Il Ministero del lavoro, con una nota del 24 marzo 2015, opera una sintetica ricognizione normativa in merito alle criticità dei cc.dd. contratti pirata e del concetto di “maggiore rappresentatività comparata”.
La problematica del “sindacato comparativamente più rappresentativo”
Sono attualmente numerose le previsioni normative che contemplano l’espressione in oggetto, alcune delle quali menzionate nella nota ministeriale. Sul piano funzionale, la tecnica è utilizzata dal legislatore principalmente in due varianti, una nel modello di integrazione tra legge e contrattazione collettiva, che è stato denominato di “delega”, di “autorizzazione” di “delegificazione”, di “deroga”, e così via; il tratto strutturale del paradigma è dato dalla volontà legislativa di riservare uno spazio, più o meno ampio, alla contrattazione collettiva – anche di livello secondario – in materie altrimenti disciplinate da norme di rango primario. L’altra variante è adottata nel sistema di benefici e sussidi pubblici alle aziende, concordato a condizione che le stesse applichino i contratti collettivi stipulati dai sindacati in questione. È chiaro, per un verso, che la legge intende affidare una rilevante funzione para-normativa ad organizzazioni sindacali che presentino requisiti di affidabilità e rappresentatività e, per l’altro, che la concessione dei benefici è subordinata all’adempimento di un onere, l’applicazione di contratti collettivi “qualificati”. Dunque, lo scopo normativo è evidentemente quello di assegnare, in presenza di più contratti stipulati per un medesimo settore, gli effetti legali ad una contrattazione posta in essere da organizzazioni sindacali “affidabili”, dotate di un significativo seguito di iscritti o di consenso.
Come suggerisce la stessa denominazione, la figura del “sindacato comparativamente più rappresentativo” impone una selezione, mediante un confronto di rappresentatività, dei soggetti sindacali legittimati alla stipula del contratto collettivo cui la legge rinvia. Tuttavia, analogamente al caso della “maggiore rappresentatività”, anche per il concetto in questione la legge non specifica i criteri per l’individuazione dei contratti, o dei soggetti sindacali, legittimati a produrre gli effetti previsti. Di conseguenza, la giurisprudenza si è assunta il compito di chiarire la nozione, anche attraverso i noti criteri già utilizzati per il concetto di “maggiore rappresentatività” – consistenza del numero di iscritti, l’effettivo svolgimento di azione sindacale e di contrattazione, la presenza della sigla sindacale in più settori produttivi e più territori – , mentre in dottrina si registrano vari dibattiti sul tema.
Il carattere intrinsecamente selettivo della nozione è in grado di funzionare adeguatamente in costanza di unità di azione sindacale tra le grandi confederazioni, contribuendo al contrasto del fenomeno dei cc.dd. contratti pirata. Peraltro, il metodo diventa oltremodo problematico nel momento in cui, venuta meno l’unità sindacale, la comparazione si sviluppa all’interno delle stesse. Quando ciò si verifica, il contratto oggetto di rinvio legislativo potrebbe essere stipulato anche soltanto da alcuni dei sindacati richiamati, dando luogo allo schema dei cc.dd. contratti separati. Tale possibilità crea, secondo taluni settori dottrinali, un problema di compatibilità costituzionale con l’art. 39, comma 4, Cost., di tutte quelle norme che rinviano a contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
Una recente dottrina (P. Passalacqua, Il modello del sindacato comparativamente più rappresentativo nell’evoluzione delle relazioni sindacali, in DRI, 2014, n. 2, 378 ss.) ha proposto una “decodificazione” della formula normativa in esame utilizzando i parametri di rappresentatività sindacale adottati nell’ultima, feconda, stagione contrattuale confederale e, segnatamente, nel Protocollo del maggio 2013 e nel c.d. T.U. sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014.
La nota ministeriale
Nella nota, il Dicastero rammenta che il principio di libertà sindacale, di cui all’art. 39 Cost., non può comportare un’estesa applicazione, da parte del datore di lavoro, dei cc.dd. contratti pirata, contratti collettivi particolarmente favorevoli alle aziende in termini retributivi e normativi, stipulati con sindacati privi di adeguata rappresentatività. Per tale motivo, la legge ha introdotto il concetto di “maggiore rappresentatività comparata” che, tramite incentivi ed agevolazioni, indica ai datori di lavoro l’applicazione, tra più contratti della stessa categoria, di quelli stipulati dalle organizzazioni più rappresentative.
Il Ministero procede ad indicare i principali incentivi normativi diretti all’applicazione dei contratti menzionati. Tra questi, vi sono i benefici normativi e contributivi di cui alla legge 296/2006 (art. 1, comma 1175); la previsione di cui alla legge n. 389/89 (art. 1), come autenticamente interpretata dall’art. 2, comma 25 della legge n. 549/95, che impone comunque – indipendentemente dal contratto applicato – l’applicazione del minimo salariale stabilito dai contratti stipulati dalle organizzazioni più rappresentative ai fini del calcolo dell’obbligazione contributiva a carico dei datori. Inoltre, il Dicastero rammenta l’art. 7, comma 4 della legge n. 31/2008, che impone alle società cooperative l’obbligo di applicare ai propri soci lavoratori trattamenti economici complessivamente non inferiori a quelli previsti nei contratti stipulati dai soggetti rappresentativi. Il criterio della maggiore rappresentatività comparata rileva anche in tema di enti bilaterali, come previsto nell’art. 2 del d.lgs. n. 276/03 e nel d.lgs. n. 81/08, laddove è indicato ai datori di lavoro di rivolgersi unicamente agli organismi previsti, ai fini dello svolgimento della formazione in materia di sicurezza sul lavoro.
Il Ministero, infine, richiama due recenti discipline, a dimostrazione dell’attualità del criterio della comparazione tra i contratti applicabili. L’una si riferisce al d.lgs. n. 167/2011 sull’apprendistato, che all’art. 2 demanda la regolamentazione dell’istituto alla contrattazione posta in essere dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. L’altra riguarda il contratto a termine, ove il riformato art. 1 del d.lgs. n. 368/01 stabilisce il noto limite del 20% del personale in forza al 1° gennaio per il ricorso al contratto a tempo determinato, limite che può essere derogato solo dai contratti stipulati dagli attori sindacali più volte citati.
Dunque, nel documento ministeriale si può agevolmente cogliere una evidente esortazione ai datori di lavoro a non avvalersi di contratti “pirata”, i quali sembrano registrare un sensibile aumento negli ultimi tempi (cfr. P. Tomassetti, Arginare la piaga dei contratti pirata, in Boll. ADAPT, n. 24/2014).
L’esonero contributivo della legge 190/2014
Appare utile, infine, un cenno alla recente legge 190/2014 (legge di stabilità finanziaria), la quale, come noto, ha previsto incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato attraverso un esonero contributivo triennale per le aziende che si attivino in tal senso (cfr. A. Asnaghi, P. Rausei e M. Tiraboschi, Il contratto a tutele crescenti nel prisma delle convenienze e dei costi d’impresa, in I decreti attuativi del Jobs Act: prima lettura e interpretazioni a cura di F. Carinci e M. Tiraboschi, ADAPT LABOUR STUDIES e-Book series n. 37/2015). Sebbene dal testo di legge non risulti espressamente, l’INPS ha chiarito che l’esonero è subordinato al rispetto delle condizioni fissate dall’art. 1, commi 1175 e 1176, della legge n. 296/2006, da parte del datore di lavoro che assume nuovi prestatori (Circolare n. 17 del 29 gennaio 2015). Tra queste condizioni vi è l’applicazione degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Posto ciò, emerge un dubbio relativamente alla contrattazione di prossimità, non menzionata nella circolare dell’istituto previdenziale. Esso consiste nella questione se, oltre ovviamente ai “contratti pirata”, anche la stipulazione di contratti di prossimità possa causare la preclusione all’accesso all’esonero contributivo – ovvero l’estinzione del relativo diritto –, e più in generale a tutti gli altri incentivi previsti dalla legge, nell’ipotesi in cui fossero previsti – come pure possibile, ai sensi dell’art. 8, comma 2-bis, della legge 148/2011 – trattamenti inferiori rispetto al CCNL stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
La questione è seria e meriterebbe un adeguato approfondimento, ma in prima approssimazione può dirsi che verso la soluzione negativa sembrano condurre un elemento formale ed uno sostanziale. Il primo deriva dall’appena citata, espressa, autorizzazione legislativa alla deroga dei CCNL di cui all’art. 8, comma 2 bis; ritenere il contrario colliderebbe con il principio di non contraddizione dell’ordinamento. In aggiunta, si può notare che la legge 190 cit. non esclude l’intervento della contrattazione di prossimità. Naturalmente, tutt’altro discorso è quello relativo alla compatibilità costituzionale del disposto citato con l’art. 39, seconda parte Cost., non affrontabile in questa sede.
L’elemento sostanziale si ricava non solo dalla qualità soggettiva dei soggetti stipulanti, che anche nel caso della contrattazione di prossimità sono previsti nelle organizzazioni comparativamente più rappresentative, ovvero nelle relative rappresentanze aziendali. Invero, nell’art. 8 comma 1, cit. è richiesto – ai fini dell’efficacia erga omnes nel contesto di riferimento – anche un «criterio maggioritario relativo alle… rappresentanze sindacali» stipulanti i contratti di prossimità, il quale può ritenersi, per quanto genericamente formulato, un dato idoneo ad implementare, in ambito decentrato, il principio di democrazia e affidabilità sindacale sotteso al concetto normativo – peraltro anch’esso indeterminato, come osservato sopra – di sindacati comparativamente più rappresentativi. Tali considerazioni sembrano in linea con quanto recentemente affermato dal Ministero del lavoro, nell’interpello n. 8 dello scorso 24 marzo, laddove è stato individuato un canone generale di legittimazione dei contratti collettivi, quali necessari antecedenti dei vari benefici normativi, promananti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Ne consegue che, stando alle vigenti norme, la stipula di contratti di prossimità “peggiorativi” dovrebbe comunque consentire all’impresa di accedere ai benefici della legge n. 190/14, oltre che di altre leggi. Nondimeno, sul piano pratico, in assenza di chiarimenti ufficiali delle amministrazioni competenti, non appare consigliabile alle aziende, che intendano usufruire dei benefici normativi, ricorrere alla contrattazione di prossimità nel senso descritto.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@carminesantoro