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Bollettino ADAPT 8 febbraio 2021, n. 5
Lo scorso 3 febbraio il Presidente Mattarella ha nominato Mario Draghi Presidente del Consiglio incaricato. Prima che questi iniziasse le consultazioni con le compagini parlamentari, il 5 febbraio, Federmeccanica, Assistal, FIM-CISL, FIOM-CGIL e UILM-UIL hanno sottoscritto l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL dell’industria metalmeccanica e della installazione di impianti, concludendo un complesso tavolo di trattativa che perdurava da oltre un anno. Il testimone è ora idealmente passato alle associazioni datoriali e sindacali del settore terziario, distribuzione e servizi (il prevalente in Italia per numero di addetti), che stanno entrando nel vivo di un negoziato forse ancora più complesso a causa dell’impatto devastante che la crisi economica generata dalla emergenza pandemica ha avuto sul commercio.
La libera contrattazione oltre la politica
Chi si sforzasse di trovare un nesso diretto tra le vicende politiche e quelle delle relazioni industriali rimarrebbe deluso: non c’è. È proprio questa la notizia, l’evidenza che gli addetti ai lavori dovrebbero attentamente considerare: il mondo del lavoro è sempre più indifferente alle dinamiche partitiche.
Non è sempre stato così, come è noto. Tuttavia, se in passato la politica riusciva a condizionare i rapporti sindacali (qualche volta è stato vero anche il contrario), oggi, nonostante essa vi provi, rimane lontana dal nucleo delle trattative e, soprattutto, è ritenuta dalle parti sociali stesse contradditoria e inconcludente. La scelta del premier incaricato Mario Draghi di consultarsi con le parti sociali è significativa anche per questo: è necessario tornare a coinvolgere, motivare, i corpi intermedi del lavoro e dell’economia nelle scelte collettive, per poterli conseguentemente responsabilizzare in una fase, quella della ripresa economica, che si preannuncia in salita.
I Governi presieduti da Giuseppe Conte non hanno lesinato grandi propositi in materia di lavoro: la legge sulla rappresentanza, il salario minimo legale, la detassazione degli incrementi contrattuali nazionali, la riforma degli ammortizzatori sociali. Nulla di tutto questo è stato realizzato, tanto che le parti sociali si sono accontentate di richiedere l’erogazione delle ingenti risorse destinate alla cassa integrazione (legate però, come noto, a quella potenziale bomba sociale ad orologeria che è il divieto di licenziamento). Ecco allora che si deve alla libera contrattazione collettiva la ripresa delle attività economiche in sicurezza dopo il lockdown grazie ai Protocolli sottoscritti in tutti i settori produttivi; la copertura assicurativa per COVID-19 operata con le casse di assistenza sanitaria integrativa; la costruzione di centinaia di piani formativi per sfruttare gli spazi strettissimi del Fondo Nuove Competenze; la rimodulazione del welfare aziendale verso obiettivi sociali; i rinnovi contrattuali per riconoscere ai lavoratori incrementi di stipendio anche in periodo pandemico. Questi risultati già dimostrano l’astrazione di chi individua nella legge l’acceleratore delle dinamiche sociali, tanto più nell’ambito del lavoro e delle relazioni industriali.
Le relazioni industriali e di lavoro oltre i dogmi ideologici
La riaffermazione della primazia della contrattazione sulla legislazione è la conseguenza di una dinamica che pare ora evidentissima in politica, ma che si può scorgere anche nelle pieghe della attualità delle relazioni di lavoro. Il riferimento è al superamento di alcuni steccati ideologici in ragione della complessità da gestire. Un Governo che potrebbe essere sostenuto contemporaneamente da chi ha voluto il reddito di cittadinanza e da chi lo ha fermamente osteggiato, da chi ha approvato “Quota 100” e da chi la ha continuamente criticata, da chi crede nel centralismo regolatorio e da chi predica sussidiarietà è certamente un simbolo di questo temporaneo accantonamento (più che liquefazione) di alcune tipiche categorie politiche rispetto alla necessità di aiutare il Paese ad uscire dalla palude economica nella quale sta sprofondando.
Questa facilità al post-ideologismo va osservandosi anche nelle dinamiche contrattuali. Come accaduto per l’industria alimentare, il legno-arredo, la gomma-plastica, l’occhialeria, le lavanderie industriali, le TLC, la ceramica (solo per citare i più rilevanti), ora anche l’industria metalmeccanica chiude il CCNL durante il periodo emergenziale. Solo sei mesi fa la rappresentanza degli industriali prefigurava una stagione di anemia contrattuale, in ragione della crisi economica. La realtà è andata in un’altra direzione: la volontà delle imprese (soprattutto quelle più strutturate) di evitare il conflitto per poter riprendere più velocemente a crescere ha indotto le parti a superare il Patto della Fabbrica sottoscritto nel 2018 e già relegato alla archeologia del diritto delle relazioni industriali, come indicato inequivocabilmente dall’analisi dei rinnovi dell’industria contenuta nei rapporti ADAPT sulla contrattazione collettiva per il 2019 e il 2020. A questa prima trasgressione ideologica ne è succeduta una seconda, tutta interna agli stessi metalmeccanici: il rinnovo del 2016, celebrato per innovatività culturale e tecnica, è seguito da un contratto molto più tradizionale nella impostazione e nella chiave di lettura, da individuarsi nella entità dell’importo riconosciuto agli incrementi contrattuali. Leggeremo nei prossimi giorni molteplici opinioni in merito alla promessa non mantenuta su welfare e formazione o critiche a una dinamica negoziale troppo incentrata sul minimo tabellare. Non sono osservazioni infondate: è chiaro che al crescere della erogazione dovuta per CCNL, diminuiscono gli spazi della contrattazione aziendale. È un dato che merita di essere studiato, sebbene in assoluta continuità con la ri-centralizzazione della contrattazione in atto da quasi un decennio attorno a perimetri contrattuali più piccoli e specialistici. Allo stesso tempo, però, non si può non riconoscere a Federmeccanica, Assistal, FIM-CISL, FIOM-CGIL e UILM-UIL una significativa quota di pragmatismo, che ha permesso di individuare senza censure alcuni squilibri (non teorici, bensì pratici) del precedente contratto, così da concentrarsi su ciò che soprattutto i lavoratori hanno più a cuore in un momento di crisi come questo.
Questo rinnovo è il migliore biglietto da visita delle parti sociali a Mario Draghi, non tanto per i singoli contenuti, ma per il solo fatto di essere stato chiuso, in un momento nel quale ogni incremento salariare può aiutare a contrastare le dinamiche deflattive e il congelamento della produttività del lavoro. Una prova di responsabilità delle relazioni industriali, convinte a preservare il nostro sistema produttivo oltre ogni vincolo ideologico, whatever it takes.
Presidente ADAPT
Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali