Ieri Milano ha vissuto un inutile mercoledì nero. Nella settimana della più importante manifestazione fieristica che attira in Italia migliaia di visitatori da tutti i continenti i sindacati hanno indetto uno sciopero del trasporto pubblico urbano che ha trascinato nel caos la città e ha lasciato senza parole gli ospiti stranieri. Il volantino con il quale Cgil-Cisl-Uil hanno argomentato l’astensione è quantomeno confuso. Parla del pericolo della «messa in discussione della qualità del servizio Atm» e accusa il Comune di Milano di voler avviare «un percorso che potrà portare allo spezzettamento del sistema della mobilità». Percorso. Potrà. Non c’era niente, dunque, di già deciso e comunque di così urgente da giustificare lo sciopero durante la design week. C’era tutto il tempo per il sindacato per poter discutere con le controparti — anche a muso duro — del futuro dell’Atm, delle scelte del Comune di indire o meno una gara europea e delle modalità migliori da adottare. Ma evidentemente il disegno era un altro: utilizzare il Salone del Mobile per arrecare il massimo del danno, sfruttare al meglio la rendita di posizione sindacale e regolare i conti con il sindaco Beppe Sala. Come sempre è capitato, anche nei tanti venerdì neri del trasporto pubblico locale, le ragioni degli utenti, gli interessi della città, l’immagine internazionale di Milano, per le confederazioni non contano nulla. Sono meri effetti collaterali.
Gli utenti servono, come fossero degli ostaggi, ad aumentare il potere di pressione e infatti nella tarda serata è stato raggiunto un accordo di massima con il Comune solo di fronte alla minaccia di ulteriori e pesantissime 24 ore di sciopero…
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