Con l’interpello n. 27/2014 del 7 novembre 2014 (in Bollettino ADAPT, n. 39 del 10 novembre 2014), il Ministero del lavoro ha chiarito una questione relativa alla corretta interpretazione degli artt. 27, commi 2, e 30, c. 4-bis, d.lgs. n. 276/2003, rivolti rispettivamente alle conseguenze derivanti da un ricorso alla somministrazione di lavoro al di fuori dei casi e delle modalità consentite ed all’attivazione del lavoratore illecitamente distaccato per il riconoscimento del rapporto di lavoro in capo al distaccatario: in tali circostanze, infatti, la normativa prevede che, potendo il lavoratore interessato dal non consentito fenomeno interpositorio agire in giudizio per il riconoscimento del rapporto di lavoro con l’utilizzatore della prestazione, «tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione».
Il dubbio ermeneutico, quindi, riguardava la cumulabilità delle sanzioni relative all’interposizione irregolare – di natura penale – con quelle proprie dell’occupazione di lavoratori “in nero” – di tipo amministrativo – con ogni conseguenza anche in ordine alla sospensione dell’attività imprenditoriale in caso di raggiungimento della soglia legislativa prevista.
Precisato che il d.lgs. n. 276/2003 ha disposto che solo dietro attivazione del lavoratore illegittimamente somministrato possa esser costituito il rapporto di lavoro intercorso tra il medesimo e l’utilizzatore – abbandonando, quindi, la scelta della conversione automatica vigente nel vecchio sistema normativo – la risposta è nel senso della non cumulabilità delle sanzioni, non solo per i casi oggetto del quesito (somministrazione irregolare e distacco illecito con azione del lavoratore), ma anche nelle ipotesi di illiceità del distacco senza istanza di riconoscimento del rapporto di lavoro con l’utilizzatore e di somministrazione nulla. Quest’ultima, regolata dall’art. 21, comma 4, d.lgs. n. 276/2003, sussiste quando manchi la forma scritta del negozio di somministrazione costituendo, come noto, una forma più grave di interposizione illecita, comportando automaticamente per l’utilizzatore l’instaurazione del rapporto di lavoro con i prestatori effettivamente impiegati nella fornitura di manodopera.
La precisazione ministeriale non è di poco conto, presupponendo una ratio comune alla totalità dei fenomeni interpositori realizzati mediante una somministrazione ovvero un distacco illeciti, a prescindere dalla disciplina di dettaglio prevista per ogni singola fattispecie.
Le ragioni addotte a fondamento della risposta al quesito sono di ordine letterale e sistematico: la prima fa leva sul tenore dell’art. 27, comma 2, cit., alla cui stregua la computabilità per l’utilizzatore dei versamenti e degli adempimenti relativi al lavoratore già posti in essere dal somministratore elide, a giudizio del Ministero, l’applicabilità delle sanzioni per occupazione di lavoro irregolare, potendo in questo caso il lavoratore esser considerato noto alla Pubblica Amministrazione, sebbene alle dipendenze di un datore di lavoro diverso da quello che ha nella sostanza beneficiato della di lui prestazione.
La seconda motivazione riposa sul bene giuridico tutelato dalle norme disciplinanti il lavoro “nero”, consistenti nella “tracciabilità” del rapporto di lavoro (virgolettato ministeriale, n.d.a.), differente rispetto alla peculiarità delle disposizioni sulla somministrazione e sul distacco irregolari, la cui ratio, pur nel silenzio ministeriale, potrebbe esser rinvenuta nell’osservanza del generale divieto di interposizione tuttora vigente nel nostro ordinamento, ove venisse accolta la tesi per cui, pur avendo il d.lgs. n. 276/2003 abrogato l’art. 1, l. n. 1369/1960, ha tuttavia conservato la fattispecie ivi contenuta, posto che l’allargamento dei casi e modalità di ricorso all’interposizione di lavoro lecita ha implicato, per coerenza sistematica, il contrasto a fenomeni interpositori posti in essere al di fuori dei requisiti legali richiesti.
In considerazione delle esposte motivazioni, il Ministero del lavoro conclude che «non sarebbe in linea con il quadro normativo e con i criteri di ragionevolezza che sottendono l’interpretazione del complessivo assetto della disciplina sanzionatoria, l’applicazione sia delle sanzioni per somministrazione e distacco illecito, sia delle sanzioni amministrative per lavoro “nero”».
La posizione espressa nell’interpello in commento è apprezzabile per aver sgomberato il campo da possibili equivoci su un profilo sanzionatorio per nulla secondario o isolato, risultando altresì condivisibile nel merito: tuttavia, anche in considerazione dell’interpretazione estensiva che il Ministero ha compiuto, coinvolgendo nel proprio ragionamento anche fattispecie non espressamente incluse nel quesito, l’occasione sarebbe stata opportuna per un chiarimento più esplicito sulla natura ed il fondamento delle ipotesi di interposizione di manodopera adottabili nel nostro sistema giuridico.
Ciò, anche alla luce del persistente dibattito, in dottrina ed in giurisprudenza, sulla portata realmente innovatrice del d.lgs. n. 276/2003 in merito alla vigenza del generale divieto interpositorio di manodopera – che gli studiosi considerano, alternativamente, espunto dall’ordinamento, tuttora efficace in quanto ancorato al principio della subordinazione sancito dall’art. 2094 c.c., o infine operante sebbene non fondantesi sulla subordinazione – nonché sulle sorti del contratto di somministrazione e/o di distacco irregolari, il quale, se tuttora affetto da sostanziale nullità, consentirebbe a chiunque vi abbia interesse, enti previdenziali ed assicurativi inclusi, l’azione giudiziale, laddove riconoscerebbe siffatta facoltà esclusivamente al lavoratore interessato se il rimedio invocabile fosse l’annullabilità.
Giovanna Carosielli
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@GiovCarosielli