Lo smart working un’opportunità per la modernizzazione del lavoro*

Interventi ADAPT, Mercato del lavoro

| di Francesco Seghezzi, Michele Tiraboschi

Bollettino ADAPT 24 febbraio  2025 n. 8
 
Il perentorio ordine esecutivo con cui Donald Trump ha stabilito di eliminare il lavoro da remoto per i dipendenti pubblici statunitensi ha riacceso il dibattito su un tema che, negli ultimi anni, ha occupato molto la discussione sul lavoro in Italia e non solo. Terminata l’emergenza pandemica, che ha contribuito a demolire non pochi tabù e resistenze culturali rispetto al lavoro da casa, molte imprese e istituzioni hanno mantenuto il lavoro a distanza come soluzione strutturale. La sostenibilità nel lungo periodo di questo modo di lavorare resta comunque altamente controversa e periodicamente se ne discute a partire dagli annunci di passi indietro che diverse grandi aziende stanno facendo. Anche in Italia, il fenomeno ha mostrato taluni limiti e criticità, tanto da essere sempre punto di accesa divisione tra fazioni contrapposte, sia tra i lavoratori che, soprattutto tra le imprese e il passo indietro americano potrebbe diventare lasciapassare per molte aziende che da tempo stanno pensando a questa soluzione. Il lavoro da remoto, nelle sue diverse declinazioni, avrebbe dovuto rappresentare un vero e proprio cambio di paradigma per il mondo del lavoro, una rivoluzione capace di conciliare produttività e benessere, svincolando il lavoratore dai rigidi orari d’ufficio e permettendogli una gestione più autonoma del proprio tempo. Tuttavia, senza un ripensamento dei modelli organizzativi e dei parametri di misurazione della prestazione lavorativa, il lavoro a distanza si è spesso trasformato in un ibrido inefficace, dove il controllo si è spostato dallo sguardo fisico dei supervisori in presenza ai sistemi di monitoraggio digitale, aumentando il senso di alienazione e riducendo quello di autonomia.
 
Siamo largamente rimasti fermi alla fase pandemica, dimenticando che il vero lavoro agile non è il semplice trasferimento delle attività dall’ufficio a casa, ma una ridefinizione dei processi, degli obiettivi e delle responsabilità. In un contesto economico incerto e stante il modello organizzativo attuale, molte aziende vedono nella sede fisica un luogo di controllo e coordinamento indispensabile per garantire l’efficacia del lavoro e la costruzione di una identità aziendale. Senza una revisione strutturale dell’organizzazione aziendale, lo smart working viene percepito come una riduzione dell’impegno lavorativo, piuttosto che come un’opportunità per aumentare l’efficienza. Colpisce che questi discorsi, queste obiezioni e questi limiti appaiano essere gli stessi di cui si discuteva ormai cinque anni fa. A conferma che le innovazioni tecnologiche, che pur sono state introdotte in modo massiccio, complice il grande mercato che si è generato a partire dalla pandemia, sono solo un elemento, e sicuramente quello meno determinante del cambiamento del lavoro in una società post-industriale.
 
In questo contesto, un ruolo fondamentale dovrebbe essere svolto, a livello aziendale soprattutto, dagli attori delle relazioni industriali. Essi potrebbero contribuire a mediare tra le esigenze delle imprese e quelle dei lavoratori, favorendo soluzioni condivise che rendano il lavoro agile realmente efficace e utile sia per l’impresa che per i lavoratori. La contrattazione collettiva potrebbe essere un mezzo per definire regole chiare su obiettivi, strumenti e modalità di verifica delle performance, superando la diffidenza di molti datori di lavoro e garantendo al contempo i diritti dei lavoratori. Invece una concezione del lavoro agile come un generico diritto legato al luogo della prestazione di lavoro, senza un’ampia riflessione sulle sfide culturali e organizzative legate alla gestione del tempo di lavoro e misurazione dei risultati, e avente nel tempo la sua dimensione principale, non ha aiutato.
 
Un esempio è lo scarso raccordo tra partecipazione organizzativa e lavoro da remoto. Coinvolgere collettivamente (e non solo con intese individuali) i lavoratori nella definizione delle modalità di lavoro può favorire un maggiore senso di responsabilità e un miglioramento della loro produttività. La co-progettazione delle strategie di smart working, attraverso il dialogo tra management e dipendenti, può contribuire a costruire un modello che non si limiti alla semplice concessione della tanto agognata flessibilità rispetto al luogo di esecuzione del lavoro, ma che favorisca un’effettiva autonomia operativa e una maggiore efficienza. Ma tutto questo pare assente. L’Italia ha ancora l’opportunità di costruire un modello virtuoso, ma solo se saprà superare la logica emergenziale affrontando il nodo irrisolto della modernizzazione del lavoro. Il futuro del lavoro non si gioca tra casa e ufficio, ma nella capacità di ripensare un intero ordine sociale che sta necessariamente al di sopra dei fattori puramente tecnologici e dei parametri economici con cui da sempre inquadriamo il lavoro come fenomeno produttivo e non come la vita delle persone e il cuore pulsante di una società attiva.
 
Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è X-square-white-2-2.png@francescoseghezz
 
Michele Tiraboschi
Professore Ordinario di diritto del lavoro

Università di Modena e Reggio Emilia
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è X-square-white-2-2.png@MicheTiraboschi
 
*pubblicato anche su Avvenire, 23 febbraio 2025