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Bollettino ADAPT 9 novembre 2020, n. 41
La scelta delle federazioni sindacali dei metalmeccanici che il 5 novembre scorso hanno messo in atto lo sciopero programmato un mese prima, nonostante nel frattempo il Paese sia tornato in piena emergenza sanitaria, ha suscitato tra gli osservatori vari dubbi sulla sua opportunità (si veda su tutti l’articolo di Dario Di Vico sul Corriere della sera del 4 novembre). Almeno su tre piani.
Sul piano economico, si è osservato che se i sindacati di categoria avessero revocato lo sciopero, avrebbero dato un segnale di assunzione di responsabilità; meglio dimostrando la consapevolezza delle difficoltà attraversate dall’industria italiana, anziché di fatto contribuirvi.
Sul piano sociale ci si è chiesti inoltre se portare in piazza i lavoratori non contribuisse ad aumentare le tensioni che già si manifestano nelle città italiane e che originano, in parte, dagli impatti economici delle misure di contenimento dell’epidemia.
In conseguenza ci si può chiedere se questo sciopero non fosse sconveniente anche sul piano reputazionale, e se cioè i sindacati di settore in un momento così delicato non abbiano corso il rischio di essere individuati dall’opinione pubblica come difensori degli interessi particolari, più che dell’interesse generale della ripartenza. D’altronde la spiegazione fornita nelle varie interviste ai quotidiani da parte dei segretari delle tre federazioni promotrici (Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm) era alquanto controintuitiva per il grande pubblico. Sarebbe infatti proprio il momento di crisi a rendere necessario il raggiungimento di un accordo. Una scelta quindi quella dello sciopero non mirata a danneggiare l’industria ma a “provocare una normale dialettica delle relazioni sindacali”, in una trattativa che si è arenata dopo più di un anno dal suo avvio, come ha detto il segretario della Fim-Cisl Roberto Benaglia ai microfoni di Zapping (Radio 1).
Il sindacato era consapevole di tutti questi rischi (è stato proprio Benaglia nell’intervista a Radio 1 a dire che la domanda di opportunità in questo momento “ci sta”). Allora perché ha deciso di correrli?
Sul piano reputazionale, sono proprio le condizioni attuali che hanno permesso per una volta al sindacato di preoccuparsi più degli obiettivi negoziali e organizzativi in senso stretto che di quelli dell’impatto mediatico e politico. Se si considera che stiamo parlando del contratto che tradizionalmente attira il maggior numero di riflettori in Italia, non si può che constatare come l’attenzione questa volta sia stata minore del solito. Il fatto si può spiegare facilmente: il distanziamento fisico e il contingentamento obbligati hanno prodotto una partecipazione visibile rarefatta che non ha potuto turbare le gerarchie della notiziabilità di un’agenda mediatica cannibalizzata dell’emergenza sanitaria ed economica.
Vero è che anche dal punto di vista mediatico e politico gli effetti non sono stati nulli. Sulla stampa nazionale si sono contati una decina di articoli di commento e la Ministro Nunzia Catalfo ha dichiarato il giorno seguente che cercherà “di agevolare in qualsiasi modo il dialogo tra le rappresentanze dei lavoratori e le aziende, in modo che si possa superare lo scoglio che sta bloccando il rinnovo”. Eppure questo risultato pare essere l’effetto di un allineamento tra il mondo sindacale e il governo già conclamato nei giorni scorsi (con la proroga del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione Covid) piuttosto che l’effetto di una pressione sociale e mediatica.
Prova del minore clamore può essere cercata anche nella minore viralità della proiezione digitale dello sciopero, almeno per quel che si vede da Twitter, il social del “tempo reale”. Basti pensare che l’hashtag scelto per lo sciopero indetto il 14 giugno 2019 (#scioperometalmeccanici) aveva fatto registrare complessivamente 2440 tweet, il doppio di quelli registrati per #scioperoxilcontratto (1200). Non perché i sindacati siano stati meno attivi di allora sul social, ma perché meno utenti esterni al sindacato hanno commentato l’evento. Lo si capisce guardando a quanto succede il giorno dello sciopero, quando normalmente entrano in gioco i commentatori esterni: 1554 tweet per #scioperometalmeccanici il 14 giugno, più del triplo di quanto registrato per l’hashtag #scioperoxilcontratto il 5 novembre.
(dati raccolti da Catchy Big Data )
In queste condizioni il sindacato poteva insomma non preoccuparsi troppo delle ricadute sull’opinione pubblica, ma dare comunque voce al consenso espresso verso lo sciopero dalla base. Consenso che secondo i sindacati, ha prodotto un’adesione media del 70%.
Sul piano sociale allora la domanda di opportunità potrebbe anche essere ribaltata. Perché cioè non interpretare la scelta di procedere con lo sciopero come uno sforzo per dare un’espressione istituzionale al malcontento dei lavoratori, evitando che esso prenda altre vie e confluisca magari proprio nei disordini di piazza anti-lockdown. Un ragionamento che varrebbe tra l’altro non solo per il contratto dei metalmeccanici ma anche per le altre vertenze in corso. Si pensi per esempio all’industria alimentare dove, il 99,4% dei lavoratori ha approvato il contratto sottoscritto il 31 Luglio scorso e dove è stata proclamata la ripresa dello stato di agitazione nelle imprese non aderenti, con 8 ore di sciopero lunedì 16 novembre.
Detto del piano reputazione e di quello sociale, resta il fatto che questa funzione istituzionale per risultare efficace dovrebbe condurre a un qualche dinamica negoziale, pena doversi mantenere su un piano, quello del conflitto, che rischia di diventare impraticabile nel breve periodo date le tensioni circolanti. Se cioè ci atteniamo all’obiettivo principale dichiarato dai sindacati, ossia la riapertura delle trattative con Federmeccanica e quindi la disponibilità della parte datoriale a trattare di aumenti dei minimi non legati esclusivamente all’andamento dell’inflazione, al momento questo obiettivo sembra lontano dall’essere raggiunto. E solo qualche segnale di convergenza tra le parti permetterebbe di superare il rischio di una spirale del conflitto.
Assegnista di ricerca
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia