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Bollettino ADAPT 14 ottobre 2024, n. 36
Riprendendo quanto già discusso in un precedente articolo – “Lo sviluppo della training capacity aziendale come risposta allo skill mismatch” – con questo nuovo contributo si intende evidenziare la maggiore efficacia dell’apprendimento informale “intenzionale” rispetto ad una forma non “regolata” dello stesso e si sofferma su una delle leve che ne migliorano l’applicabilità in azienda.
Sappiamo che l’apprendimento sul posto di lavoro si caratterizza per essere un’attività innovativa piuttosto che riproduttiva. In particolare, l’apprendimento sul posto di lavoro può spesso tradursi nella creazione di nuove modalità di azione, pratiche, procedure e anche in nuovi prodotti.
Vale la pena ricordare come l’apprendimento dipenda da fattori individuali e organizzativi oltre che da una combinazione di essi.
Tra i fattori individuali, la motivazione assume un ruolo essenziale nelle attività formative, tanto che si arriva a parlare anche di “coscienziosità”, ma vi rientrano anche valori, storie personali, metodologie per l’acquisizione della conoscenza, etc.. Altrettanto influente sui processi di apprendimento è la posizione occupata da colui che apprende in azienda: apprendista, principiante, lavoratore esperto, subordinato, superiore, etc.
Quanto ai fattori di tipo organizzativo il riferimento è alla struttura organizzativa, l’organizzazione del lavoro, lo sviluppo delle risorse umane, le competenze del personale, il clima aziendale, il supporto del leader/manager, l’orientamento aziendale all’apprendimento e all’innovazione, i partenariati e le reti. Questi fattori possono variare da un’organizzazione all’altra ma anche all’interno della stessa organizzazione o team.
Il clima aziendale e la percezione del livello di coinvolgimento del collaboratore nelle proprie attività lavorative hanno, inoltre, diretta influenza non solo sulla motivazione ad apprendere ma anche sulla propensione a trasferire quanto appreso.
In sintesi, se guardiamo all’impatto dei fattori personali e organizzativi, sembra acclarato come alcune caratteristiche del lavoratore (tipologia di occupazione e funzioni svolte, anni di esperienza lavorativa nel ruolo, etc.) e del clima organizzativo (livello di risposta al cambiamento e di supporto educativo, grado di feedback dei colleghi o supervisori, etc.), unite ad elementi relativi alla didattica (aderenza dei contenuti alla pratica lavorativa, abilità dell’istruttore, etc.) siano strettamente correlate e influenzino sia la percezione della bontà dell’apprendimento che la propensione al suo trasferimento.
La combinazione di questi diversi fattori impatta, dunque, sull’efficacia delle pratiche di apprendimento informale (e non) in azienda.
Se si guarda all’apprendimento informale come quel fenomeno che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento, da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero, vediamo che esso è di fatto praticato in qualsiasi azienda, e possiamo osservare come esso sia giudicato particolarmente adeguato soprattutto alla realtà delle imprese più piccole, in quanto in grado di adattarsi ai vincoli in cui queste operano, consentendo di migliorare le prestazioni aziendali.
Pertanto, la visione tradizionale secondo cui solo la formazione formale e non formale rappresentino la formazione “reale” viene sempre più messa in discussione così come il fatto che i modelli di formazione derivanti dalle esperienze e dalla pratica delle grandi imprese siano appropriati per le piccole imprese.
Tuttavia, anche le pratiche di apprendimento informale, spontanee e non organizzate, non sempre sono associate a effetti positivi. Un apprendimento informale in senso stretto a volte può condurre all’adozione di pratiche lavorative improprie, inefficaci se non pericolose, come ad esempio è stato rilevato nel settore minerario; o alla mancata comprensione degli obiettivi di tali pratiche e, di conseguenza, ad un’applicazione ai compiti lavorativi non sempre sostenuta da adeguati impegno e motivazione. Ancora, si riscontra come alcune conoscenze di tipo concettuale o simbolico non possano essere osservate, sperimentate e quindi apprese attraverso lo svolgimento delle ordinarie pratiche lavorative. Anche il funzionamento di alcuni processi tecnologici e digitali, che sono alla base di molte forme di lavoro contemporanee, può risultare opaco e non facilmente accessibile e conseguibile attraverso l’apprendimento informale sul posto di lavoro.
Ulteriore limite dell’apprendimento informale è rappresentato dal fatto che non tutti conoscono o riescono ad applicare le strategie che regolano il cosiddetto apprendimento autoregolato, vale a dire la modulazione dei processi affettivi, cognitivi e comportamentali utile a raggiungere il livello desiderato di risultati a valle di un’esperienza di apprendimento, soprattutto in un contesto di tipo professionale-lavorativo.
Di conseguenza, per ragioni come quelle qui esposte, per meglio supportare l’apprendimento informale sul luogo di lavoro è necessario che esistano un curriculum intenzionale e adeguate pratiche pedagogiche ed epistemologiche.
Il curriculum di apprendimento, con riguardo ai neo-assunti, potrebbe essere articolato in fasi, garantendo, in un primo momento, una “partecipazione periferica” alle attività sul posto di lavoro; poi, procedendo per step, si consentirebbe l’accesso al prodotto e alle finalità delle attività lavorative, per approdare, infine, alla guida prossimale da parte di lavoratori più esperti e a quella distale fornita dall’ambiente fisico e sociale.
A nostro parere, per migliorare la sua efficacia, l’impostazione del curriculum può utilizzare alcune leve: il driver del processo di apprendimento, il grado di consapevolezza e intenzionalità delle persone coinvolte nel processo di apprendimento, il contenuto da acquisire e il luogo in cui l’apprendimento avviene (workplace).
Il primo di questi fattori, il driver/motore del processo di apprendimento richiama i citati concetti di apprendimento guidato e distale (non guidato).
L’impiego di strategie di apprendimento (informale) guidato potrebbe supportare e consentire il monitoraggio dello sviluppo della conoscenza sul posto di lavoro, rendendo accessibili tipologie di conoscenza concettuale che altrimenti rimarrebbero nascoste ma che sono salienti per una pratica lavorativa efficace. Si tratta di conoscenze spesso necessarie per l’adattabilità, ovvero per affrontare problemi non di routine, come la capacità di trasferire il know-how da una situazione a un’altra. Oltre a produrre benefici per gli individui, in termini di miglioramento della pratica professionale e del suo ambito di applicazione, questo tipo di conoscenza consente alle imprese di rispondere alla continua evoluzione delle mansioni lavorative e alla gestione delle trasformazioni settoriali.
L’apprendimento guidato o guida diretta propone un approccio basato sul coaching, il sostegno continuo con indicazioni e feedback (scaffolding), il confronto e la riflessione sulle prestazioni apprese e sull’esplorazione di percorsi e soluzioni nuove. Esso può svilupparsi in diverse forme, ad esempio l’imposizione delle mani dei maestri artigiani vasai su quelle di chi deve apprendere fornisce una forma di dimostrazione, una guida ravvicinata e cerca anche di contribuire allo sviluppo di una forma di conoscenza che non può essere insegnata, il senso del tatto. Il punto è che anche conoscenze “impossibili” da insegnare possono essere apprese sul luogo di lavoro, utilizzando pratiche pedagogiche guidate, assistite da altri, mirate e adatte alle circostanze del lavoro, senza inficiare l’informalità dell’apprendimento. Altri esempi si rintracciano nel settore della sanità, tipicamente attraverso il passaggio di consegne degli infermieri, un processo strutturato in fasi che assume una valenza intrinsecamente pedagogica: presentazione del paziente e delle sue condizioni, trattamenti prescritti, progressi accertati e prognosi, possibili evoluzioni dello stato di salute.
La guida indiretta o distale comprende l’ascolto, l’osservazione delle attività svolte dagli altri lavoratori, l’incoraggiamento alla riflessione e l’opportunità di fare pratica, cioè di imitare e impegnarsi in approssimazioni sempre più avanzate. Le tecnologie e le connesse opportunità, da queste offerte, di gioco e simulazione forniscono un apporto determinante nell’ambito delle attività di guida indiretta.
A conclusione di questo articolo, possiamo suggerire alcuni semplici interventi per stimolare una guida diretta, in ambito aziendale. Ad esempio, adottare la pratica del debriefing, che in quanto attività dedicata alla riflessione e alla descrizione di cosa è successo, può essere cruciale per la gestione della conoscenza. Stabilire un processo per utilizzare lo strumento del debriefing su base continuativa consente di codificare le informazioni ed evitare la perdita di conoscenza. Il suo utilizzo può essere funzionale al riepilogo di un progetto o di un’iniziativa ma anche a condividere con i colleghi esperienze più o meno ordinarie come la partecipazione ad un evento, una fiera, etc.
Quanto alla guida di tipo distale, si può puntare ad un utilizzo più strutturato dei processi di condivisione delle procedure aziendali attraverso le applicazioni mobili (smartphone, tablet, etc.), come scattare foto o registrare video per rappresentare situazioni quali le condizioni di un paziente, gli interventi in un’officina di riparazioni, la gestione dei reclami, da tradurre in materiali in-formativi utilizzabili nel contesto professionale. Anche l’utilizzo di chat aziendali sui sistemi di messaggistica istantanea, opportunamente organizzato, può rappresentare un valido supporto “formativo”, in particolare per coloro che svolgono attività a distanza o comunque al di fuori delle strutture aziendali.
Laila Bauleo
Esperta sistemi formativi