previsione che se il Giudice del procedimento principale dovesse rilevare la mancanza nel ramo di tale autonomia funzionale “precedente” al trasferimento, dovrebbe dichiararne l’inefficacia e il ripristino dei rapporti di lavoro in capo alla società cedente.

 

Nonostante ciò, la Corte specifica che la Direttiva non deve essere letta nel senso di vietare ad uno Stato di prevedere, comunque, il mantenimento dei diritti dei lavoratori, anche nell’ipotesi in cui il ramo di azienda venga identificato come tale dal cedente e cessionario al momento del suo trasferimento (così recita anche l’art. 2112, al comma 5, come modificato dall’art. 32 del d.lgs. 276/2003), sulla base dell’assunto del considerando n. 3 della stessa Direttiva secondo cui esiste la necessità, comunque, di tutelare i lavoratori dinanzi al rischio di mutamento di imprenditore, mediante la previsione di opportune disposizioni.

 

Dunque, secondo le affermazioni della Corte di Giustizia, la semplice mancanza di autonomia funzionale dell’entità trasferita non può, costituire ostacolo a che uno Stato garantisca nel proprio ordinamento il mantenimento dei diritti dei lavoratori a causa del cambio di imprenditore.

 

Quanto alla seconda risposta, la Corte rileva che non risulta da alcuna disposizione della direttiva 2001/23 che il legislatore dell’Unione Europa abbia voluto che l’indipendenza del cessionario nei confronti del cedente costituisse un presupposto per l’applicazione della direttiva stessa.

Questo significa che la cessione dei rapporti di lavoro in situazioni come queste non sia contrario al diritto comunitario.

 

La sentenza in commento, a causa della portata endoprocessuale e dei suoi effetti retroattivi, propri di una pronuncia pregiudiziale interpretativa della Corte di Giustizia, sarà destinata ad avere ripercussioni forti sul contenzioso nazionale vertente sulla legittimità dei trasferimenti di rami di azienda che non siano dotati di quell’autonomia funzionale sufficiente nel periodo antecedente il suo trasferimento, magari, perché identificati come rami di azienda proprio al momento della cessione da parte del cedente e del cessionario.

Attualmente, infatti, il dibattito giurisprudenziale italiano sul tema della qualificazione del trasferimento di parte di azienda è molto vivace e controverso, soprattutto quando si tratta di doverne sostenere la legittimità in assenza di requisiti fondamentali, quali appunto, l’autonomia funzionale sufficiente preesistente al trasferimento stesso.

 

Pronunce giurisprudenziali molto recenti, non solo di merito, ma anche di Cassazione, testimoniano questa travagliata contrapposizione di vedute. Ad esempio, la sentenza n. 3235 emessa dal Tribunale di Milano in data 26 settembre 2013 (sulla cessione di ramo di azienda di una società del gruppo di Deutsche Bank) aderendo all’orientamento maggioritario creatosi nella Corte milanese, interpreta  letteralmente la nozione di trasferimento di ramo di azienda ex art 2112 c.c., così come modificato dall’art 32 d.lgs. n. 276/2003, ammettendo che il ramo di azienda possa essere “individuato dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento”.

 

Di segno opposto la sentenza n. 3653/2013, emessa sempre dal Tribunale di Milano, e a distanza di quasi un mese dalla precedente, che dichiara, invece, l’illegittimità della cessione di un ramo di azienda “smaterializzato”: secondo l’interpretazione di tale giudice, la società cedente nell’effettuare l’operazione non aveva soddisfatto il requisito dell’autonomia funzionale del ramo trasferito, in quanto cedente e cessionario avrebbero creato una struttura produttiva creata ad hoc stravolgendo così l’identità del ramo aziendale.

 

Se, dunque, la sentenza in oggetto, aprirà una breccia futura per un maggiore assestamento delle pronunce giurisprudenziali in ordine alla legittimità dei trasferimenti di rami di azienda anche in assenza di autonomia funzionale preesistente e perchè individuati come tali al momento della cessione, dall’altro, offre l’occasione per mettere in risalto le “carenze” presenti nell’art. 2112, del nostro codice civile, intitolato “mantenimento dei diritti dei lavoratori”.

 

In un’ottica semplificatoria, protesa allo snellimento dei contenziosi in atto, sarebbe utile procedere ad una riscrittura parziale dell’art. 2112 del c.c. attraverso l’aggiunta di un comma in cui, a completamento di questo processo di allineamento alle pronunce giurisprudenziali europee, si espliciti la definizione di entità economica organizzata funzionalmente autonoma.

 

Questo potrebbe aiutare a dirimere altri contenziosi ed evitare un nuovo pronunciamento della stessa Corte di Giustizia europea sul tema.

 

Immacolata Di Stani

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@i_stani

 

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