Lo strano caso dei “renitenti al vaccino” in uniforme: quali soluzioni per il Corpo di Polizia penitenziaria

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Bollettino ADAPT 15 febbraio 2021, n. 6

 

La recrudescenza pandemica, unitamente alla comparsa di alcune pericolose varianti del COVID-19, impone una doverosa riflessione sulle ricadute del piano vaccinale nel contesto penitenziario, specie a seguito dell’inclusione del personale penitenziario e dell’utenza detenuta nella seconda fase del piano.

A ben guardare, quindi, hanno sortito efficacia le pressioni esercitate dai sindacati del Corpo di Polizia penitenziaria, dai Garanti dei detenuti e dall’Unione Camere Penali, sulle istituzioni, affinché si addivenisse alla modifica dell’originario piano vaccinale, in ragione della naturale equiparazione tra istituti penitenziari e RSSA.

Ciò non toglie, però, che si possa porre anche negli istituti di pena il problema dei c.d. “renitenti al vaccino” e quindi dei possibili effetti sul rapporto di servizio o di lavoro della scelta del dipendente di non sottoporsi all’inoculazione, in assenza di obbligo vaccinale imposto per legge (v. Benincasa G., Piglialarmi G., Covid-19 e obbligo giuridico di vaccinazione per il dipendente, in Working Paper Salus ADAPT n. 1/2021).

Il dibattito scientifico sull’argomento non ha escluso a priori l’ipotesi del licenziamento del dipendente che non aderisca alla richiesta datoriale (cfr. Lai M., Obbligo di vaccinazione e rapporto di lavoro: prime riflessioni, in Bollettino ADAPT n. 3/2021), ovvero modalità alternative di gestione del lavoratore che decida di non sottoporsi a vaccinazione, almeno fino a quando il legislatore intenderà mantenere una posizione soft rispetto alla questione vaccinale, evitando soluzioni hard.

 

Sul punto, la dottrina lavoristica appare divisa su due posizioni (cfr. Basilisco M., Il vaccino anti Covid, scomoda novità per gli equilibri del rapporto di lavoro subordinato. Intervista ad Arturo Maresca, Roberto Riverso, Paolo Sordi e Lorenzo Zopoli, in giustiziainsieme.it.) e cioè, coloro i quali desumono un obbligo (ma sarebbe forse più ortodosso parlare di onere) (De Matteis A., Art. 32 della Costituzione: diritti e doveri in tema di vaccinazione anti-Covid, in Gruppo delle Conversazioni sul lavoro del Convento di San Cerbone, 2 febbraio 2021, spec. 5 ss.) di vaccinazione a carico del dipendente, evocando gli artt. 2087 c.c., 20 e 279, d.lgs. n. 81/2008, dal cui inadempimento potrebbe derivare il licenziamento del lavoratore “renitente al vaccino” (v. Ichino P., Il dovere di vaccinarsi di fonte contrattuale, in Lavoro Diritti Europa, 2021, n. 1, in corso di pubblicazione; Riverso R., L’obbligo di vaccino anti Covid nel rapporto di lavoro tra principio di prevenzione e principio di solidarietà, in Quest. giust., 18 gennaio 2021; Guariniello R., Covid-19: l’azienda può obbligare i lavoratori a vaccinarsi?, in ipsoa.it, 28 dicembre 2020; Poso V.A., Dibattito istantaneo su vaccini anti-covid e rapporto di lavoro, in Labor on-line, 27 gennaio 2021), cui si contrappone chi evoca l’art. 32, comma 2, Cost., rammentando che in tal modo si addiverrebbe ad un trattamento sanitario obbligatorio (Mazzotta O., Vaccino anti-Covid: può il datore di lavoro imporlo e, in caso di rifiuto, licenziare il lavoratore?, in Lavoro Diritti Europam 2021, n. 1, in corso di pubblicazione; Perulli A., Dibattito istantaneo su vaccini anti-covid e rapporto di lavoro, in Labor on line, 27 gennaio 2021). Entrambi gli orientamenti, però, in modo unanime ritengono che «legittimamente un ospedale o una casa di cura privata possono pretendere la vaccinazione da medici ed infermieri, anche perché sarebbero esposti a responsabilità risarcitoria nei confronti di chi, ricoverato per curarsi, abbia contratto il virus in conseguenza di un comportamento inadempiente di un dipendente» (Ichino P., Mazzotta O., Vaccino anti-Covid: può il datore di lavoro imporlo e, in caso di rifiuto, licenziare il lavoratore?, in quotidianogiuridico.it, 15 gennaio 2021. In critica a tale posizione v. Tarzia A., Covid-19: il punto sull’obbligo vaccinale nel diritto del lavoro, in Boll. Adapt, 11 gennaio 2021, n. 1, nonché De Matteis A., Op. cit., spec. 9).

 

La natura di istituzione totale, tanto dell’ospedale, quanto del carcere, e la medesima posizione di garanzia sull’utenza assistita (sia pazienti, sia detenuti) gravante su entrambe le amministrazioni in parola, pone l’interrogativo sulla sorte del rapporto di lavoro (o di servizio) di chi presta attività lavorativa in carcere, ove non intenda vaccinarsi.

Invero, prima di affrontare questo dilemma, sarebbe opportuno che anche l’Amministrazione penitenziaria, come suggerisce in generale la dottrina a margine degli artt. 28 e 29, d.lgs. n. 81/2008 (Riverso R., Op. cit., spec. 15), solleciti l’aggiornamento dei DVR degli Istituti penitenziari in una prospettiva di neutralizzazione del pericolo, eliminando i rischi sopprimibili e riducendo quelli ineliminabili, tenendo conto quindi anche della presenza dei vaccini, che potrebbero costituire strumento di riduzione/eliminazione del fattore di rischio professionale rappresentato dal COVID-19, specie se l’adozione sia prescritta dal medico competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria, con regolamentazione dell’organizzazione della sicurezza in base alla necessità della stessa vaccinazione.

 

Di conseguenza, il vaccino può rappresentare una idonea misura di prevenzione e protezione per l’accesso e la permanenza sui luoghi di lavoro, dalla cui mancata sottoposizione potrebbe discendere l’applicazione della tesi della licenziabilità del lavoratore che non vi si sottoponga, specie per il personale sanitario, ovvero per quello del comparto funzioni centrali in servizio negli istituti di pena, in quanto dipendenti pubblici contrattualizzati, attese le difficoltà concernenti l’individuazione di analoghi strumenti giuridici per gli appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria, ancora in regime di diritto pubblico, ma assoggettati allo stesso principio solidaristico, evocato dalla dottrina, secondo cui «il lavoratore non può, in nome del proprio diritto alla libertà di cura, decidere di mettere a repentaglio l’incolumità altrui» (v. Riverso R., Op. cit., spec. 7 ss.).

 

Con riferimento al personale di Polizia penitenziaria, dal punto di vista costituzionale, oltre all’art. 32 Cost., possono evocarsi anche gli artt. 54 e 97, comma 1, Cost., nella parte in cui impongono ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche il dovere di adempierle con disciplina ed onore ed alle pubbliche amministrazioni di organizzare l’attività in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

A livello internazionale non vengono in soccorso le Regole Penitenziarie Europee, pur aggiornate in pieno periodo pandemico (1° luglio 2020), che non recano novità in materia di salute e garanzie igienico-sanitarie, salvo a non voler evocare la regola n. 52.5, secondo cui «National health and safety laws shall be observed in prisons», quale elemento di collegamento alla tutela dell’igiene e sicurezza intramuraria secondo standard non dissimili da quelli esterni.

 

Partendo dalle disposizioni innanzi richiamate, giova ricordare che al personale di Polizia penitenziaria non si applica l’istituto del licenziamento, ma quello diverso della destituzione dal servizio, regolata rispettivamente dagli artt. 84, T.U. n. 3/1957, 6 e 24, comma 5, d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449, essendo abbastanza arduo sostenere, nel caso di specie, la possibilità di una sua applicazione senza una motivazione congrua quale possa essere la mancata adesione al previsto piano di vaccinazione, salvo a non ricondurre (con non poche forzature) la condotta del “renitente al vaccino” alla violazione del dovere previsto dall’art. 13, comma 4, T.U. n. 3/1957, applicabile anche al personale di Polizia penitenziaria, ivi prevedendosi che «Nei rapporti con il pubblico, il comportamento dell’impiegato deve essere tale da stabilire completa fiducia e sincera collaborazione tra i cittadini e l’Amministrazione».

 

Orbene, in quest’ultima evenienza la violazione del dovere in parola potrebbe essere astrattamente riconducibile ad una generale mancanza di onore o senso morale, a meno che non si voglia attingere in modo altrettanto forzato all’istituto della dispensa dal servizio per incapacità, ex art. 129 T.U. n. 3/1957, non rinvenendosi altre fattispecie specifiche che possano meglio attagliarsi alla questione, ferma restando l’ipotesi di applicazione dell’obbligo del repechage in mansioni che consentano di contemperare il diritto alla salute (e quindi la libertà di non vaccinarsi) alla esigibilità di una prestazione di interesse per l’Amministrazione penitenziaria.

 

A ben guardare, però, l’accesso a soluzioni gestionali conservative, quale quella innanzi ipotizzata, potrebbe alimentare derive no-vax esponenziali da parte del personale di Polizia penitenziaria con oneri organizzativi insostenibili rispetto alle dimensioni degli istituti penitenziari, nel senso che un numero ridotto di eventuali renitenti al vaccino “in uniforme” potrebbe addirittura giungere a compromettere l’ordine e la sicurezza delle strutture carcerarie più piccole, essendo magari più sostenibile per quelle più grandi.

Sul punto giova richiamare quanto avvenuto presso alcune strutture penitenziarie con riferimento al personale in servizio presso i Nuclei Traduzioni e Piantonamenti, sistematicamente sottoposto a tampone antigenico rapido per l’accesso alle strutture ospedaliere, con validità dello screening per 72 ore dalla sua effettuazione.

Orbene, si è verificato che alcune unità di Polizia penitenziaria abbiano rifiutato la sottoposizione al tampone, determinando non poche difficoltà organizzative e operative nella gestione di servizi di traduzione (anche urgenti) per motivi sanitari.

Si immagini quali criticità potrebbero verificarsi se le strutture ospedaliere dovessero condizionare l’accesso ai reparti ospedalieri al solo personale (anche esterno) regolarmente vaccinato!

 

Vincenzo Lamonaca
Dottore di ricerca in diritto del lavoro nell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari

Dirigente di Polizia penitenziaria in servizi presso gli Istituti Penali di Trani (*)

@enzo_lamonaca

 

(*) Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.

 

Lo strano caso dei “renitenti al vaccino” in uniforme: quali soluzioni per il Corpo di Polizia penitenziaria