Lo sviluppo della training capacity aziendale come risposta allo skill mismatch

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Bollettino ADAPT 13 novembre 2023, n. 39
 
Gli ultimi tre anni sono stati caratterizzati da una forte volatilità dovuta a fattori sanitari, economici e geopolitici, unita a crescenti pressioni sociali e ambientali. Le trasformazioni nei ruoli e nei compiti che ne sono derivati comportano un generale disallineamento tra le competenze presenti sul mercato del lavoro e quelle richieste. Uno squilibrio sia per quanto concerne la mancanza di competenze necessarie per coprire i nuovi posti rimasti vacanti, sia per il fatto che le qualifiche possedute dai lavoratori non sono più sufficienti per eseguire le attività da questi svolte.
 
Date le dimensioni del problema, il fenomeno è divenuto oggetto dell’attenzione non solo delle imprese ma anche dei governi, entrambi impegnati a fornire e utilizzare strumenti volti ad individuare le specifiche competenze mancanti, con lo scopo di proporre azioni da mettere in campo al fine di allineare domanda e offerta di lavoro. Si eseguono studi di “gap skills analysis” a livello di impresa, ma anche indagini più ampie su determinati Paesi, economie e settori. Secondo la survey di Manpower del 2023, in media, a livello mondiale, si segnala un talent shortage del 77%. In Italia, tale valore si attesterebbe sul 75%.
 
A fronte di questi dati, riteniamo che solo attraverso l’azione congiunta pubblico-privato possa nascere un sistema adeguato di sviluppo delle competenze necessarie per affrontare gli scenari futuri. Tuttavia, se i governi sono impegnati da decenni nella formulazione di strategie a supporto delle imprese, promuovendo molteplici interventi per lo sviluppo delle competenze, per migliorare l’istruzione, per finanziare o erogare direttamente la formazione etc., l’impresa resta il principale luogo dove vengono identificate le competenze emergenti, dove effettivamente nascono e si realizzano le opportunità di riqualificazione e miglioramento delle competenze nonché il luogo dove avviene la maggior parte dell’apprendimento. Ivi compreso quello che viene definito come apprendimento informale.
 
Ricordiamo che per apprendimento informale si intende l’“Apprendimento risultante dalle attività della vita quotidiana legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero. Non è strutturato (in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse) e di norma non sfocia in una certificazione. L’apprendimento informale può essere intenzionale, ma nella maggior parte dei casi non lo è (ovvero è “fortuito” o casuale)” (Comunicazione della Commissione, “Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente”, 21.11.2001). Risulta, pertanto, complesso stabilire dove, quando e in che misura avvenga e quali siano i risultati che ne scaturiscono. Tuttavia, secondo il CVTS 2015 (“Continuing Vocational Training Survey”), l’apprendimento informale non sarebbe così diffuso e sarebbe addirittura meno comune dei corsi di formazione, tra imprese di diverse classi dimensionali e settori. Il CVTS vi fa rientrare la rotazione del lavoro, gli scambi e i distaccamenti e l’apprendimento autodiretto, l’apprendimento dagli altri e l’aggiornamento tramite conferenze e workshop. Nessuna di queste forme di apprendimento informale sarebbe sviluppata nella stessa misura dei corsi di formazione.
 
Per quanto riguarda le diverse forme di apprendimento informale, la classificazione offerta dal Survey for Adult Skills (PIAAC), effettua una distinzione tra:

Imparare facendo, cioè i dipendenti delle aziende possono apprendere esponendosi a) a problemi non familiari nel loro lavoro, ad esempio lavorando su progetti diversi, con nuovi clienti o nuove tecnologie; b) a compiti e problemi in diverse posizioni, attraverso periodi di prova o di scoperta e scambi e distacchi o rotazione del lavoro;

Imparare dagli altri, ossia i dipendenti possono imparare a) abbinati a colleghi più esperti, mentori che forniscono loro consigli e supporto per integrarsi meglio in azienda; b) osservando o chiedendo ai colleghi; c) attraverso sessioni di condivisione delle informazioni con i colleghi. Vi rientrano le riunioni periodiche, ma anche eventi ad hoc, come gruppi di lavoro per affrontare sfide specifiche, circoli di qualità tra esperti e seminari o scambi di buone prassi;

Tenersi aggiornati su nuovi prodotti e servizi, con opportunità sia all’interno che all’esterno dell’azienda, attraverso a) la distribuzione di informazioni sulle nuove tendenze o prodotti del settore, come newsletter o l’installazione di monitor informativi nelle aree comuni; b) l’organizzazione di una biblioteca o la previsione di piattaforme digitali in cui viene caricato materiale didattico/informativo; c) riunioni periodiche di natura informativa su nuovi prodotti o sui trend del settore.
 
L’Eurostat (Classification of learning activities, Manual 2016), in tema di apprendimento informale, distingue l’apprendimento guidato e non. Nel primo, vi fa rientrare una gamma molto ampia di esperienze di apprendimento, quali coaching/lezioni informali e visite guidate. Nel secondo, vi rientrano le esperienze in auto-apprendimento (studiare una materia utilizzando materiale didattico anche digitale, l’osservazione sistematica, etc.), la partecipazione a gruppi di apprendimento (di tipo informale, in presenza e in modalità virtuale, i circoli di qualità e i circoli di apprendimento, etc.) – in sintesi quei “gruppi di lavoro con lo scopo di discutere problemi e ricercare la soluzione di problemi nella produzione e sul posto di lavoro dove i partecipanti devono essere integrati nelle procedure di pianificazione e controllo dell’impresa” – la “pratica” e le visite non guidate.
 
Infine, l’indagine INAPP INDACO Active Ageing classifica l’apprendimento informale in training on the job, rotazione programmata nelle mansioni, apprendimento mediante la partecipazione a convegni, workshop, etc., autoapprendimento e partecipazione a circoli di qualità o a gruppi di auto-formazione.

Alla luce di questo quadro definitorio, risulta chiaro come garantire che i dipendenti si impegnino nell’apprendimento informale sia più difficile che assicurarsi che partecipino alla formazione, per cui sono le pratiche e l’ambiente di lavoro a favorire l’impegno nell’apprendimento informale. Inoltre, l’apprendimento informale sul luogo di lavoro:

– può incoraggiare lo sviluppo delle abilità sociali attraverso l’attività condivisa e l’interazione sociale;

– è influenzato positivamente dalla partecipazione alla formazione formale (Choi W, Jacobs RL. 2011. Influences of formal learning, personal learning orientation, and supportive learning environment on informal learning. Hum. Resour. Dev. Q. 22:239–57);

– è più comune tra le aziende le cui occupazioni sono caratterizzate da alti livelli di autonomia, retribuzioni basate sulle prestazioni e lavoro di squadra;

– può essere più comune nelle piccole e medie imprese, che hanno a disposizione meno risorse per organizzare un’offerta formativa più strutturata;

– è influenzato da fattori di lavoro contestuali, come l’impegno del management e la presenza di una cultura interna a favore dell’apprendimento e l’accesso dei dipendenti alle reti e alle relazioni (Doornbos AJ, Simons RJ, Denessen E. 2008. Relations between characteristics of workplace practices and types of informal work-related learning: a survey study among Dutch police. Hum. Resour. Dev. Q. 19:129–51; Ellinger AD. 2005. Contextual factors influencing informal learning in a workplace setting: the case of “reinventing itself company.” Hum. Resour. Dev. Q. 16:389–415; Kyndt E, Dochy F, Nijs H. 2009. Learning conditions for non-formal and informal workplace learning. J. Workplace Learn. 21:369–83);

– è diventato una valida alternativa all’apprendimento non formale e formale anche grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
 
Secondo l’OCSE, la discrepanza tra i dati CVTS, sulla bassa diffusione dell’apprendimento informale, e i risultati della letteratura accademica e psicologica in materia che, al contrario, gli attribuiscono un peso estremamente rilevante, sarebbe da attribuire alla natura emergente dell’apprendimento informale. L’apprendimento informale non è offerto dalle imprese, ma avviene attraverso interazioni spontanee tra i dipendenti, che possono essere alimentate attraverso la creazione di un ambiente di apprendimento. Ciò implica che chiedere ai datori di lavoro, e non ai dipendenti, quali opportunità di apprendimento informale sono “offerte” nella loro organizzazione finirebbe per sottostimarne l’incidenza complessiva. A ciò si aggiunga che, poiché i dipendenti agiscono autonomamente secondo la propria volontà e il proprio ritmo per ottenere le conoscenze richieste, secondo uno studio recente (Muzam J., Bendkowski J., Mah P.M., Mudoh P., The state-of-the-art of modern workplace learning: an applied assessment method of a pre-train deep learning on modern learning tools, The Learning Organization, 2023), l’apprendimento informale sarebbe maggiormente efficace, in termini di minor tempo speso dai dipendenti, per acquisire determinate conoscenze, rispetto all’apprendimento formale e non formale.
 
Il “successo” dell’apprendimento informale è legato alle motivazioni che sono alla base dell’apprendimento in azienda, vale a dire la necessità di “approvvigionarsi” di competenze utili per realizzare attività specifiche. Uno dei vantaggi dell’apprendimento informale è la sua efficienza, grazie ad un contesto come quello lavorativo, dove le persone imparano ad eseguire delle attività anche osservando e interagendo con i propri colleghi. La formazione formale o non formale può fornire conoscenze e competenze che, tuttavia, vanno successivamente connesse e caratterizzate in relazione alla propria situazione professionale; la maggior parte della formazione erogata in maniera tradizionale deve, dunque, essere potenziata attraverso il ricorso a metodologie e tecniche di apprendimento informale.
 
L’apprendimento informale è presente, dunque, in qualsiasi azienda. Tuttavia, esso assume diverse configurazioni che sono strettamente legate a quattro fattori principali, che definiscono il grado di formalità/informalità di una specifica situazione di apprendimento: il driver del processo di apprendimento, il grado di consapevolezza e intenzionalità delle persone coinvolte nel processo di apprendimento, il contenuto da acquisire e il luogo in cui avviene.
 
Combinando questi quattro fattori, è possibile identificare due estremità opposte del continuum dell’apprendimento sul posto di lavoro: da una parte l’apprendimento informale quotidiano, guidato da fattori contestuali, non pianificato a priori e con un basso livello di intenzionalità. Dall’altro lato, l’apprendimento informale “organizzato”, che è intenzionalmente e strategicamente supportato dalle aziende, le quali predispongono procedure e strumenti di supporto all’esperienza quotidiana sul posto di lavoro atti a consentirne una maggiore “istituzionalizzazione”, efficacia e misurabilità.
 
Laila Bauleo

Alessandra Meduri

ANPAL Servizi spa

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