È l’Agricoltura di Precisione (AdP) il Santo Graal dell’agricoltura italiana. E chi ne entrerà in possesso, avrà le carte per giocarsi la partita dell’espansione aziendale. Non si usano analogie di sorta, nelle sale gremite del Castello San Giorgio a Maccarese, sul litorale romano. Ma durante il convegno d’apertura della tre giorni “Campi d’innovazione 2016” a firma Maccarese S.p.A e New Holland, il verbo dell’agricoltura del Duemila soverchia persino i fasti antichi della famiglia Rospigliosi, ritratti dal pennello di Adrien Manglard, all’ingresso della tenuta. E si ha la netta sensazione di assistere alla genesi di una nuova imprenditoria agricola: moderna, colta, global.
In uno scenario simbolo di mutamenti epocali (la località di Maccarese fu il fulcro delle bonifiche prima dei governi liberali e poi del Regime), due leader italiani nei settori cerealicolo-zootecnico (Maccarese SpA) e della produzione meccanica e tecnologica al servizio dell’impresa (New Holland), si sono dati appuntamento per mettere in scena una pièce che segna un solco nella storia recente dell’agricoltura italiana. Davanti al Ministro Martina, il DG di Maccarese S.p.A Claudio Destro, deus ex machina e speaker dell’evento, è riuscito in qualcosa di assai raro in Italia: far sedere accanto istituzioni governative e parlamentari, Università (quella della Tuscia), Enti di ricerca pubblica (il CREA), associazioni di categoria ed imprenditoria. Nell’ambito di un forum tematico e di un elegante confronto, grazie al quale – al netto delle retoriche d’occasione – si è contribuito a squarciare il velo di Maya sull’odierno (e più innovativo) volto dell’agricoltura italiana. Imprigionato, troppo spesso, in un immaginario preda dei feticci virgiliani della zappa in una mano, e dello zufolo nell’altra.
Al centro dell’incontro, quella variante moderna dell’ortodossia agricola da riassumere nel motto: «Fare la cosa giusta, nel posto giusto, al momento giusto», rubando le parole di Pierce e Novak (1999), ma che – a voler essere più tecnici, dicendolo con le Linee Guida sull’AdP emanate dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – equivale ad «una gestione aziendale (…) basata sull’osservazione, la misura e la risposta dell’insieme di variabili (…) che intervengono nell’ordinamento produttivo, (…) al fine di definire (…) un sistema di supporto decisionale per l’intera gestione aziendale, con l’obiettivo di ottimizzare i rendimenti nell’ottica di una sostenibilità avanzata di tipo climatica ed ambientale, economica, produttiva e sociale». Un’agricoltura di cui si palesano, tutti assieme, i principali protagonisti, in un susseguirsi di interventi tecnici (CREA ed Università della Tuscia) e politici (su tutti, il Ministro Martina), accanto alle testimonianze dirette di imprenditori che tratteggiano un quadro in cui la diffusione delle nuove tecnologie e delle nuove pratiche produttive (sensoristica, sistemi di geolocalizzazione, tecnologia ISOBUS, BIG DATA) costituisce, insieme, presupposto e volano di un nuovo modello agricolo all’italiana. Al punto che, a convegno concluso, verrebbe da dire che i suoi oratori – senza esserne coscienti fino in fondo – abbiano finito per tracciare una mappa dell’innovazione che conduce ad un unico approdo: quello delle reti della conoscenza, dei distretti culturali, scientifici ed economici in cui ricerca e impresa si fondono fino a mimetizzarsi, per diventare cuore del progresso economico-sociale di un territorio. A quei distretti, vale a dire, capaci di tenere assieme il meglio del know-how creato dalle diverse forze economiche e culturali di un’area geografica e di un settore, nell’ambito di un sistema circolare in cui ogni componente comunica ed agevola il funzionamento di quella che gli è accanto.
Un sistema di cui Maccarese S.p.A. ha cominciato a segnare i confini, attraverso la costruzione di un’impresa agricola digitalizzata, gentile e smart. In cui l’innovazione è determinante di divario competitivo, ma allo stesso tempo, grazie al forte radicamento nella realtà geografica in cui opera, modello economico di crescita territoriale. Perché concepito quale “generatore ed aggregatore del progresso” insito in tutte quelle forze culturali, sociali, umane ed economiche presenti sul territorio di riferimento. Ed imperniato su un sistema misto di strategia di mercato e di strategia di ricerca in capitale umano e tecnologico, in cui progettualità produttiva, scientifica e tecnologica si tendono continuamente la mano. Dando vita ad un organismo di scambio pluri-dimensionale ed orizzontale, dove l’Università assume la duplice funzione di sviluppatore tecnico dell’innovazione e di formatore di professionalità ricamate sulle necessità stesse dell’impresa che ne usufruirà.
In questo palcoscenico di innovazioni, caratterizzato dall’affermarsi di nuovi processi tecnologici e di imprese (come, appunto, Maccarese S.p.A) che segnano il passo delle nuove rotte di settore, viene da chiedersi dove vogliano collocarsi le associazioni di categoria e di rappresentanza. Se in posizione arretrata e statica rispetto alle avanguardie imprenditoriali, in funzione meramente ancillare di interessi parziali; o se in posizione avanzata e dinamica, al fianco (certo di quella imprenditoria “indipendente”, già in sé capace di tracciare l’orizzonte del progresso, ma soprattutto) di interessi collettivi, ossia di quegli imprenditori agricoli meno pronti ad accogliere le sfide del futuro, perché meno dotati di capitali da destinare agli investimenti, con meno possibilità di interagire con il sistema universitario, meno “forti” sul mercato, e geograficamente oppressi da dinamiche economiche, politiche e sociali che portano il marchio dell’illegalità.
Solo favorendo i processi di innovazione per l’intero settore agricolo, e per ogni realtà territoriale in esso ricompresa – di modo da renderli disponibili per il maggior numero possibile di aziende – sarà possibile rendere un servizio realmente democratico alle condizioni del suo progresso generale. Limitarsi all’osservazione e al “presenzialismo” del progresso di taluni operatori d’eccellenza, per quanto utile, equivarrebbe ad alimentazione delle disparità economiche e a conservazione delle sacche di sottosviluppo territoriale (meridionale soprattutto), presenti nel Paese, a livello scientifico, culturale, politico, sociale ed economico.
Un’organizzazione di rappresentanza agricola moderna, consapevole realmente del concetto di “circolarità delle economie”, declinato territorialmente, dovrebbe sapersi fare ambasciatore di condizioni istituzionali e culturali favorevoli alla diffusione democratica, ossia ampia, del nuovo modello dell’Agricoltura di precisione. La tensione scientifico-produttiva tra Maccarese S.p.A, Università della Tuscia e New Holland creatasi nel Litorale romano grazie ad una “visione aziendal-distrettuale” dell’economia, dovrebbe allora diventare la tensione di un’intera imprenditoria agricola, anche medio-piccola, attraverso la promozione di “reti della conoscenza” tecnico-produttive programmate sull’interscambio degli input e degli output a monte e a valle dei processi produttivi[1]. In un simile contesto, si aprirebbero spazi anche per una nuova funzione della contrattazione collettiva provinciale agricola: non più solamente strumento statico della salvaguardia del potere economico della categoria, ma variabile dinamica del progresso tecnologico, culturale, scientifico e professionale in seno ad una comunità. Capace di fissare standard qualitativi e quantitativi contrattuali in tema di accesso all’innovazione (altra veste del diritto alla conoscenza), rapporti con le Università, formazione professionale ed imprenditoriale, diffusione di best practice in tema di sostenibilità ambientale, economica e sociale a favore del progresso delle comunità locali.
Dottorando in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo
[1] È la prospettiva accolta da M. TIRABOSCHI, L’inquadramento giuridico del lavoro di ricerca in azienda e nel settore privato: problematiche attuali e prospettive future, in DRI, 2016, 4. L’Autore, prendendo in prestito la locuzione anglosassone utilizzata da Enrico Moretti (La nuova geografia del lavoro, Mondadori, 2012), ossia “brain hubs”, intravede nei corrispondenti “distretti della conoscenza” all’italiana quelle “agglomerazioni” «di idee, progetti, risorse, personale altamente qualificato» capaci di «creare vera innovazione e con essa maggiore produttività e crescita». Rapportando l’intuizione alla dimensione agricola, tuttavia, verrebbe da chiedersi quanto l’idea del venire meno di una certa “spazialità” tradizionale, politica ed amministrativa, di pari passo con l’affermazione dei nuovi processi produttivi dell’Industry 4.0, sia estensibile anche ad un settore (e per taluni comparti specialmente: ad es. cerealicoltura, viticoltura, ortofrutta), come quello agricolo, in cui la “gestione” degli spazi fisici e naturali rappresenta presupposto dell’esistenza o della sopravvivenza di determinate attività economiche.